Yohana
Bahati era nato nella Tanzania del Nord e non ha fatto in tempo a
diventare grande. Yohana ha vissuto soltanto un anno. Lo hanno rapito
dalla culla cinque uomini armati di machete. Hanno ferito la madre e
si sono portati via il piccolo. Il corpo di Yohana è stato ritrovato
senza gambe e senza braccia a metà febbraio.
Qual
era la sua colpa? Essere albino. Cioè con la pelle, l'iride e i capelli privi
di pigmentazione. In molte parti dell'Africa nascere albino può essere una condanna alla discriminazione e in diversi casi anche alla morte. Prima di tutto per una forma
di ostilità e razzismo verso una diversità così vistosa. Gli
albini vengono chiamati “teste sbucciate”, “fantasmi”,
“demoni”.
Inoltre
le parti del corpo degli albini vengono spesso usate per riti
tribali, propiziatori o di stregoneria. Si ritiene che ingerire
pozioni contenenti parti del corpo degli albini porti fortuna e
ricchezza. È diffusa anche la credenza che avere rapporti sessuali
con una donna albina possa curare l'Aids.
Gli attacchi contro gli
albini sono particolarmente diffusi in Tanzania, dove l'albinismo
tocca una persona ogni 1.400, contro una media, in Occidente, di una
ogni 20.000. «Dal
2000 in Tanzania gli attacchi contro gli albini, spesso motivati
dall'uso di parti del corpo per scopi rituali, sono costati al vita
di almeno 75 persone e sono in crescita, con tre casi negli ultimi
due mesi», denuncia il giordano Zaid Ra'ad al-Hussein, Alto
Commissario dell'Onu per i diritti umani. Anche
la sua predecessore, Navi Pillay, era spesso intervenuta su questa
odiosa forma di discriminazione, ma i progressi sono molto limitati.
Le Ong che lavorano in Tanzania lamentano la mancanza di una forte
volontà politica per contrastare superstizioni, pregiudizi e
violenze. Diverse organizzazioni cristiane , cattoliche e
protestanti, sono impegnate da tempo per la protezione e la
valorizzazione sociale degli albini. Nella diocesi di Tabora si sta
realizzando una casa per offrire alloggio e assistenza a bambini e
orfani albini. La casa sarà gestita dalla diocesi e dalle suore
italiane della Provvidenza per l'infanzia abbandonata.