Le accuse demagogiche, superficiali, generiche, strumentali di Luigi Di Maio alle organizzazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo sono una pagina davvero triste della politica. Non è l’unica, non è la prima, non sarà l’ultima. Le responsabilità dell’esponente pentastellato sono gravissime: incitamento all’odio e alla xenofobia (che peraltro sono reati, ma come sappiamo lo sono soltanto per i comuni mortali, non per la “casta” di cui il grillino fa pienamente parte), accuse non dimostrate al mondo delle Ong e delle associazioni umanitarie che gettano un’ombra su tutte, pressapochismo e inadeguatezza politica.
Ma non ci sono soltanto le sue, di responsabilità. Ci sono anche quelle dei giornalisti. Già, perché siamo noi che dobbiamo fare le domande e chiedere conto delle affermazioni all’uomo politico, e non facciamo più il nostro mestiere. E siamo sempre noi a prendere per notizia un tweet, che notizia non è. Se Di Maio, o chiunque altro, vuole dire qualcosa lo faccia nei modi dovuti: organizzi una conferenza stampa, faccia un’intervista. Un tweet è meno di una chiacchiera da bar. Non è una notizia e non è notiziabile. È un’esternazione, lanciata nella piazza mediatica. Chi la tramuta in un “evento” della politica fa solo da cassa di risonanza a chi non vuole esporsi al contraddittorio.
Di Maio vuol fare populismo elettorale, senza rischiare di dover spiegare e di dover rendere conto delle sue affermazioni. Pertanto, è lui, e non le Ong, che ha qualcosa da nascondere. Nasconde che dietro il tweet non c’è niente. Non ci sono prove, non c’è approfondimento, non ci sono elementi significativi dal punto di vista giudiziario (gli stessi magistrati dicono che stanno indagando e nulla più e – diciamo noi – ci mancherebbe che non lo facessero). Se ci saranno in futuro delle prove, ben vengano le inchieste giudiziarie, quelle giornalistiche e anche le dichiarazioni dei politici. Si indichino le responsabilità, si facciano i processi. Per ora, siamo ai tweet… Tuttavia, lo scaltro uomo politico sa bene che il polverone che ha sollevato ha già raggiunto lo scopo, domani sparerà un altro tweet, per cercare qualche altro voto a destra o a sinistra da rubacchiare una volta alla Lega un’altra al Pd o a Forza Italia. Invece, di tweet per ricordare le oltre 30 mila vittime del Cimitero Mediterraneo da Di Maio non se ne sono visti. Di tweet per denunciare le torture, le carcerazioni illegali in Libia, le estorsioni, i sequestri, le sofferenze inimmaginabili di chi attraversa il deserto e poi il Mediterraneo, neanche di questi se ne sono visti.
Di Maio il suo scopo l’ha già raggiunto, anche da un altro punto di vista: sono gli organismi umanitari a trovarsi sul banco degli imputati, a doversi difendere. Per noi non è così. Noi chiediamo a lui (ma non ci basta un tweet di risposta…) di spiegare quale seria, lungimirante, efficace politica dell’immigrazione ha in mente, lui e il suo partito, dato che di proposte degne di questo nome non se ne sono viste, né dal Movimento 5 stelle né dagli altri partiti politici. Né oggi, né negli ultimi 20 anni. Se la politica avesse onorato il suo ruolo oggi non saremmo in una situazione fuori controllo, con centinaia di migliaia di esseri umani che tentano un viaggio da roulette russa verso la “Fortezza Europa”, e l’Europa stessa che rischia di sgretolarsi sullo scoglio dell’immigrazione non gestita.
Quanto al merito delle accuse sollevate dal vicepresidente della Camera, facciamo nostre le dichiarazioni delle Ong Intersos e Medici senza frontiere, che sono due fra quelle impegnate nel trarre in salvo gli immigrati nel Mediterraneo.
«Gli attacchi di questi giorni contro le Ong impegnate nei salvataggi in mare sono una vergognosa speculazione», scrive Intersos. «Siamo stanchi di aiutare bambini vittime di tortura, donne violentate e sentire basse e mal costruite invenzioni e strumentalizzazioni politiche. Il lavoro delle Ong nel Mediterraneo è salvare vite umane. Chi con navi proprie, chi, come gli operatori Intersos, in collaborazione con Unicef, partecipando alle operazioni di soccorso sulle navi della Guardia Costiera Italiana. Se siamo lì, è per fermare una strage. Se a qualcuno questo lavoro non piace, dica con chiarezza che preferisce un morto annegato a un essere umano tratto in salvo. Il Mediterraneo è diventato un cimitero d’acqua dove in poco più di un anno sono morte oltre 5 mila persone: uomini, donne e bambini in fuga da guerre, violenze e povertà estreme, salpati dalle coste di un Paese, la Libia, dove violenze e sopraffazioni nei confronti dei migranti sono una costante fuori controllo. Se siamo nel Mediterraneo è perché nel 2016 il numero di morti in mare ha superato ogni record. Una strage aggravata da politiche basate sulla chiusura e la militarizzazione dei canali di migrazione, a scapito del rispetto di diritti umani e dei fondamentali principi umanitari».
«Le accuse contro le Ong in mare», dice Loris De Filippi, presidente di Msf, «sono vergognose, ed è ancora più vergognoso che siano esponenti della politica a portarle avanti, attraverso dichiarazioni false che alimentano l’odio e discreditano organismi non governativi che hanno come unico obiettivo quello di salvare vite. È una polemica strumentale che nasconde le vere responsabilità di istituzioni e politiche, che hanno creato questa crisi umanitaria lasciando il mare come unica alternativa e hanno fallito nell’affrontarla e nel fermare il massacro. Se ci fossero canali legali e sicuri per raggiungere l’Europa, le persone in fuga non prenderebbero il mare e si ridurrebbe drasticamente il business dei trafficanti. Se ci fosse un sistema europeo di aiuti e soccorsi in mare non ci sarebbe bisogno delle Ong».
Caro Di Maio, che vi siano i “tassisti dei migranti” è tutto da dimostrare, ma di sicuro vi sono i “tassisti delle bufale in politica”.