Takeaway, un titolo che evoca il cibo da asporto. Ma non di cibo si tratta. Takeaway è un film essenziale e crudo, tutto a colori freddi, claustrofobico benché girato per la gran parte all’aperto, in cui ci si allena nella marcia (ma potrebbe essere un qualunque sport di resistenza) attorno allo squallore della pompa di benzina di un paese in disarmo, nel contesto di una montagna non abbastanza alta da non patire la crisi dello spopolamento perché non in grado di accogliere turismo.
Al centro del film c’è un tema scottante e misconosciuto: il doping dei non professionisti o degli aspiranti tali, un doping fai da te, in cui guadagnano i peggiori e in cui si rischia la salute ancor più e ancor peggio che nel doping sofisticato dei vertici dello sport. Qui si fa senza controllo di nessuno né pre né post, né medico, per vincere roba di scarsa importanza: un rischio da salto nel buio. Mai doparsi è sinonimo di drogarsi come in questo film, nel senso che si rischia esattamente come rischiano i ragazzi che comprano roba sintetica su Internet senza sapere che c’è dentro. E girano soldi, tanti soldi, destinati ad apprendisti stregoni senza scrupolo alcuno. Takeway diretto da Renzo Carbonera, distribuito da Fandango, è un film nella sua fotografia scarna ben recitato da Libero De Rienzo (scomparso il 15 luglio del 2021) nel ruolo chiave. I suoi pochi personaggi sono Maria (Carlotta Antonelli), ragazza atleta; Johnny (De Rienzo), allenatore-compagno dai trascorsi sportivamente non limpidi molto più grande di lei; la famiglia di lei, madre e padre, cui si aggiunge a un certo punto un misterioso imbianchino assunto a basso prezzo nell’albergo dei genitori da ristrutturare.
Takeway è un film da cineforum: si presta a dibattere e a ragionare soprattutto sul ruolo degli adulti nello sport dei ragazzi. Sono adulti che mettono la testa sotto la sabbia che vedono ma non guardano, che si accontentano delle spiegazioni di comodo che non stanno in piedi, che tifano per un risultato farlocco, sapendolo tale, esultando come se fosse autentico. Sono adulti che non fanno gli adulti, che non si assumono la responsabilità, che non mettono in scala le priorità, che lasciano il corpo di una ragazza in balia di un rischio enorme calcolato da nessuno, la sua mente sola con le sue domande.
Chi lo ha scritto sostiene che sia una storia inventata sintesi di tante storie vere. Che sia così o meno, il tema merita di ragionarci sopra. Perché il suo prezzo è altissimo e sono dei ragazzi a pagarlo, il più delle volte nel silenzio generale perché tutto si ferma a un livello troppo basso perché i riflettori vi si accendano.