Entra oggi in vigore la legge Levi, che fissa al 15
per cento lo sconto massimo applicabile sui libri. Scopo primario del provvedimento, è quello di rendere meno spietata la
concorrenza, a favore dei piccoli, siano essi case editrici o punti vendita. I
grandi editori, così come le grosse catene di distribuzione, hanno infatti la
possibilità di proporre riduzioni di prezzo più pesanti, in virtù delle
quantità di prodotto che gestiscono. In questo modo le case editrici meno
potenti e le librerie, soprattutto quelle esterne alle grandi catene,
risultavano svantaggiate.
La situazione era stata esasperata dall'aprodo sul
mercato italiano di Amazon, colosso delle vendita on line, che si è presentato
con una politica di sconti "aggressiva". Agli americani, come pure ai gestori dell'italiano Ibs o degli altri siti di e-commerce librari, la legge Levi naturalmente non piace per nulla. Stabiliti i limiti, resta un minimo di margine di manovra. Sono previste infatti una serie di eccezioni al
limite del 15 per cento. Si potrà arrivare al 20 all’interno di un salone
del libro o nell'ambito di iniziative destinate a organizzazioni no profit,
biblioteche, musei pubblici, scuole. Il tetto si alza al 25 per cento nel caso
di campagne promozionali realizzate direttamente dagli editori, ma solo per un
mese. Non saranno tuttavia possibili a dicembre, ovvero sotto il periodo
natalizio.
Il timore riguarda invece gli effetti che la norma avrà sulla lettura e sui lettori: contribuirà cioè ad allontanare la gente e nuovi potenziali lettori (soprattutto i giovani, con meno disponibilità economica) ad acquistare un libro? Tanto più in un Paese, come il nostro, nel quale i cosiddetti lettori forti sono una minoranza da proteggere. Giusto per ricordare un dato, solo il 46,8 per cento degli italiani dai sei anni in su ha letto almeno un libro nel corso dell'ultimo anno, contro il 70 per cento in Francia. Si può obiettare che il lettore forte non rinuncerà a comprarsi il romanzo dell'autore preferito o il saggio che gli interessa perché lo troverà scontato al 15 anziché al 20 o al 25. Come pure bisogna tener presente che non è con una legge sullo sconto che si può intervenire per allargare il bacino dei lettori. Resta il fatto che un prezzo più alto (o meno basso, il che è lo stesso) non è certo un incentivo alla lettura.
Sostanzialmente bipartisan la legge ha suscitato l'applauso degli editori e le proteste dei consumatori. Nel dibattito che ha accompagnato la sua gestazione, è stato sottolineato che il libro non può essere considerato alla stregua di qualsiasi altro prodotto commerciale. Regolamentando lo sconto - è la riflessione di costoro - il lettore potrebbe essere più invogliato ad acquistare un testo in una libreria, magari facendosi consigliare dal titolare, anziché metterlo nel carrello della spesa accanto a pane e formaggio. E, soprattutto, si dovrebbe favorire un'offerta più ricca e di qualità, che non si concentri, o addirittura esaurisca, sulle opere più commerciali e vendibili. Principi del tutto condivisibili, che dovrebbero però essere portati fino in fondo: proprio perché il libro non è un prodotto assimilabile agli altri, dovrebbe essere sostenuto in ogni modo l'accesso ad esso. E dovrebbe essere creata una cultura della lettura, partendo dalle famiglie e dalle scuole. Ma questa, forse, è tutta un'altra storia.
«Il lettore vede solo la punta dell’iceberg, cioè il fatto che d’ora in poi gli sconti saranno bloccati e non si potrà arrivare, in alcuni casi, al 30 o 50%. In realtà», afferma Marco Polillo, presidente dell’Associazione italiana editori, «il pubblico nonconosce le condizioni drammatiche in cui versano le moltissime librerie italiane indipendenti, a gestione familiare, che negli ultimi anni numericamente si sono ridotte e sono unarisorsa fondamentale per la diffusione della cultura».«Finora», prosegue Polillo, «la situazione era fuori controllo perché le grosse librerie e le catene di distribuzione tenevano sugli scaffali solo best seller e decidevano in autonomia le promozioni, cannibalizzando i piccoli punti vendita».«Senza questa legge, di cui l’Aie è stata tra i principali sostenitori, sul mercato resterebbero solo best seller. Così si salvaguarda la pluralità dell’offerta che, in assenza di un regolamento, si concentrerebbe su pochi titoli e pochissime librerie. La legge francese», spiega Polillo, «è più severa: lì il tetto di sconto è al 5%. Non credo che i consumatori saranno svantaggiati dal provvedimento, perché i maxisconti degli ultimi anni non hanno aumentato il numero di lettori».
«Credo la legge rappresenti un buon compromesso e non danneggi i lettori. Il problema», dice Giuliano Vigini, saggista e docente di Sociologia dell’editoria contemporanea all’Università Cattolica di Milano, «era fissare delle regole uguali per tutti: grandi librerie, catene, punti vendita on-lineda un lato, piccoli librai dall’altro. Mentre le prime, infatti, possono applicare sconti fino al 50%, i secondi invece no».«Si tratta di una concorrenza sleale, servivaun rimedio. Qualche anno fa si era proposto uno sconto massimo al 10%, alla fine si è fissato il 15. Lo scopo della legge», continua Vigini, «era di tutelare i piccoli editori e le librerie indipendenti, quindi la pluralità dell’offerta libraria che rischia di limitarsi a titoli facilmente vendibili o molto pubblicizzati. Bisogna tuttaviaprecisare che il provvedimento contempla numerose eccezioni. Purtroppo soltanto il 46% degli italiani legge e non è un problema di prezzi, ma di cultura».
Antonio Sanfrancesco