Le drammatiche immagini di migliaia di cadaveri che bruciano in pire improvvisate per le strade della capitale New Delhi e in diverse grandi città Indiane stanno facendo il giro del mondo. La pandemia da Covid19 sembra essere esplosa inaspettatamente in India negli ultimi due mesi. Il numero dei contagi è schizzato e i numeri ufficiali parlano di oltre 450 mila nuovi contagi e oltre 3000 morti giornalieri. Tuttavia, da più parti, osservatori e conoscitori dell’India stimano prudenzialmente che i numeri reali siano almeno 15-20 superiori. Ad avvalorare queste stime ufficiose si segnalano la carenza di strutture ospedaliere nelle aree rurali, l’assenza di processi affidabili di raccolta dati, la difficoltà di effettuare studi sulle cause dei decessi, la difficoltà estrema di attuare misure di distanziamento sociale considerando l’altissima concentrazione di persone nelle città come all’interno dei nuclei familiari.
La drammatica crisi indiana ha attivato la generosa macchina della solidarietà e degli aiuti umanitari internazionali non solo nel G20. Possiamo essere orgogliosi che l’Italia sia stata tra i primi a mettersi in moto anche grazie alla spinta dell’ambasciatore Vincenzo De Luca e di tutto lo staff della nostra ambasciata a Delhi. Nei giorni scorsi è arrivato nella capitale un primo volo della protezione civile con un impianto che garantirà la produzione di ossigeno in quantità tale da soddisfare le esigenze di un ospedale insieme a ventilatori e altre attrezzature e medicinali.
La solidarietà umana è un valore fondamentale che la società occidentale internazionale riconosce e mobilita di fronte a crisi umanitarie di queste dimensioni e si è mostrata anche in questa situazione.
Tuttavia, al di là delle emozioni e dei sentimenti di solidarietà per la popolazione indiana così fortemente colpita, è opportuno fare qualche riflessione.
La prima considerazione è se un membro del G20, secondo paese al mondo per numero di abitanti e settimo paese al mondo per PIL (Prodotto Interno Lordo) nominale (superiore a quello dell’Italia e ormai vicino a quello della Gran Bretagna) possa ancora essere considerato un paese in via di sviluppo. Nel lungo periodo di inizio secolo a una crescita vertiginosa del PIL non ha corrisposto un pari incremento del reddito pro-capite e una distribuzione equilibrata della ricchezza nonché della qualità dei servizi sociali.
Il Premio Nobel per l’Economia Amartya Sen pubblicò nel 2014 un volume, An Uncertainty Glory, ricco di dati e statistiche nel quale documentò come l’India, nel periodo 2007-2012, a fronte del più grande afflusso di investimenti mai ricevuto nella storia da parte di investitori internazionali e da indiani residenti all’estero, e di una crescita dei principali indicatori economici, in realtà ha perso posizioni su un gran numero di indicatori sociali: dalla mortalità infantile all’alfabetizzazione, dal tasso di abbandono scolastico all’assistenza sanitaria fino alle forniture di servizi base (distribuzione di acqua ed energia). Colpisce ancor di più che la perdita di posizione sugli indicatori sociali non sia avvenuta nel confronto con i paesi più sviluppati ma con i paesi limitrofi (Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Nepal, Myanmar).
In poche parole, all’aumento della ricchezza apparente ha corrisposto un aumento degli squilibri sociali e delle disuguaglianze con la parte più povera della società.
Nella sua documentata analisi Amartya Sen individuò due grandi cause di questa enorme contraddizione storica: la corruzione (male endemico e sistemico) e l’inefficienza della pubblica amministrazione.
Le cose non sono troppo cambiate in questi ultimi anni come dimostra il budget di spesa pubblica 2021-2022 approvato dal Ministero delle Finanze e pubblicato nello scorso mese di Febbraio.
La tabella mostra la distribuzione della spesa pubblica tra i diversi Ministeri a un anno esatto di distanza dallo scoppio della Pandemia Covid-19.
Ministero
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Attuali
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Previste
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Riviste
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Previste
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2019-20
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2020-21
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2020-21
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2021-22
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Difesa
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56.624.500.000
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58.922.250.000
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60.592.000.000
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59.774.500.000
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Cibo e pubblica distribuzione
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14.637.000.000
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15.566.875.000
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56.335.875.000
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32.118.500.000
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Interni
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16.872.250.000
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20.906.250.000
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18.673.500.000
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20.818.375.000
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Sviluppo rurale
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15.452.750.000
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15.299.750.000
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24.828.625.000
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16.711.250.000
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Agricoultura
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12.721.875.000
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17.845.250.000
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15.565.000.000
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16.441.375.000
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Trasporti stradali e autostrade
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9.781.125.000
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11.477.875.000
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12.727.875.000
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14.762.625.000
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Ferrovie
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8.746.500.000
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9.027.000.000
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13.904.250.000
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13.756.875.000
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Istruzione
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11.179.625.000
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12.414.000.000
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10.636.125.000
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11.653.000.000
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Prodotti chimici e fertilizzanti
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10.257.875.000
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8.987.125.000
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16.944.875.000
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10.089.375.000
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Comunicazioni
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5.492.375.000
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10.244.625.000
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763.250.000
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9.408.125.000
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Sanità e welfare
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8.032.250.000
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8.389.000.000
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10.366.000.000
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9.241.500.000
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Acqua
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3.210.375.000
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3.809.750.000
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3.035.750.000
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8.631.625.000
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Abitazioni
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5.256.750.000
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625.500.000
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5.848.875.000
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6.822.625.000
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Altri ministeri
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157.526.125.000
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181.133.875.000
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174.197.125.000
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205.174.750.000
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Spesa totale
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335.791.375.000
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374.649.125.000
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424.419.125.000
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435.404.500.000
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La spesa pubblica dal Governo dell’India è pari a oltre 420 miliardi di Euro e rappresenta il 17% sul PIL (Prodotto Interno Lordo). Tuttavia, ripensando alla crisi sanitaria di questi giorni un dato stride su tutti: al Ministero della Difesa sono state assegnate risorse sei volte superiori a quelle assegnate al Ministero della Sanità e welfare (incluse le spese pensioni). Gli ospedali pubblici, dotati di poche risorse, sono al collasso e denunciano carenze di ogni tipo (strutture, attrezzature, medici eccetera, eppure le spese per militari e armamenti sono sei volte superiori. Osservando la serie storica dei dati negli ultimi anni questa proporzione è rimasta sostanzialmente invariata.
In aprile 2020 un dato proveniente dal Ministero della Sanità segnalava che un paese di un miliardo e 400 milioni di persone disponeva negli ospedali pubblici di circa 750 mila posti letto di cui 40 mila destinati a terapia intensiva e solo 20 mila dotati di ventilatori (senza ventilatori non si può parlare di terapia intensiva), con condizioni igienico-sanitarie inferiori agli standard internazionali.
L’impianto di produzione di ossigeno e 20 ventilatori appena inviati generosamente dall’Italia a un ospedale di New Delhi sono un segnale molto concreto di cui essere orgogliosi, ma purtroppo costituisce una goccia nel mare rispetto al fabbisogno.
Il confronto tra queste cifre, i dati ufficiali attuali (450 mila nuovi contagi e oltre 4.000 morti al giorno) e la composizione del bilancio di spesa pubblica è impietoso.
Cosa è stato fatto negli ultimi 12 mesi? Quanti posti in terapia intensiva e impianti di produzione di ossigeno sono stati creati? Perché, in piena pandemia nel mondo, il Governo Indiano ancora preferisce approvare un budget in cui la spesa militare è sei volte a quella per salute e pensioni messe insieme?
Altre perplessità sorgono osservando le scelte del Governo Indiano rispetto al programma COVAX (Covid 19 Vaccine Access Facility), iniziativa internazionale avviata nel giugno del 2020 e guidata dall'OMS (Organizzazione mondiale della Sanità), da Gavi Alliance e dalla CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations) allo scopo di accelerare la produzione di vaccini contro Covid-19 e garantire un accesso d equo a tutti i Paesi del mondo. A questa iniziativa hanno aderito 190 paesi. Il programma ha fissato l’obiettivo di acquistare vaccini anti Covid-19 per immunizzare il 20% della popolazione più a rischio in tutto il mondo. I Paesi ad alto e medio reddito dovrebbero contribuire finanziariamente per poi ricevere una quota dei vaccini acquistati, mentre i Paesi più poveri acquisirebbero i vaccini gratuitamente.
Covax ha assegnato almeno 330 milioni di dosi di vaccino ai Paesi più poveri, di cui 240 milioni di dosi del vaccino AstraZeneca-Oxford University prodotto su licenza dal Serum Institute of India (Pune).
Sebbene la pandemia fosse diffusa da mesi e ci fosse urgenza di pianificare e avviare una campagna di vaccinazione di massa il governo Indiano ha preso accordi con oltre 20 Paesi africani promettendo di consegnare dosi di vaccino prodotte in India. Dopo le prime consegne di qualche milione della prima dose l’India ha preso la decisione di bloccare le esportazioni di Astra Zenica prodotta dal Serum Institute lasciando i Paesi africani allo scoperto. La frazione di popolazione africana che ha ricevuto la prima dose non sa se e quando riceverà la seconda. Il resto della popolazione resta senza vaccino. In questo momento è in atto un negoziato tra l’India e i Paesi africani con la mediazione dell’OMS per trovare una via d’uscita.
Sapendo che in India la pandemia è in corso da mesi non era proprio possibile pianificare meglio questa operazione? La politica estera basata sui vaccini pensata dall’India sfruttando un programma internazionale e la produzione di Astra Zeneca in India si sta rivelando un boomerang.
In questo quadro generale si inseriscono anche notizie sconcertanti, come quella recentemente pubblicata dal Times of India, il principale quotidiano indiano: mentre la parte più povera della popolazione faticava a trovare un posto letto o una bombola d’ossigeno, il sito Flight Away offriva voli diretti dalle principali città indiane (Delhi, Mumbai, Ahmedabad) alla Gran Bretagna organizzati da alcune compagnie di jet privati (VistaJet, VTHai, Qatar executive), con prezzi che raggiungevano i 70 mila euro a biglietto. Impressiona il fatto che tali voli siano stati numerosi e pieni di passeggeri.
Questo esempio mostra in modo palese come la pandemia stia accentuando le differenze tra la parte super ricca e la massa della popolazione.
Le disparità si sono accentuate in quest’ultimo anno anche nel mondo del lavoro. Pochi giorni prima del Lock-down ordinato nel Marzo 2020 il Governo Indiano ha introdotto una legge per vietare il icenziamento e la rinegoziazione al ribasso dei salari da parte delle imprese. Il governo ha tutelato i lavoratori? No. E questo per alcune semplici ragioni. In primo luogo, si stima che in India oltre 400 milioni di persone lavorino nell’economia informale (autisti di rikscio, tassisti, venditori di street food, operai nei cantieri, personale al servizio delle famiglie eccetera) con retribuzione a giornata e senza alcuna tutela né ammortizzatori sociali. Per tutte queste persone il lock-down ha avuto come unico effetto l’interruzione di qualsiasi reddito. In secondo luogo, vi sono distinzioni tra imprese straniere con sede in India e quelle locali: le prime sono soggette a controlli sul lavoro più rigorosi di quelle locali dove troppo spesso i rapporti sono verbali e senza tutele. In terzo luogo, la pandemia ha messo in crisi interi settori ad alta intensità di manodopera (tra questi anche il tessile abbigliamento), che hanno registrato un calo consistente degli ordinativi di produzione da parte di aziende e marchi occidentali. I pochi ordinativi ricevuti hanno esercitato una forte spinta al ribasso dei salari sfruttando persone disposte a tutto pur di ricevere qualche compenso.
Infine, non si può tacere il modo in cui il sistema politico Indiano ha affrontato la fase della pandemia da ottobre 2020 in poi. Mentre in Europa e in altre parti del mondo si è chiesto ai cittadini l’enorme sacrificio di anteporre la salute all’economia impedendo in tutti i modi le aggregazioni sociali, in altri Paesi (tra cui Stati Uniti, Brasile e India) si sono adottate strategie di minimizzazione della pandemia. In India diversi osservatori hanno evidenziato l’esistenza di un legame tra i problemi dell’economia indiana (antecedenti lo scoppio della pandemia), il timore di una sconfitta elettorale e l’atteggiamento a dir poco leggero rispetto all’autorizzazione allo svolgimento di grandi festival religiosi come il Kumb Mala (festa induista alla quale hanno preso parte oltre un milione di persone), lo stagione del cricket (alcune partite hanno registrato oltre 100 mila spettatori) e le elezioni previste in diversi Stati (nel mese di aprile). Nell’antica Roma si utilizzava la locuzione “Panem et circenses”. Purtroppo questo si è inserito in uno scenario in cui, malgrado gli annunci roboanti, la pandemia era tutt’altro che debellata.
La comunità internazionale fa bene a mobilitarsi per aiutare la parte più debole della popolazione alle prese con una nuova crisi umanitaria di proporzioni bibliche, ma viene spontaneo domandarsi dove siano e cosa abbiano fatto la classe politica e l’élite economica per tutelare i propri connazionali.
Ancora una volta l’India presenta il lato debole della sua complessa società. La crescita della ricchezza si accompagna all’aumento delle disparità e degli squilibri sociali e ancora una volta sembra che il pendolo della storia riporti indietro l’India di decenni.
La terra delle grandi opportunità e promesse di sviluppo si ripresenta al mondo nelle vesti di un gigante dai piedi d’argilla.
Se i primi chiamati ad occuparsi della salute e del benessere del proprio popolo privilegiano le spese per gli armamenti, gli interessi elettorali o gli egoismi individuali non può che sorgere spontaneo qualche dubbio se tanta solidarietà e generosità internazionale sia meritata.
Cesare Saccani
Imprenditore, Past President Indo Italian Chamber of Commerce, Camera di Commercio indo-italiana