Povertà: una grande nube oscura che avvolge la maggior parte della popolazione mondiale. È parola che denota disagio, penuria, bisogno. Più capillarmente analizzata, si identifica con fame, freddo, malattie, esclusione, solitudine, assenza di risorse (tali da mettere in pericolo costante la sopravvivenza di intere popolazioni), carenza di possibilità economiche, sociali e relazionali idonee a vivere dignitosamente. È un mostro che spinge migliaia di persone a sradicarsi dai loro luoghi di origine, a premere oltre confini geografici instabili verso frontiere inesistenti.
Il 2017 s’era aperto con dati drammatici. Che ad anno finito non risultano, purtroppo, corretti in maniera significativa. Nel mondo 8 uomini, da soli, posseggono 426 miliardi di dollari, la stessa ricchezza della metà più povera del pianeta, ovvero l’equivalente che posseggono, tutti insieme, 3,6 miliardi di persone. L’attuale sistema economico favorisce l’accumulo di risorse nelle mani di una élite superprivilegiata ai danni dei più poveri (in maggioranza donne). E l’Italia non fa eccezione se l’1% più facoltoso della popolazione ha nelle mani il 25% della ricchezza nazionale netta. Dal 23 al 26 gennaio 2018 il club dei ricchi si ritroverà a Davos, in Svizzera, aggiornando dati e strategie.
Povertà è parola astratta e generica. Se, abbandonando l’astrazione, mettiamo a fuoco i “poveri”, l’analisi fredda del problema sociale lascia il posto al dramma reale di popoli, gruppi, famiglie e individui che soffrono e, in molti casi, muoiono per carenza di alimenti, di relazioni o comunque di quegli agi, anche elementari, che permettono alla persona una vita dignitosa. Di confrontare il dramma della povertà, anzi dei poveri, ci sono stati innumerevoli tentativi. Enti locali e internazionali hanno studiato ed elaborato progetti per diminuire questa piaga. In qualche caso, forse, si sono fatti passi importanti per ridurre i danni provocati dal disagio sociale a essa connesso.
Sociologi e governanti studiano il fenomeno, elaborano progetti per arginarne le nefaste conseguenze. A me, suora del Cottolengo, compagna di strada di poveri ed emarginati con alle spalle studi economici e anni vissuti nel consiglio d’amministrazione di una Fondazione bancaria, non rimane che ribadire quanto già detto da sant’Agostino: non è il denaro a essere sporco, ma l’uso che se ne fa.
D’altra parte nel Vangelo c’è molto denaro, nel senso che viene citato molte volte e con esempi fortissimi. Basti pensare alle parabole dei talenti e delle mine in Luca e Matteo, senza contare i 30 denari di Giuda. Ogni volta, però, il denaro viene messo in relazione ai comportamenti delle persone. Non voglio dire che il Signore abbia voluto precedere Adam Smith nella costruzione dei fondamenti dell’economia. Ma è un fatto che nella Bibbia si parli di denaro e profitto “virtuoso”.
È altresì vero che la voce dei profeti nell’Antico Testamento e quella, molto esplicita, di Gesù nei Vangeli si levano non a difendere soggetti di politiche sociali ma per identificare in essi figli di Dio e Fratelli secondo grazia e verità. Un abisso separa queste due visioni del mondo e della società: riconoscendo il fenomeno come esistente e ingiusto, l’accostamento a esso e lo sguardo su di esso sono totalmente differenti.
Lo sguardo di Gesù verso i poveri si racchiude in due discorsi: quello delle Beatitudini e quello del Giudizio universale. Il Discorso della montagna è uno sguardo che si fa beatitudine concreta non per l’enunciazione di programmi, analizzati sapientemente, ma per l’incontro effettivo, reale: il farsi prossimo di chi ha fame, ha sete, è fuori dai circoli sociali, è solo e perseguitato. È un discorso di amore accogliente il quale, differentemente declinato in una traduzione moderna, fa dire a Gesù: «Avanti i poveri, avanti quelli che piangono».
Questo nuovo sguardo illumina il comportamento del Cristo, il quale mette in primo piano chi piange, chi ha fame, chi è lasciato ai margini della vita sociale, chi è affetto da malattie. Per i poveri Egli disobbedisce alla legge, perché l’Uomo è più grande del sabato. Oltre le pavide proposte degli apostoli di inviare alle loro case la folla che aveva fame, Gesù ingiunge ai suoi discepoli: “Dategli voi da mangiare”; consola la vedova che piange accompagnando il suo figlioletto a sepoltura, ridonandoglielo vivo; rimette al centro della comunità il malato mentale emarginato, la donna affetta da malattia, i lebbrosi. Tutto il Vangelo è lezione concreta di come alleviare la povertà: il principio vitale che informa ogni azione è il grande comandamento dell’amore, non progetti, non grandi rivoluzioni, ma semplicemente “Ama”.
Nel secondo grande discorso di Gesù riguardo ai poveri, il Giudice richiama la responsabilità personale dell’uomo verso il prossimo affamato, assetato, nudo, malato, straniero o prigioniero e la conseguente risposta: “Venite benedetti dal Padre mio, ricevete il premio promesso a voi fin dall’inizio del mondo”. Gesù ha parole forti, nel Giudizio universale, la povertà è esplicitata e personalizzata e benedetti sono coloro che hanno visto l’affamato, l’assetato, lo straniero, chi era nudo, malato o carcerato e hanno saputo rispondere: è un forte riferimento alla responsabilità di chi, pur avendo visto i fratelli e le sorelle in difficoltà, ha tirato dritto. Per diminuire la povertà vale dunque l’imperativo evangelico: “Va’ e fa’ altrettanto”.
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