Non sempre è facile interpretare in un bambino
i segnali che possono far pensare a una depressione
o che sono semplicemente spunti depressivi,
al di là dell’aria triste che non richiede sforzi interpretativi.
Bambini apatici spesso sono considerati semplici lazzaroni e per questo rimproverati: «Non si impegna abbastanza, non ha interessi!». L’isolamento fa pensare a difficoltà di relazione. La poca voglia di provare e manifestare piacere fa pensare a difficoltà di relazione e procura antipatia. Disturbi come cefalea, dolori addominali, insonnia, di cui ci si preoccupa dal punto di vista puramente fisico, vanno indagati anche nell’ottica psicosomatica.
Anche autodenigrazione, manifestazioni di scarsa stima di sé, autocolpevolizzazione, sono manifesti di scarsa autostima che può deragliare in depressione. Anche l’incapacità di concentrazione è fra i possibili segni spesso misconosciuti di depressione: «Sta attento, non essere distratto, concentrati!».
Il frequente comportamento da sciocco, da pagliaccio, rivela un tentativo autoriduttivo di imporsi all’attenzione, che, infastidendo, ottiene l’effetto opposto, rinsaldando la poca considerazione di sé.
Scarsa autostima che si può esprimere anche in un persistente, esagerato, spesso immotivato senso di colpa. Reazioni depressive più marcate e di possibile cronicizzazione sono anoressia, perdita di peso, abbattimento, idee di morte e di suicidio. Anche tante sospette iperattività sono in realtà reazioni depressive, o difese dalla depressione, così come spesso i comportamenti aggressivi e antisociali. Quando tutto ciò si cronicizza, allora si deve parlare di depressione infantile (vedi DSM IV).
Il sentimento di identità comincia a svilupparsi in
modo tangibile nel periodo della seconda infanzia,
quando le attività sociali assumono più grande spessore,
soprattutto con l’inizio dell’attività scolastica, e
nell’età scolare si rendono più evidenti, e spiccano nella
classe, i segnali che ho elencato, riuniti o isolati.
Dalla
frequente e attenta osservazione di bambini ad alto
potenziale intellettivo che
presentavano uno o più
dei sintomi è nata l’idea
di iniziare a indagare se la
superdotazione intellettiva,
nella situazione attuale
della scuola, sia un fattore
collegato alla depressione
o a sintomi depressivi
infantili in modo statisticamente
significativo.
Abbiamo, quindi, preso in esame un gruppo di trentasette bambini, ugualmente distribuiti fra ambo i sessi, provenienti da tutte le regioni d’Italia, il cui Quoziente Intellettivo è compreso fra 130 e 159 alla scala Wisc III-R. Ricordo che l’area considerata di “intelligenza straordinaria” inizia ai 30 di Q.I. globale.
Non abbiamo considerato separatamente il Q. Verbale e il Q. Performance.
Abbiamo considerato come parametri la depressione dichiarata, il rifiuto di andare a scuola, le sensazioni persecutorie unite alla diffidenza verso compagni di scuola e insegnanti, l’isolamento, la noia costante, la demotivazione allo studio.
Nel 5,5% di questo
gruppo di bambini si può
parlare di “depressione dichiarata”.
Nei bambini restanti
abbiamo constatato
la presenza di demotivazione
nell’89%, di noia
nel 27%, di ribellione alla
scuola nel 24%, di isolamento
nel 22%, di sensazioni
persecutorie nel
5%, di rifiuto di andare a
scuola nel 5%. Solo il 5%
dei bambini non dichiara
alcun problema.
Considerato che nell’intera popolazione infantile, dai 6 ai 12 anni, i casi di depressione sono circa il 2,5%, si deduce che i bambini ad alto potenziale intellettivo sviluppano sintomi di depressione in quantità statisticamente più elevata rispetto al gruppo di tutti gli altri bambini. Inoltre il 67% mostra problemi che, se non sono sufficienti a decretare una depressione, sono però a essa predisponenti e possono essere considerati come fattori di rischio elevato.
Dato che questi problemi si evidenziano in coincidenza con la frequenza scolastica, sia nella scuola dell’infanzia sia nella primaria, è chiaro come sia necessaria per un’adeguata prevenzione la formazione specifica degli insegnanti a riconoscere questi bambini e ad attuare una didattica e un comportamento a loro adatto.
Non è difficile comprendere le cause della frequenza di sintomi
depressivi nei bambini ad alto potenziale intellettivo.
Sono una
minoranza: il 3% della popolazione infantile è intellettivamente
superdotato, il 5% molto dotato. Hanno un pool non comune di capacità
percettive, intellettive, ma anche di “sensibilità”: quel mix ancora
poco definibile che permette di intuire, empatizzare, soffrire, gioire,
di cui vediamo soltanto alcune espressioni e la cui risultante chiamiamo
intelligenza e che tendiamo a interpretare prevalentemente dal punto di
vista cognitivo.
Questi bambini, in una classe dove generalmente nessun
altro bambino è in sintonia con loro, si trovano, proprio nello spazio
dedicato principalmente all’apprendimento, di fatto isolati e quasi
sempre non compresi neppure dall’insegnante.
Generalmente l’insegnamento
non è abbastanza personalizzato da consentire anche a loro pari
opportunità di apprendimento, e i loro entusiasmi, le loro domande, la
loro capacità di andare verso le conquiste della mente sono frustrate.
Ovviamente i bambini non hanno mezzi per valutare il significato della
loro situazione, e la reazione alla diversità è sempre un disagio, un
senso di inferiorità.
La solitudine o meglio, l’isolamento, sono una
realtà per il bimbo superdotato, che non può neppure godere del
prestigio e della cura che si rivolge ai bambini dotati nel campo della
fisicità.
Chi eccelle nelle attività fisiche, infatti, presto può essere
affidato a maestri speciali, è continuamente gratificato e stimolato,
acquista l’abitudine alle prove e agli errori, che subito possono essere
seguiti da un successo.
Così i bambini che si distinguono in discipline
apprezzate fuori della scuola, come la musica. I saggi delle scuole
musicali, la musica di insieme, l’esaltazione delle prime composizioni,
danno ai piccoli musicisti una percezione buona di sé e favoriscono la
visione del futuro, del progetto, delle esperienze positive che danno
speranza e fiducia.
Nulla di questo al bambino superdotato. Le sue
domande irritano, la sua prontezza si traduce in noia perché nessuno
compensa il tempo che intercorre fra la loro comprensione e quella degli
altri, i tentativi di mettersi in luce vengono umiliati.
Se un bambino
scrive o disegna qualcosa di straordinario viene spesso accusato di “non
averlo fatto da solo”.
Se dà a un problema una soluzione il cui
risultato è giusto, ma ottenuto con un procedimento non banale, molto
spesso gli si impone di seguire il metodo approvato dall’insegnante,
altrimenti il risultato può essere casuale. Se legge o scrive prima
degli altri, deve spesso fingere di non esserne capace, perché molte
scuole dell’infanzia non accettano tali performance.
Di solito questi bambini
entrano nella scuola
con molte aspettative,
convinti che impareranno,
leggeranno, scriveranno,
scopriranno un mondo
nuovo. Il loro entusiasmo
iniziale è presto deluso,
e, si sa, le delusioni, soprattutto
precoci, non fanno
bene!
Questo succede
in modo più drammatico
ai bambini con tendenza
al pensiero creativo, ancora
più misconosciuti degli
altri, perché insoliti nelle
loro affermazioni e interpretazioni.
Questi bambini
spesso non sanno neppure
comunicare efficacemente
le proprie idee, visto
che spesso faticano a
comprendere il pensiero
comune e quindi a elaborare
un linguaggio adatto
ai più.
Proprio il pensiero
innovativo, che sarebbe
così utile a prevedere problemi
futuri e ad evitarli o
a risolverli, viene perciò
assai spesso mal interpretato
o per nulla recepito.
I piccoli creativi sono inquietanti
soprattutto per
gli insegnanti rassicurati
dalla prevedibilità, e vengono
così bloccati, impediti
in una parte essenziale
del loro essere.
Con alcuni bambini che si sono presentati con sintomi depressivi è stato necessario un intervento psicoterapico. Per esempio, un bimbo di 4 anni, iperdotato, non mangiava più altro che liquidi da un anno.
È stata scoperta una correlazione di questo sintomo con il comportamento che alla scuola d’infanzia avevano tenuto con lui gli insegnanti, comportamento che gli aveva fatto pensare di poter essere strozzato dal cibo.
Dapprima limitata alla scuola, questa paura si era estesa al cibo in generale. Il rifiuto della scuola era totale. Dopo un anno di lavoro, il bambino è stato mandato in un asilo a metodo montessoriano, che permette e prevede l’individualità dei percorsi.
Oggi è un bambino normalmente contento che mangia con grande appetito!
Ricordo che nella scuola Trabucchi, l’unica dedicata ai bambini
superdotati che a oggi sia stata realizzata in Italia, i bambini non
manifestavano segni depressivi, se non in coincidenza con eventi
familiari traumatici come i lutti o le separazioni.
L’atteggiamento e l’attuazione di una didattica adatta ai bambini superdotati può essere determinante nell’evitare l’insorgenza o nel ridurre la presenza di sintomi depressivi.
Il ricorso allo psicologo non è sufficiente e spesso neppure indicato: ricordiamoci che la scuola è l’ambito più rilevante per i bambini, spesso l’unico alternativo alla famiglia.
Un comportamento e una didattica adeguata possono improntare tutta la vita di un bambino, e gli insegnanti, nonostante le frustrazioni che ricevono da più parti, devono essere coscienti del loro insostituibile ruolo.
In questa direzione vanno l’innovativa istituzione, voluta dal ministro Gelmini, della figura professionale del “formatore di insegnanti per bambini ad alto e altissimo potenziale intellettivo” e i laboratori didattici che Eurotalent terrà nel corso dell’anno in diverse Regioni d’Italia.
Quanto alla ricerca qui
esposta, è soltanto un inizio,
da completare.
Bisogna
per esempio considerare
quanti bambini con
sintomi depressivi si sono
rivelati ad alto potenziale
intellettivo e quanti si siano
normalizzati a seguito
di un intervento della
scuola.
Quali i sintomi
più frequentemente mutati
a causa di un intervento
didattico e comportamentale
adeguato.
Quali gli interventi
e quali gli errori
più incisivi su ogni tipo di
sintomo.
La strada è ancora
lunga.
Io spero che gli insegnanti di tutt’Italia si interessino a questo argomento, portando avanti una ricerca ancora agli inizi, e priva quasi completamente di precedenti.
Quanto alle famiglie i cui bambini dimostrano, dopo l’entrata nella scuola, sintomi di demotivazione e di noia, tendenza a rifiutare la scuola, fatica a sentirsi in sintonia con i compagni, ribellione o apatia, la prima cosa da fare è indagare il motivo, astenendosi dal facile criticare i bambini o dallo sterile rivolgersi agli insegnanti dando loro ragione o torto a priori.
In ogni caso, bisogna essere attenti a ogni calo di entusiasmo e
rimotivare il bambino principalmente alla giusta stima di sé. Può essere
utile anche la frequenza ad attività extrascolastiche, come un corso di
musica o di pittura, o partecipare alle iniziative che molti musei
organizzano per i bambini.
Qualunque scintilla di interesse nuovo, qualunque prospettiva di un
lavoro mentale che porti risultati e permetta di vedere oltre è un aiuto
al progetto, alla speranza, alla stima di sé e alla fiducia critica ma
solida nell’autorità buona.
Il centro studi Erickson dedica a questo
problema e alla sua soluzione un workshop nell’ottava edizione del
Convegno Internazionale “La Qualità dell’integrazione scolastica e
sociale”, il 19 novembre a Rimini.