Una delle frequenti visite del cardinale Antonio Luis Tagle nei quartieri poveri di Manila. Foto Ucanews.
Ha gli occhi umidi e la voce rotta il cardinale Antonio Luis
Tagle quando ricorda l’incontro, nel campo di Idomeni, con un giovane musulmano
partito dalla Siria senza famiglia. «Era solo e io mi sono avvicinato, mi ha
spiegato che i genitori lo avevano invitato ad andare via di fronte alla
drammatica situazione che il Paese sta vivendo. Quando gli ho dato un po’ di
pane lui mi ha chiesto se ero musulmano», racconta il cardinale, da un anno
presidente di Caritas internationalis. «Gli ho detto che ero cristiano e lui mi
ha guardato con una tenerezza…». La voce gli si interrompe, mentre risponde
alle domande a margine del suo intervento al Convegno della Caritas in corso a Sacrofano fino al 20 aprile. Ricorda un
altro anziano, che in Libano «parlava
vivacemente, quasi danzando. Ma io non capivo l’arabo. Ho chiesto a un
sacerdote libanese di tradurre il suo messaggio. Era un ringraziamento alla
Chiesa, ai cristiani, alla Caritas. Ci ha detto: “Voi siete l’unica comunità
che si ricorda di noi”».
E da Sacrofano il
cardinale di Manila che si sposta di Paese in Paese per incontrare i poveri - «è uno dei
misteri che conosce solo Dio quante volte ho fatto il giro del mondo», scherza bevendo il caffè - lancia
un appello ai leader del mondo, soprattutto ai cristiani: «Non voglio
condannare nessuno perché non vedo il cuore delle persone, però voglio fare un
appello in nome dei migranti forzati, specialmente gli anziani, gli ammalati e
i bambini. Nel nome della carità e della coscienza umana cercate di sentire la
voce della gente che soffre. Invito i leader ad andare nei campi e a toccare le
mani della mamme, sentire l’odore delle famiglie. Forse la realtà, che è più
grande delle idee e delle teorie ideologiche, può toccare anche il cuore e la
coscienza».
Il cardinale Tagle pensa che questo «sia il momento per
tutti noi, per tutta la famiglia umana, di affrontare le cause. Certo è più
difficile, ma vedere e toccare le conseguenze spinge a chiedersi il perché di
quello che vediamo e tocchiamo. Toccare le conseguenze significa che la mente
comincia a chiedere le cause di questa povertà».
Anche se sembra più semplice alzare muri e steccati,
allontanare i poveri, non vedere. «I
muri esteriori», continua il presidente di Caritas internationalis, «scaturiscono
dai muri interiori. Ma questi muri interiori, di pensiero e di atteggiamenti,
vengono da una paura, da un timore della realtà e della sofferenza del mondo. Noi
abbiamo paura di vedere le conseguenze delle nostre decisioni sbagliate, non
vogliamo vedere la verità. Per proteggere noi stessi costruiamo muri del cuore
e della mente, muri interiori che diventano muri esteriori. Si
allontanano i poveri, per costruire un mondo piccolo per noi stessi. Vorremmo
costruire quella che in inglese si chiama “confort zone”, una zona confortevole
per noi. Ma è un’illusione e una delusione, perché nella realtà ci sono tante
sorelle e fratelli nostri che non hanno la possibilità di vivere una vita
dignitosa».
E dopo un anno alla guida dell’organismo il cardinale si
sente di «ringraziare il Signore per l’aiuto d’amore e compassione dei vari
volontari, ma anche per i documenti, dalla Laudato si’, alla Evangelii Gaudium,
alla riscoperta della Caritas est. Un ringraziamento anche per l’anno della
misericordia che ha dato un nuovo impulso alla Caritas per andare avanti nella
missione. È un impegno pesante, ma la grazia del Signore, l’amore del popolo di
Dio e il magistero aiutano molto».