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lunedì 07 ottobre 2024
 
 

Non mettete all'asta la tenuta del boss

24/08/2013  La più grande tenuta del Centro Italia confiscata alla mafia 19 anni fa è stata messa all'asta, ignorando i progetti di riutilizzo sociale avanzati da enti locali e associazioni. Con il rischio che il bene, anziché essere restituito ai cittadini, torni alla criminalità organizzata.

Storia triste di un bene confiscato alla mafia e infine messo all'asta. Dicannove anni fa, la prima confisca. La tenuta di Suvignano a Monteroni d'Arbia, in provincia di Siena - 713 ettari di terreno, 600 coltivati a cereali e prato, tre centri  zootecnici, 2.000 ovini, 350 cinte senesi - viene acquistata dal costruttore palermitano Vincenzo Piazza. Nel 1983, Falcone, sospettandone i rapporti con Cosa nostra, gli sequestra i beni, compreso questo. Pizza riesce poi a tornarne in possesso, ma nel 1984 viene arrestato proprio a Suvignano per associazione mafiosa. I magistrati pongono definitivamente sotto confisca la proprietà nel 2007, confisca che, quando la condanna di Piazza passa in giudicato, diventa definitiva.

Dopo anni di amministrazione giudiziaria, arriva le decisione dello Stato di mettere all'asta questo patrimonio, con l'obiettivo di incassare il più possibile.
Il progetto presentato da Regione, Comune e associazioni come Libera, Arci e Terra futura, volto al riutilizzo sociale della tenuta, viene rigettato. La loro proposta prevedeva di restituirla alla comunità attraverso il pagamento di un affitto simbolico e la concessione all'Azienda agricola regionale di Alberese, in modo da avviare un'attività basata su un'agricoltura a filiera corta, energie rinnovabili, la creazione di una scuola di legalità, l'utilizzo di alcune coloniche per accogliere ragazzi disagiati e donne maltrattate.

Insomma, un progetto di grande valore umano e sociale, che avrebbe fatto fiorire, simbolicamente e materialmente i valori della cura della terra, del ruispetto e della difesa di chi è in difficoltà nel cuore di un avamposto della criminalità organizzata. A tutto ciò, si è preferito il vil denaro. Rinunciando al riutilizzo sociale di un bene sottratto al potere di Cosa nostra, inoltre, si corre il rischio che esso ritorni per giri perversi e opachi alla mafia.

 
 
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