Esplodono curiosità e stupore davanti alla scelta di Suor Cristina, vincitrice lo scorso anno di The voice, che l'11 novembre uscirà con il suo primo album e un singolo, da oggi lunedì 20 ottobre, nelle radio: Like a Virgin, la provocatoria hit di Madonna del 1984. Di questa sorprendente scelta, parliamo con Don Claudio Burgio, direttore del coro del Duomo di Milano, appassionato e intenditore di musica e, al contempo, di giovani come cappellano del carcere minorile Beccaria.
Don Claudio, perché proprio Like a Vergin? Cosa pensa della scelta di suor Cristina?
«Non griderei allo scandalo, anche perché gli scandali sono ben altri. Certamente è un testo, se non ambiguo, difficile da interpretare in maniera univoca. Chi canta e chi interpreta può dare un senso ben diverso al testo. Finché lei rimane fedele a se stessa, alla sua missione alla sua vocazione riesce a essere credibile anche cantando un testo così. Quello che ha detto può essere credibile. L’importante, ma lo vedremo, negli anni è che non sopraggiunga il divismo e resti fedele alla sua missione. L’aspetto provocatorio c’è. È certamente una mossa strategica e discografica, dico io. Soprattutto dato che è il singolo con cui esce. Dopodiché, come per i miei ragazzi del Beccaria, la provocazione è anche un invito a pensare, riflettere. Non è sempre solo per assurgere a toni scandalistici. Sui temi dell’affettività e della sessualità c’è in corso un dibattito ampio anche nella chiesa. Tutto dipenderà da quanto saprà essere credibile nelle provocazioni e nell’annuncio sapendo che sarà bersagliata dalla critica e dall’opinione pubblica. Se questa provocazione può essere di stimolo che arrivi ai giovani allora che ben venga, laddove lei dice che amare e essere amati rende le persone nuove. La musica ha la capacità di veicolare messaggi importanti ma tutto passa attraverso la persona e non il personaggio Suor Cristina».
Sin qui c’è da dire che Suor Cristina, devolvendo tutti gli incassi in progetti benefici, non tradisce la sua missione.
«Se prevale il divismo e il personaggio tutto diventa un’operazione di facciata, compresi i soldi devoluti. Se lei si manterrà fedele a se stessa rimanendo a contatto con la comunità di origine allora sarà stata sincera. Solo gli anni a venire ci diranno cos’era tutto ciò e se questa azione bella e benefica sarà frutto di discernimento. Perché anche nel mondo della carità oggi prevale non tanto il senso dell’aiuto fraterno, ma spesso la formalità di far vedere che si è fatto del bene. Io non la conosco, non posso dubitare che non ci sia un aspetto molto positivo».
Lei non trova discutibile questa l’iper - esposizione di una suora?
«Ognuno di noi, prete, suora o laico, ha delle capacità, una vocazione, dei carismi. Se li vivi e li metti a disposizione degli altri che ben venga. E lei sicuramente è dotata e ha indubbiamente un valore, poi dovrà crescere se la casa discografica decide di investire. Sul fatto che abbia vinto, quello conta poco perché è stata una vittoria annunciata, se non addirittura pilotata. Ma questo capita spesso in ambito mediatico che rinuncia alla verità per colpire. L’operazione suora, va in questo senso. Poi tra le suore hanno trovato quella giusta. Al momento però non mi sembra una che si espone eccessivamente».
Lei crede in questa forma di evangelizzazione con la musica?
«La musica come lo sport prende fortemente i giovani, li cattura. È un veicolo fortissimo che può essere usato nel bene e nel male, dipende da chi lo guida. In se e per sé la musica può davvero fare tantissimo. Ha sempre caratterizzato nella storia un’idea di popolo, di unione: dà l’idea di partecipazione e coesione tra la gente. È la colonna sonora della vita».
Direttore del coro ed "educatore". C’è una volta in cui la musica nella sua esperienza ha fatto miracoli?
«Io ascolto di tutto. Dalla lirica, come direttore del coro del Duomo, al rap e l’hip hop dei miei ragazzi in carcere. La mia vocazione è nata nella musica e proprio in questi giorni abbiamo cantato per la messa del Papa. Io devo tantissimo alla musica che mi ha creato occasioni di incontro, con la fede e con le persone. A livello educativo è fondamentale. In carcere il laboratorio musicale permette di esprimere tanti contenuti e inquietudini che i ragazzi hanno dentro. È un modo che permette di tirar fuori, il proprio vissuto, le proprie rabbie, i sogni, i desideri più belli e più grandi».