A
distanza di due giorni, la dinamica dei tragici fatti è nota, ma
restano alcuni punti non chiariti. Come del tutto oscuro resta il
movente di un gesto così efferato: il pomeriggio di domenica 7
settembre, le due saveriane Olga Raschietti, 83 anni, e Lucia Pulici,
che avrebbe compiuto 76 anni il giorno seguente, sono state
barbaramente uccise nella loro casa presso la parrocchia di Kamenge,
popoloso quartiere della periferia nord della capitale burundese
Bujumbura. Quartiere famoso in tutto il paese per il Centro Giovanile
Kamenge, imponente progetto voluto e animato proprio dai Missionari
Saveriani, per offrire un'alternativa all'odio tra etnie e insegnare
ai giovani a «fare del mondo una sola famiglia», come diceva lo
slogan del fondatore, san Guido Maria Conforti.
Oscura la dinamica dei fatti
Ecco
il racconto che ce ne ha fatto suor Silvia Marsili, vicaria generale
delle Saveriane nella casa madre di Parma: «Le altre due consorelle
erano uscite per recarsi in aeroporto a prendere alcune saveriane in
arrivo dall'Italia, ma al ritorno hanno trovato tutto chiuso, nessuno
rispondeva. Subito si sono allarmate, perché le due sorelle erano
anziane e non in buone condizioni di salute. Un primo giro nel
quartiere non ha dato esito. Tornate a casa, hanno scoperto che una
porticina sul retro era aperta, una delle due è entrata e ha trovato
suor Lucia e suor Olga a terra in un bagno di sangue. Presto sono
accorsi i padri saveriani, le autorità civili e religiose e la gente
del quartiere e poi, più tardi, è arrivato anche qualcuno per
ricomporre i corpi. La casa delle sorelle e quella dei padri sono a
ridosso della parrocchia dedicata a Guido Maria Conforti. Dopo aver
fatto pulizia, le altre sorelle (quattro, comprese quelle giunte
dall'Italia) sono andate a riposarsi. Hanno deciso di rimanere in
quella casa, anche perché all'esterno c'era la polizia di guardia.
Nel cuore della notte, qualcuno è entrato di nuovo in casa. Solo
suor Bernardetta Boggian, 79 anni, non aveva chiuso a chiave la porta
della camera. E così proprio lei, che aveva trovato le sorelle
uccise solo poche ore prima, ha subito la stessa sorte. Un'altra
delle sorelle ha sentito dei rumori e ha visto la maniglia della sua
stanza muoversi. La regionale, suor Mercedes, che era in una delle
altre camere, ha sentito un grido, e subito col cellulare ha
avvertito i padri. Quando sono arrivati i soccorsi, sono uscite dalle
loro stanze e hanno trovato Bernardetta nel suo letto, uccisa».
Quanto
alle ipotesi sul movente, suor Silvia non si sbilancia. Si limita a
sottolineare: «Le sorelle erano tranquille, non avevano alcun motivo
di preoccupazione, né alcun sentore di pericolo. Durante la
giornata, si era visto gironzolare nei paraggi un uomo squilibrato,
ed è stato facile pensare a lui, ma in realtà non c'è alcun
indizio a suo carico e si potrebbe commettere un grossolano errore
attribuendogli la colpa».
Restano
alcuni punti oscuri, nella vicenda, ad esempio come l'assassino (se
si tratta di una persona sola) abbia potuto introdursi in casa di
nuovo durante la notte, quando l'abitazione era sorvegliata dalla
polizia. E come poi abbia potuto allontanarsi indisturbato. Secondo
qualcuno, in realtà era rimasto nascosto in casa, ma dopo il primo
duplice omicidio la casa era stata perquisita. L'altro grosso dilemma
riguarda l'efferatezza del gesto: il movente della rapina, ipotizzato
in un primo momento, non regge, sia perché nulla è stato sottratto
in casa, sia perché non giustificherebbe la barbarie. Le modalità
dell'uccisione sono tra l'altro abbastanza inusuali in queste zone e
parrebbero frutto di odio o vendetta molto accesi. La violenza
sessuale, di cui ha parlato la polizia burundese (ma oggi smentita da
alcune fonti missionarie), parrebbe confermare l'ipotesi, anche se
questo, a differenza dello sgozzamento e della decapitazione, è uno
strumento frequente, tanto da essere usato come sistematica arma di
guerra nel confinante Congo, dove tutte e tre avevano lavorato per
molti anni.
La
polizia avrebbe già ieri fermato e interrogato qualcuno (una o due
persone, a seconda delle fonti), ma un contatto locale, che
preferisce l'anonimato, ci spiega che in genere il lavoro degli
agenti locali non è accurato e ciò che preme non è arrestare il
colpevole, ma un
colpevole,
che poi magari scapperà di prigione una volta che le acque si
saranno calmate. Speranze di far luce sulla vicenda ce ne sono poche.
La fonte poi ci racconta un particolare: tra i sospettati, in molti
avevano subito pensato al cuoco, che era stato da poco licenziato
perché sorpreso a rubare. Ma proprio suor Bernardetta, in serata,
aveva fermato la folla che stava per linciarlo, chiedendo di
lasciarlo andare in pace. Il suo ultimo atto di amore e fedeltà al Vangelo, prima di pagare anche lei con la vita la scelta di tornare
in Africa e dedicare le ultime energie ai più poveri.
Chi erano
Suor
Olga Raschietti, racconta ancora la vicaria generale Silvia Marsili,
era partita la prima volta nel 1968, per l'allora Zaire (oggi
Repubblica Democratica del Congo) e vi aveva lavorato molti anni, con
qualche pausa in Italia, poi nel 2010 era stata destinata alla
parrocchia di Kamenge, in Burundi. Si occupava di evangelizzazione e
della formazione di catechisti e catecumeni
Suor
Lucia Pulici, che avrebbe compiuto gli anni proprio il giorno dopo,
era partita nel 1970 per il Brasile, dove aveva lavorato per dodici
anni come infermiera e ostetrica tra i più poveri. Nell'82 era poi
stata inviata in Congo e infine, nel 2007, a Kamenge, dove aveva
aiutato a creare un dispensario con maternità. La sua salute era
ormai fragile e, pur non riuscendo più a lavorare come ostetrica,
aveva scelto di restare come presenza, accoglieva la gente, aiutava i
poveri, dava sostegno in parrocchia
Suor
Bernardetta, infine, era partita nel 1970 per il Congo, lavorando
come le altre nella provincia orientale del Sud Kivu, al confine con
il Burundi. Si occupava di pastorale e di promozione della donna, di
alfabetizzazione femminile e per qualche anno anche della formazione
delle giovani congolesi che aspiravano a diventare saveriane. A due
riprese era stata consigliera generale della congregazione. Poi nel
'97 era rientrata in Congo, a Luvungi (sempre nel Sud Kivu),
dedicandosi all'alfabetizzazione degli adulti. E infine era stata
destinata a Kamenge a fine 2007, per attività pastorale e caritativa.
«Io»,
conclude con un sospiro suor Silvia, «sono fiera delle nostre
sorelle, che malgrado gli acciacchi hanno deciso con gioia ed
entusiasmo di ripartire, dando la vita per gli ultimi».