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domenica 08 settembre 2024
 
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Suor Sara Brenda: per salvare la terra partiamo dalla scuola

28/03/2019  L’istituto Marcelline Tommaseo di Milano e la cooperativa Camelot hanno creato la Scuola per lo sviluppo sostenibile, che educa gli studenti alla cura della «nostra casa comune»

Ragazzi e adolescenti il 15 marzo scorso hanno manifestato in 1.693 città di tutto il mondo chiedendo un intervento immediato e congiunto per porre rimedio ai cambiamenti climatici e salvare dall’inquinamento il nostro pianeta. Ma ora, come andare avanti? Suor Sara Brenda, 44 anni, di Cernusco sul Naviglio (Mi), una laurea in Giurisprudenza e un’altra in Teologia, è stata preside per otto anni dei licei dell’Istituto Marcelline Tommaseo di Milano.

Nel 2017 ha fondato, suor Sara insieme a Caterina Micolano della cooperativa sociale Camelot, la Scuola per lo sviluppo sostenibile (www.sustainabledevelopmentschool.it), un progetto che rivede la didattica e l’organizzazione scolastica alla luce dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. Un modello innovativo che è già in corso di sperimentazione all’Istituto Tommaseo di Milano, in due scuole del mantovano e in un istituto professionale di Bari. E che è diventato oggetto di studio da parte del Ministero dell’istruzione.

La sedicenne svedese Greta Thunberg è diventata il riferimento dei ragazzi di tutto il mondo per la sua ostinata richiesta agli adulti di cambiare il modello di sviluppo, prima che sia troppo tardi per il nostro pianeta. L’adesione è sfociata nello sciopero generale per il clima dello scorso 15 marzo. Come mai tanti studenti la seguono?

«Questa ragazza ha cominciato ad agosto dello scorso anno ad andare tutti i venerdì davanti al parlamento svedese per chiedere agli adulti di non perdere tempo, e curare con scelte concrete la “febbre” della terra. La sua tenacia ha spinto sempre più persone ad ascoltarla, è stata invitata a parlare alle Nazioni Unite e ora anche da papa Francesco. La protesta e la denuncia sono diventati per i ragazzi della sua età, e anche più piccoli, un modo per appropriarsi di un proprio spazio di parola, di esercizio di diritto e di azione. Una certa fisionomia del mondo sta facendo crescere una generazione senza speranza perché si sente impotente. E Greta ha innescato una salutare reazione a questo».

Come andare avanti ora?

«La testimonianza di Greta, insieme a quella di altri giovani come lei, ci motiva ancora di più ad assumere in modo deciso a livello scolastico il tema complesso del cambiamento climatico e, vista l’urgenza di affrontarlo, farci aderire al movimento globale che chiede azioni concrete e congiunte ai governi. Ci stiamo interrogando su come educare ed educarci a nuovi stili di vita».

Com’è nata la scuola dello sviluppo sostenibile?

«Da preside mi accorgevo che le indicazioni ministeriali rischiavano di frammentare sempre più il progetto educativo. Nei programmi si inseriva l’educazione ambientale accanto all’informatica, alle lingue, magari all’educazione civica, con l’obiettivo di aumentare le competenze dei ragazzi. Ma mi chiedevo: “Perché applicare queste metodologie? Qual è la finalità educativa? Che umanità voglio educare?”. Il ministero ti dice su quali competenze lavorare ma non che persona vuoi aiutare a crescere».

In che cosa consiste questo nuovo modello?

«È un progetto che abbiamo creato nel 2017 per cambiare dall’interno sia la didattica che l’organizzazione scolastica. Abbiamo riscritto il piano educativo orientandolo ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, e ispirandoci alla Laudato si’ di papa Francesco. L’educazione alla sostenibilità è diventata un orizzonte di riferimento che aiuta i ragazzi a vedere la connessione fra le materie che studiano. E a capire che le sfide del mondo di oggi, dalla lotta alla povertà alla tutela dell’ambiente, sono integrate e vanno affrontate insieme».

Cosa ha comportato questo per la vostra scuola?

«Ha significato allargare ancora di più la partecipazione degli insegnanti alle decisioni, radicare ancora di più la scuola sul territorio creando delle figure specifiche che si occupassero del rapporto con le università, le aziende, le associazioni della società civile. La sfida non è solo che la scuola affronti i temi della sostenibilità, ma che diventi un centro propulsore dello sviluppo sostenibile».

Che significato ha per una scuola cattolica muoversi in questa direzione?

«In gioco c’è non solo la cura della nostra casa comune, cioè la Terra, ma anche la costruzione della comunità umana, che è anche un esercizio di carità cristiana».

Ci vuole un piglio da manager per creare un progetto del genere. Ma com’è che ha scelto di abbracciare la vita consacrata?

«Mentre frequentavo l’università era nata a Cernusco sul Naviglio l’oasi di preghiera Santa Maria. Il cardinale Carlo Maria Martini voleva creare dei luoghi di preghiera in città e quello fu il primo. Io facevo parte del gruppo catechisti e il parroco mi chiese se volessi dare una mano alle suore di Santa Marcellina che animavano questa esperienza».

Cosa l’ha affascinata del carisma delle Marcelline?

«L’aspetto educativo, l’impegno a far crescere relazioni che portino te e la persona che hai davanti a cercare sempre di più il vero e il bene. E poi l’informalità: c’è uno stare in mezzo alle persone alla pari, con un’attenzione alla cultura decisivo».   

 
 
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