La copertina del numero di Civiltà Cattolica che contiene il colloquio con papa Francesco sulla vita religiosa.
La priorità della vita consacrata? «La profezia del Regno, che non è negoziabile». E la tentazione è quella di «giocare a fare i profeti senza esserlo». L'incontro con i 120 superiori generali dello scorso novembre doveva essere breve, soltanto qualche saluto. Si è invece trasformato in un dialogo fitto di quasi tre ore che Civiltà cattolica mette a disposizione di tutti. Un dialogo che traccia l'agenda per i religiosi di oggi scacciando «il fantasma di una vita religiosa come rifugio e
consolazione davanti a un mondo esterno difficile e complesso» e ritornando all'importanza di essere, «religiosi e religiose uomini e donne che illuminano il futuro».
Per questo fine è chiesto ai religiosi è chiesto di "scollocarsi" per «vedere la realtà da più punti di vista
differenti e capire, abituarsi a pensare». Un religioso, spiega Francesco, «deve conoscere davvero la realtà e il
vissuto della gente. Se questo non avviene, allora ecco che si corre il rischio
di essere astratti ideologi o fondamentalisti, e questo non è sano».
E poi va trovato un linguaggio per parlare con gli uomini di oggi, per vivere il carisma, come diceva sant’Ignazio, secondo i luoghi, i tempi e le persone. «Il carisma non è una bottiglia di acqua distillata. Bisogna viverlo con energia, rileggendolo anche culturalmente». Certo, c'è il rischio di sbagliare, dice il Papa, ma «questo non deve frenarci, perché c’è il rischio di fare errori maggiori. Infatti dobbiamo sempre chiedere perdono e guardare con molta vergogna agli insuccessi apostolici che sono stati causati dalla mancanza di coraggio».
Sono molti i temi toccati dal Papa con i religiosi, compreso il capitolo degli abusi o delle "tratte delle novizie".
Soprattutto papa Francesco si è soffermato sulla formazione che deve ricordare ai religiosi che essi sono «persone in grado di svegliare il mondo», ma che devono farlo con dolcezza e con cuore che ama. «Quei religiosi che hanno il cuore acido come l’aceto
non sono fatti per il popolo», insiste il Papa e noi «non dobbiamo formare
amministratori, gestori, ma padri, fratelli, compagni di cammino».