La scure che il presidente Monti ha calato,
con chirurgica precisione, su lavoratori
e pensionati, con altri è stata più leggera.
I sacrifici non sono stati equamente ripartiti.
E non tutti sono stati chiamati a partecipare,
secondo la propria capacità contributiva.
Certo, la ricchezza non va demonizzata.
Ma neanche divinizzata. Quando il Paese
chiede uno sforzo straordinario, per non
precipitare nel burrone, non si può ignorare
che il 10 per cento delle famiglie italiane
possiede il 50 per cento della ricchezza nazionale.
I soldi si vanno a prendere dove ci
sono. Non si toglie il pane di bocca a chi fatica
ad arrivare a fine mese.
Discorso a parte è il capitolo dei politici.
Prodighi nello spremere i cittadini. Avari con
sé stessi nel rinunciare a qualche privilegio.
Se la Manovra costerà uno stipendio alle famiglie
italiane, perché la “casta” si ostina a non
pagare il proprio tributo? Tra bizantinismi e
furbizie, riusciranno a convincerci che 16 mila
euro al mese sono pochi per “fare
politica”. Sarà necessaria una colletta
nazionale, per evitare loro l’onta
della povertà. Eppure, non c’era bisogno
di una commissione per capire
che chi ha alte responsabilità deve
dare, per primo, il buon esempio.
Purtroppo, l’impegno politico è
solo un’opportunità per un lauto stipendio.
Senza più un orizzonte etico.
E anche i politici cattolici paiono
non distinguersi più di tanto.
Ma c’è un settore che, quanto a sacrifici,
è stato graziato dalla scure di
Monti. E non si capisce perché. È
quello militare. Eppure, di cose da
mettere in ordine ce ne sarebbero tante. A cominciare
dai bilanci, di sempre più difficile
lettura. Si sa, comunque, che complessivamente
nel 2012 l’Italia spenderà per la difesa
23 miliardi di euro. Con un esercito dove abbondano,
a dismisura, i comandanti: 467 generali
per un esercito di 190 mila militari.
Un’enormità. Negli Stati Uniti di generali ne
hanno 900, ma per Forze armate di un milione
e mezzo di soldati.
Per risparmiare davvero, in realtà, basterebbe
un piccolo gesto: non acquistare i 131
cacciabombardieri F-35. Che ci costano 15
miliardi di euro. Una montagna di soldi. Col
costo di un solo caccia (150 milioni di euro)
si potrebbero aprire 143 asili nido, impiegando
più di duemila tra educatrici e assistenti.
Non c’è alcun alibi né penalità da pagare perché
non si possa rinunciare all’acquisto. Altre
nazioni l’hanno già fatto.
Ma a che cosa ci servono 131 caccia F-35?
Chi dobbiamo bombardare? Educhiamo i
giovani, piuttosto, alla pace e alla
giustizia. «Le armi uccidono anche
quando non vengono usate», ricordava
il teologo Bonhoeffer. «Il mondo»,
ci ha appena detto Benedetto XVI,
«ha bisogno della pace come e più
del pane». Così come restano un monito
indimenticabile le parole di Paolo
VI: «Quando tanti popoli hanno fame,
ogni estenuante corsa agli armamenti
diviene uno scandalo intollerabile.
Noi abbiamo il dovere di denunciarlo
». Tanti buoni motivi, quindi,
per trasformare i contratti degli
F-35 in più innocui e simpatici aeroplanini
di carta.
Finalmente la notizia è arrivata nei titoli di
giornale, nel
panorama drammatico di questa crisi economica che esige sacrifici e tagli per
il bene del Paese e per il futuro di tutti: anche le spese militari devono essere
drasticamente tagliate. In particolare il dito è puntato sull’enorme costo dei
131 cacciabombardieri F35, aerei di attacco che costano quasi 150 milioni di
euro ciascuno. Un investimento di oltre 15
miliardi. Pax
Christi lo ricorda da anni (in collaborazione con la Rete Italiana per il
Disarmo di cui fa parte) e il convegno appena celebrato a Brescia, in
preparazione della Marcia per la pace della Chiesa italiana, ha sottolineato le devastati
conseguenze sull’economia e sul futuro delle comunità, del produrre
e commerciare macchine di morte di simili
proporzioni.
L’assordante silenzio che copriva questo
progetto è stato rotto. Sempre più palese è l’assurdità di produrre armi
investendo enormi capitali mentre il grido dei poveri - interi popoli - ci
raggiunge sempre più disperato. «Cammineranno le genti, mentre la tenebra
ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli». Nella festa
dell’Epifania il profeta Isaia resta colpito da movimento di popoli in cerca
della luce e della pace. Così anche la tradizionale Marcia della Pace realizzata
a Brescia la notte di fine anno, ci ha messo in cammino con tutti i costruttori
di pace.
Ma su quale via scegliamo di
camminare? Forse
quella di Erode, fatta di violenza e sopruso? O piuttosto quella dei Magi e di
chiunque, singoli e popoli, discerne le opere di pace per garantire il futuro di
tutti.
I Magi, ci racconta il Vangelo, «per un’altra
strada fecero ritorno». Anche
per noi vale l’invito a intraprendere una strada diversa orientando ogni scelta
alla via esigente e necessaria della pace. Per questo esigiamo un ripensamento
di queste spese militari con un serio dibattito in Parlamento
.
I popoli che camminano nella tenebra di questa follia
chiedono di cancellare questo progetto e ciò è ancora più necessario in un tempo
di crisi che è già molto pesante soprattutto per le famiglie e per i più poveri
e che non sembra invece toccare i grandi investimenti per le armi.
Chi incontra Gesù a Betlemme non può più
camminare sulle strade di Erode, il violento re della strage degli innocenti. Dai Magi
impariamo a scegliere, anche a rischiare. Quando si incontra il Cristo nel
volto di tanti fratelli e sorelle non si può familiarizzare con progetti di
violenza. Neppure in chiave di pseudo-sicurezza
internazionale.
Per questo nostro mondo che «ha bisogno della
pace come e più del pane» (Papa Benedetto XVI, 1 gennaio 2012), ci sono
richieste le scelte più alte perché «quando tanti popoli hanno fame, ogni
estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile. Noi abbiamo
il dovere di denunciarlo. Vogliano i responsabili ascoltarci prima che sia
troppo tardi» (Paolo VI, 1967 Populorum Progressio n.53).
+ Giovanni Giudici, vescovo di Pavia, presidente di Pax
Christi Italia
A dire il vero non è il primo a cambiare il nome alle cose. Ma ogni volta la bugia stupisce, o almeno dovrebbe. E ancora di più se la bugia riguarda strumenti di morte. In questi primi giorni del 2012 mentre su molti giornali si parla dei cacciabombardieri F-35, per costruire i quali s'è attrezzata un'apposita zona dell'aeroporto militare di Cameri, in provincia di Novara, interpellato dal quotidiano
la Stampa,
Diego Sozzani, presidente della Provincia di Novara, ha affermato che «Gli F-35 non devono essere visti come armi…».
Verrebbe da ridere, ma c’è da piangere! C’è da indignarsi per una bugia così grande che cambia il senso alle cose. Con queste bugie si creano le premesse per accettare la guerra, per portarla nelle scuole come un’opportunità per i giovani.
La guerra viene svuotata della sua atrocità, dolore e morte. Diventa quasi una cosa bella. I bombardamenti diventano interventi umanitari o missioni di pace, e i morti… “effetti collaterali” .
Rischiamo di farci l’abitudine e di non indignarci più.
Siamo a pochi giorni dall’inizio della prima guerra del Golfo (17
gennaio 1991). Invito il presidente Sozzani a vedere alcuni luoghi di
Baghdad (ho conservato le foto) colpiti dai bombardamenti dove le
persone, carbonizzate, sono state scaraventate contro le pareti e sono
visibili le sagome delle mamme con in braccio i loro figli. Ma no,
tranquilli, dice il presidente, questi aerei F35 non sono armi. Qualche
mese fa a Pontida, l’allora ministro degli Interni, Roberto Maroni aveva
detto “non sono intelligenti” parlando dei missili lanciati contro la
Libia. Un altro presidente, Roberto Cota, novarese anche lui, non perde
occasione per osannare questi cacciabombardieri F-35, predisposti a
lanciare anche ordigni nucleari. Ma allora, questi missili sono o non
sono intelligenti? Ma gli F-35 lanciano missili che uccidono oppure, per stare sui prodotti tipici del Novarese, lanciano Pavesini? Ce lo dicano questi due presidenti. Sono armi o no? Sono intelligenti (i missili) oppure no?
E dire che l’anno era iniziato con l’invito del Papa a educare i giovani alla giustizia e alla pace. Ma come possiamo essere credibili nei confronti dei giovani se diciamo bugie così gravi. Se un ragazzo a scuola dice che gli elefanti di Pirro erano camosci, minimo va al posto con un 4. E
non so che reazione avrebbero i risicoltori novaresi se il presidente
dovesse dire che le risaie che stanno intorno a Novara sono vasche per
idromassaggio. C’è da ridere? No. C’è da preoccuparsi.
don Renato Sacco, parroco, Commissiona Giustizia e pace della diocesi di Novara