Sorpresa. A fermare l'alta velocità Torino-Lione potrebbe non essere la
Valle di Susa, con le proteste dei No Tav, ma la Francia. Il fulmine a ciel sereno arriva giovedì 12 luglio. Un articolo
pubblicato dal quotidiano Le Figaro fa rumore tanto in Francia quanto in Italia.
In questo periodo di crisi, è scritto, Parigi non ha più le risorse per
realizzare tutte le infrastrutture che aveva previsto; così, il Governo si trova costretto a rinunciare a qualche linea ad alta velocità. Tra i collegamenti a
rischio potrebbe esserci proprio quello tra Lione e Torino a causa dei costi
elevati e della riduzione della quantità di merci trasportate lungo quella direttrice, scesa - nel 2011 - a quattro milioni di tonnellate contro gli undici
milioni di circa 20 anni fa.
«In Francia, ha detto il ministro del Bilancio francese Je'ro'me Cahuzac, lo Stato ha previsto molti progetti senza avere stabilito i
finanziamenti. Entro il 2020 era programmata la costruzione di 14 linee
ad alta velocità”. Logica conclusione: il Governo ora dovrà scegliere quali linee abbandonare.
Torino-Lione a rischio?
In realtà, nonostante i titoloni a caratteri cubitali, c'è poco di
sorprendente. Non è la prima volta che Oltralpe vengono espresse
perplessità sul futuro dell'alta velocità tra Francia e Italia a causa
dei costi (alti) e dei benefici (incerti) di questi binari destinati a
collegare Torino e Lione bucando le Alpi con un tunnel lungo 57 chilometri tra
Susa e St.Jean de Maurienne.
Correva l’anno 2003. Capo del Governo francese era appena diventato Jean Pierre
Raffarin. Scartabellando tra gli impegni presi dal precedente esecutivo
su autostrade, strade e ferrovie, il leader dell'esecutivo si accorse che
molte opere previste non risultavano finanziate. Tra queste la
Torino-Lione. Ecco quindi la richiesta di un “audit”, cioè di uno
studio sulla redditività dell’opera. I cui contenuti critici
preoccuparono non poco i supporter della nuova ferrovia, sui due lati
delle alpi. Fu poi il Parlamento francese a dare via libera, nonostante
le non poche perplessità.
Oggi, luglio 2012, sono passati 9 anni, la costruzione dell’alta
velocità tra Italia e Francia non è ancora iniziata (discenderie e
gallerie geognostici a parte). Oltralpe la storia si ripete. Nuovo
presidente della Repubblica, nuovo Parlamento, nuovo Governo. I dubbi e
le perplessità sono gli stessi, con l’aggravante di una crisi economica
che non accenna a diminuire. Anzi. Come andrà a finire? Difficile dirlo. Il giorno dopo l'uscita de Le
Figaro, al di qua e al di là delle alpi, sono entrati in campo i
pompieri. Con l'obiettivo di tranquillizzare gli inquieti e di sedare
le polemiche.
Così Mario Virano, Commissario governativo per la Torino-Lione
che parla di «tempesta in un bicchiere d’acqua. La tratta internazionale
è fuori discussione, me lo ha confermato l’ambasciatore francese Le Roy.
Quella francese è una normale ricognizione dei capitoli di spesa». Così
il ministro dell’Ambiente Corrado Clini: «Non mi risultano ripensamenti
da parte francese». Così il ministro Corrado Passera: «Ho parlato col
ministro francese, il progetto è definito, avviato, sancito da accordi
internazionali; quindi è confermato e va avanti come da programma».
Ed è un portavoce del ministero francese dei Tasporti a dire che «gli
impegni saranno mantenuti ma servirà un nuovo trattato che tenga conto
dei finanziamenti disponibili a livello europeo». Mentre il commissario
europeo dei Trasporti Siim Kallas ribadisce che «la Torino-Lione è un
progetto innanzitutto franco-italiano e che i fondi, quindi, devono
arrivare soprattutto da Francia e Italia. Il ruolo della Commissione
europea può essere veramente modesto».
Opera costosa
Già, i costi. Negli ultimi anni l'esosità dell'opera è la vera pietra di scandalo sollevata
dai No Tav, ancor più dei rischi ambientali e dei possibili pericoli per la salute dei
residenti in valle. Quanto costa la Torino-Lione? Presto detto:
24,7 miliardi di euro, 9,8 per la tratta nazionale francese, 10,5 per
la tratta comune (il tunnel internazionale di 57 chilometri da Susa a St.Jean de
Maurienne e le due stazioni internazionali ai rispettivi imbocchi della
galleria) e 4,4 per la tratta nazionale italiana.
Cifre impossibili da “rastrellare” in un’unica soluzione.
Così i Governi di Italia e Francia hanno scelto di ridimensionare la
parte comune, costruendola per “fasi” e tagliando un tunnel di 18 chilometri nella bassa Valle di Susa, sostituito dalla linea attuale che sarà
ammodernata.
Ed ecco la cosiddetta Torino-Lione low cost, a prezzi di saldo o quasi, che limita l'investimento
a “soli” 8 miliardi e 200 milioni (2,849 a carico dell’Italia, 2,071 sulle spalle della Francia e 3,280 a carico dell’Europa). Cifre queste ultime, che non
prendono in considerazioni le tratte nazionali (italiana e francese),
cioè quei tracciati che dal tunnel internazionale vanno a Lione (sul versante
transalpino) e a Torino (sul versante italiano). L'ipotesi di un “ripensamento” francese sulla Torino-Lione potrebbe
quindi tradursi, come ha specificato lo stesso Mario Virano, «in una
selezione degli interventi in Francia ritenuti indispensabili, distinti
da quelli che sono invece differibili anche nel lungo periodo».
I tempi
Colpisce che le perplessità sulla Torino-Lione arrivino proprio dalla
Francia quando, proprio sul suo territorio, i lavori sono di fatto già
cominciati con la realizzazione di tre discenderie (gallerie
geognostiche che, una volta ultimate serviranno come fronti d’attacco
per lo scavo del tunnel internazionale). Sul versante italiano,
viceversa, stanno per essere ultimati i lavori preliminari nel cantiere
della Maddalena, a Chiomonte (dove sarà scavato un tunnel geognostico di
7,5 chilometri) teatro degli scontri dell’estate 2011 e ancora oggi fronte
caldo della protesta No Tav. Lo scavo vero e propro della galleria
inizierà nella primavera 2013, probabilmente tra maggio e giugno.
Sempre nel 2013 é previsto il via ai lavori principali della
Torino-Lione con un cantiere che durerà dieci anni. I primi treni sulla
nuova linea, quindi, si vedranno dopo il 2023.
Le proteste
Non accenna a diminuire il dissenso in Valle di Susa, soprattutto nella
parte bassa, da Susa ad Avigliana. Certo, le
manifestazioni del 2005 e dell'estate del 2011, capaci di aggregare
decine di migliaia di persone (si è arrivati a 50-60 mila manifestanti) sono ormai soltanto un ricordo. Complice anche la deriva violenta di
alcuni settori del movimento No Tav e l'ingombrante presenza di frange
dell'universo anarchico e antagonista; un fenomeno che ha avuto il suo
culmine proprio nell'estate scorsa, con gli scontri nei pressi del
cantiere della Maddalena. E che ha avuto uno dei momenti di maggior
tensione a febbraio 2012, quando un militante No Tav, Luca Abbà, è
salito su un traliccio rimanendo gravemente ferito dopo essere stato
folgorato ed essere precipitato a terra.
Dopo giorni di manifestazioni,
blocchi stradali e ferroviari e l'intervento della polizia per
sgomberare l'autostrada del Frejus dai dimostranti, la situazione è
tornata alla normalità e non vi sono più stati episodi particolarmente
gravi. Il giovane, proprio in questi giorni, è stato dimesso
dall'ospedale.
Ma l'estate “calda” si sta ripetendo anche quest'anno, sia pure in
forme più contenute, con la presenza, nei pressi del cantiere di
Chiomonte, di un campeggio No Tav, con giovani dell'area antagonista
attendati a poche centinaia di metri dalle forze dell'ordine che
sorvegliano il cantiere. Numerose, durante questa strana vacanza in
montagna, le “passeggiate” davanti alle recinzioni del cantiere, le
scaramucce con la Polizia, il lancio di oggetti, pietre, biglie e
petardi.
Dagli scontri alle aule di Tribunale
I fatti avvenuti la scorsa estate nei pressi del cantiere Tav della
Maddalena, a Chiomonte, stanno avendo le prime conseguenze giudiziarie.
Da una settimana, infatti, è in corso l’udienza preliminare che dovrà
stabilire se rinviare a giudizio 45 persone (una ha scelto il rito
abbreviato) accusate di violenze varie nei confronti delle forze
dell'ordine durante le manifestazioni di giugno e luglio 2011. Il
processo segue l'inchiesta coordinata dal procuratore capo della Repubblica, Gian Carlo Caselli, che ebbe il momento di maggior clamore a gennaio, con
l'arresto di 26 No Tav, tra cui tre valsusini. A giorni il Tribunale si
pronuncerà sul rinvio a giudizio degli accusati.
Intanto l'11 luglio c’è stata la prima sentenza legata alle
manifestazioni No Tav, sempre per gli episodi di Chiomonte avvenuti
però il 9 settembre 2011. Questo il verdetto: assoluzione per “Nina”
Garberi e condanna a otto mesi per Marianna Valenti con il beneficio
delle attenuanti generiche e l’applicazione della condizionale.
La questione lavoro. Le ditte che concorrono. Le minacce.
Tra i motivi che hanno visto scemare le proteste popolari contro la Tav
in Valle di Susa, un ruolo importante l'ha giocato, e lo gioca ancora,
la questione lavoro. Anche in valle di Susa, vittima negli anni passati
di un pesante processo di deindustrializzazione, si sente la crisi e c'è
fame di lavoro.
Una questione che fa a pugni con la protesta No Tav e che mette in
contraddizione e contrapposizione le ragioni di chi vuole difendere
l'ambiente con quelle di chi è in cerca di opportunità occupazionali.
Così ha fatto molto discutere un manifesto, affisso a maggio sui muri
dei paesi della valle, in cui viene promosso il lavoro dei campi e
bocciato quello sui cantieri sotto un titolo a caratteri cubitali: “C’è
lavoro e lavoro”. Segue l’elenco di alcune ditte (locali e non) che
hanno accettato di lavorare per i cantieri della Torino-Lione,
stigmatizzate con la frase: “Ecco le ditte che vogliono distruggere la
nostra valle”.
Il manifesto è comparso dopo che, nelle settimane precedenti, in valle
di Susa sono proliferati i Consorzi che aspirano ad ottenere commesse
per la nuova linea ad alta velocità. Uno di questi, il Consorzio Valsusa
Piemonte presieduto da Luigi Massa, ex deputato di quello che un tempo
era l’Ulivo ed ex City Manager nella Napoli amministrata da Rosa Russo
Jervolino, una parte se l’è già aggiudicata, con sette ditte
valsusine che hanno acquisito da Ltf (la società italo francese che
progetta la linea) lavori per 6 milioni di euro. Mentre il consorzio
Cmc-Cogeis, che ha l’appalto per lo scavo del contestato cunicolo
esplorativo di Chiomonte, ha assegnato i primi 425 mila euro di lavori
in subappalto (progettazione, lavori edili vari, sondaggi) ad imprese
valsusine. A queste realtà si è poi aggiunto un nuovo Consorzio di
venti piccole imprese valsusine che si è posto l’obiettivo di
partecipare a tutte le gare d’appalto che si apriranno in tutto il Nord
Ovest, a partire da quelle sulla Tav.
Lavoro che fa gola a molti quindi. Ma non ai No Tav duri e puri che,
anzi, con quel manifesto hanno duramente attaccato le imprese impegnate
nelle fasi preliminari della Torino-Lione. Anche se non tutti gli
oppositori della Tav condividono. «Quel manifesto è un atto immorale e
incivile», ha detto il sindaco di Sant’Ambrogio, Dario Fracchia,
espressione di una lista No Tav. Ma il leader No Tav Alberto Perino
contrattacca e respinge le accuse di aver compilato scritte di
proscrizione: «Facciamo solo informazione». Alcuni sindaci hanno
provveduto subito a rimuovere i manifesti, che il sindaco di S.Antonino
Antonio Ferrentino definisce «barbari e intolleranti. I miei colleghi
farebbero bene a togliere e a coprirli con la scritta ‘manifesto coperto
dall’amministrazione comunale’. Il problema è che in valle di Susa
ormai c’è un clima di intolleranza».
Il tunnel buono e quello cattivo. Uno strano silenzio che assolve i Tir condannando i treni.
Tra le cose che colpiscono, nella vicenda Tav in Valle di Susa, c'è la
contraddizione tra un tunnel considerato “cattivo” e un altro
considerato “buono”.
Quello "cattivo", oggetto di tante proteste è la galleria internazionale
ferroviaria della Torino-Lione tra St.Jean de Maurienne e Susa: lungo 57 chilometri di cui 47 in Francia 12 in Italia. Tanto clamore. Proteste.
Polizia a difendere i cantieri.
Il tunnel considerato “buono” è, invece, la galleria di sicurezza del traforo
autostradale del Frejus. Poco più di 12 chilometri, circa la metà in Italia.
Qui non c'è alcuna protesta. E a difendere i cantieri solo un paio di
poliziotti o carabinieri che – come ha annotato qualche osservatore –
«si annoiano perché non capita nulla e per passare le ore giocano a
carte».
Eppure, vien da dire, la montagna è la stessa, così come i rischi
uranio-amianto-radon. Ma nessuno dice nulla, a parte alcune timide
proteste di qualche associazione ambientalista.
Di più. «Nel silenzio più assordante le Società italiana e francese che
gestiscono il traforo stanno pensando – spiega il consigliere
provinciale Antonio Ferrentino - di non limitarsi a scavare un tunnel
di sicurezza ma di aprirlo al transito. Aumentando così (e non di poco)
gli incassi». E il resto del mondo? Gli ambientalisti? I difensori del
territorio? Stanno zitti, non dicono nulla. «Per questo – dice
Ferrentino – urge un’iniziativa politica per impedire che ciò avvenga e
che, sulla valle di Susa, vengano di nuovo scaricati Tir a migliaia».
Che, fino a prova contraria, inquinano. Più dei treni.
La polemica viene ripresa dal Presidente della Provincia Antonio
Saitta: «E’ significativo l’assordante silenzio degli attivisti e degli
amministratori locali No Tav sul progetto di realizzare il raddoppio del
traforo del Frejus non più per ragioni di sicurezza, ma come vera e
propria corsia autostradale. E’ un silenzio cinicamente funzionale a
confermare la bontà delle loro tesi contro la linea ferroviaria ad alta
velocità». «Mi impegno a convocare a breve i soci pubblici di Sitaf - aggiunge
Saitta – perché abbiamo la maggioranza del 51% e dobbiamo esprimerci
chiaramente. E’ chiaro che la Sitaf, che gestisce l'autostrada e il
traforo del Frejus, ha a cuore il trasporto su gomma, ma in Valle di
Susa è stata fatta la scelta del trasporto su ferro e non possiamo oggi
fingere di dimenticarlo».
«Mi aspetto che il Governo e la Regione Piemonte non si prestino a
questo gioco e mi chiedo anche – conclude Saitta - se il Governo che
sostiene la realizzazione della linea ad alta velocità ferroviaria è lo
stesso che ha chiesto ai progetttisti di studiare la variante per
l’esame della conferenza intergovernativa. Quasi che a Roma la mano
destra non sappia quello che fa la sinistra».