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venerdì 13 settembre 2024
 
 

Tav, un treno ad alta tensione

10/03/2012  Rispondendo a 14 obiezioni su opportunità, costi, temuti problemi sanitari e ambientali, il Governo spiega perchè la Torino-Lione va fatta. I contrari si appellano all'Europarlamento.

Quattordici domande e quattordici risposte per spiegare i motivi che hanno spinto il governo Monti a confermare la realizzazione della nuova linea ferroviaria ad alta velocità (e ad alta capacità merci)  Torino-Lione. Palazzo Chigi sfida proteste e contestazioni con la forza degli argomenti mettendo on line un articolato dossier (http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/TAV/domande_risposte.pdf). Il  tutto è stato realizzato per fare il «punto sull'opera, con informazioni e documenti sullo stato dei lavori, le questioni tecniche».

«La decisione di realizzare tempestivamente l'opera - si legge - è stata presa il 2 marzo. Il Governo ha riesaminato il progetto con "spirito aperto" e non tenendo conto degli impegni presi dai governi precedenti. Tutti gli 87 comuni francesi e la stragrande maggioranza di quelli italiani non si sono opposti all'opera», puntualizza, poi, il documento messo a punto dal Governo sulla Tav Torino-Lione. «I comuni italiani contrari sono circa una dozzina ma, se si considerano quelli direttamente interessati dalla realizzazione di tratte in superficie e/o cantieri - prosegue - sono solo due le amministrazioni esplicitamente contrarie (Chiusa San Michele e Sant'Ambrogio di Torino - 6.500 abitanti). C'è stata attenzione alle richieste del territorio. Lo dimostra il fatto che l'opera sia stata riprogettata ascoltando le esigenze di tutti i comuni interessati, tra cui alcuni direttamente coinvolti da cantieri o da opere in superficie (Chiomonte e Susa)».

«L'Osservatorio ha compiuto un lungo percorso, faticoso e complesso, alla ricerca di una soluzione concordata e condivisa, affrontando prioritariamente il tema dell'opportunità e delle modalità di realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione e raggiungendo un accordo tra i diversi rappresentanti», si legge ancora nel documento. «Il 28 giugno 2008 è stato sottoscritto l'Accordo di Pra Catinat, nel quale sono esplicitati gli impegni presi dai diversi attori del progetto, in corrispondenza dei quali si è deciso di avviare la progettazione preliminare dell'intera tratta in territorio italiano dell'opera. Il risultato è un progetto preliminare che rappresenta il primo esempio nella storia italiana di progettazione partecipata e discussa di una grande infrastruttura».


«Si dimezzano i tempi di percorrenza per i passeggeri», esemplifica il documentom del Governo: «da Torino a Chambery si passa da 152 minuti a 73; da Parigi a Milano da 7 a 4 ore, mentre si realizza un'importante incremento della capacità nel trasporto merci (portata da 1.050 a 2.050 tonnellate e lunghezza fino a 750 metri per treno) con costi di esercizio quasi dimezzati. Il miglioramento del servizio ferroviario potrà consentire la sensibile riduzione del numero di camion su strada (circa 600.000/anno) nel delicato ambiente alpino».

«Il progetto non genera danni ambientali diretti ed indiretti. L'impatto sociale sulle aree attraversate, sia per la prevista durata dei lavori sia per il rapporto della vita delle comunità locali e dei territori attraversati è assolutamente sostenibile». Ampio spazio è inoltre dedicato dal Governo al capitolo delle compensazioni al territorio: «Come segno di attenzione nei confronti delle comunità locali coinvolte dal progetto, il prossimo Cipe stanzierà 20 milioni di euro, che rappresentano la prima tranche di 300 milioni di euro relativi all'intesa quadro tra governo nazionale e Regione Piemonte, che dà corpo all'accordo di Pra Catinat. Inoltre, sono previsti 135 milioni di euro di opere compensative per il territorio».


Una delle obiezioni più diffuse (e sensate) è stata condensata nell'ottava domanda: «C’era davvero bisogno della nuova linea Torino Lione, visto il calo del traffico sulla direttrice storica del Frejus?»
. «Allo stato attuale», replica il documento di Palazzo Chigi, «il collegamento italo-francese è una linea di montagna, che costringe i treni ad una salita di 1250 metri di quota con sovracosti esorbitanti, che passa attraverso una galleria dove non entrano i containers oggi in uso per il trasporto merci. E’ dunque una linea fuori mercato. I flussi di interscambio Italia-Francia nel quadrante Ovest (da Ventimiglia al Monte Bianco) sono stati negli ultimi dieci anni costanti in quantità (fra 38 e 40 milioni di tonnellate) ed in valore (circa 70 miliardi d’interscambio). Questi valori sono superiori (110%) a tutti quelli che interessano la Svizzera. Ma mentre in questo quadrante (italo-elvetico) la ferrovia intercetta il 63% del traffico, nel quadrante italo-francese non arriva al 7%».

«La linea storica del Frejus - scrive il Governo italiano -  è come una macchina da scrivere nell’era del computer: un servizio che nessuno richiede più.
Bisogna dunque creare una nuova infrastruttura che soddisfi la domanda di merci e persone. Le esigenze di un moderno ed efficiente trasporto merci, nel quale la componente privata assume un ruolo sempre crescente, non rendono possibile l’utilizzo della capacità esistente sulla linea storica Torino-Modane; dato l’obiettivo di favorire in ogni modo il riequilibrio modale tra gomma e ferro, è necessario realizzare il nuovo valico ferroviario ed il nuovo tratto ferroviario. In estrema sintesi, posto gli obiettivi del riequilibrio modale sull’arco alpino, si rende necessario favorire l’utilizzo della ferrovia ad una velocità e ad un costo che il mercato possa ritenere soddisfacente, condizioni queste che l’attuale ferrovia tra Torino e Modane non è in grado di assicurare».

A cura di Federico Polvara

Saint-Jean-de-Maurienne
Nessuna scritta ostile, nessuna bandiera con il treno cancellato da due tratti rossi. Sotto il cartello che ne riporta il nome, Saint-Jean-de-Maurienne offre semmai idee per un rilassante fine settimana. Locandine di ordinaria pubblicità: pub, rappresentazioni teatrali, notti bianche musicali. Ce n’è per tutti i gusti. La vita scorre tranquilla. Una donna esce con il carrello della spesa gonfio di cibo dal centro commerciale Marché de Savoie. Un gruppo di giovani chiacchiera ai piedi della statua che ricorda François-Emmanuel Fodéré, uno dei padri dellamoderna medicina legale francese. La Police nationale e la Gendarmerie si limitano al lavorodi routine. Non hanno manifestanti da fronteggiare né barricate da rimuovere. 

«E io, come un po’ tutti qui, non riesco a capire quel che accade di là», sorride amaro Giuseppe La Serra, servendo un caffè nel suo bar, proprio all’inizio di rue du Collège. Il «di là» misura più di 50 chilometri, ma meno di cento, risale la valle bagnata dall’Arc, attraversa le Alpi e scende costeggiando il Cenischia, prima, e la Dora Riparia, poi, fin dalle parti di Susa. «Blocchi, violenze, scontri. Non comprendo, davvero», scuote la testa La Serra, stretto tra la nostalgia per la sua patria d’origine e l’amore per la terra che l’ha accolto. «Sono un calabrese emigrato in Francia 43 anni fa», spiega. «Ho cominciato facendo il muratore, ho avuto una piccola impresa edile, ora ho questo locale. A Saint-Jean-de- Maurienne c’erano 27 fabbriche d’alluminio, ne è rimasta una, rilevata dalla Rio Tinto, la multinazionale anglo-australiana. La crisi da queste parti non è uno scherzo. La nuova linea ad alta velocità porterà sviluppo, ne sono convinto. Danni per l’ambiente? Ma se togliamo i camion dalle nostre strade non respireremo tutti meglio?».

Saint-Jean-de-Maurienne sta alla Francia come Susa sta all’Italia. Se e quando l’alta velocità diventerà realtà, i treni imboccheranno il grande tunnel di 57 chilometri nella prima per sbucare nella seconda, e viceversa. È previsto che entrambe ospitino stazioni di rango internazionale. D’altronde entrambe sono a modo loro capitali. Vantano storia, vestigia e arte plurisecolari. Il sindaco di Saint-Jean-de- Maurienne si chiama Pierre-Marie Charvoz. Esponente del Centrodestra, nel marzo 2008 è riuscito a strappare il Comune ai socialisti, che in valle sono da sempre ben posizionati. «Superata in qualche modo la crisi degli anni ’70 e ’80, che ha fatto perdere alla nostra valle 7-8 mila posti di lavoro nel comparto industriale, ci siamo diversificati e ripresi; poi è arrivata l’ultima bufera economico-finanziaria », precisa il sindaco, quando affronta l’argomento. «Abbiamo puntato ovviamente molto sul turismo, in quindici anni abbiamo triplicato i posti letto passati da 40 mila a oltre 120 mila preservando la bellezza caratteristica delle nostre montagne e delle nostre borgate. La nuova linea Lione-Torino è un’opportunità eccezionale».

«In queste zone il dialogo è partito per tempo, ha dato voce a tutti e ha ottenuto frutti che mi sembrano buoni», commenta Xavier Darmendrail, responsabile dei rapporti con il territorio della Lyon Turin ferroviarie (Ltf), la società alla quale è stato affidato il compitodi progettare e realizzare il tratto transfrontaliero.«Noi francesi abbiamo la rivolta nel sangue ma siamo rivoluzionari solo atratti, oggi no», interviene scherzando François Pelletier, responsabile del settore comunicazione di Ltf. Subito dopo, serio:«All’inizio degli anni ’90 dure proteste, in particolarecontro il prolungamento della lineaferroviaria ad alta velocità tra Lione a Marsiglia,hanno portato la Francia a darsi regolenuove in fatto di opere pubbliche».

«Nel 1993, con un partecipato dibattito abbiamo anticipato quello che avrebbe previstola legge Barnier del 1995 istituendo un’autorità amministrativa indipendente chiamata Commission nationale du débat public», precisa Darmendrail. «Nel 2006, poi, dal 23 maggio al 30 giugno, presso i 16 Comunidella Valle della Maurienne sono stati depositatii documenti dell’“inchiesta pubblica” redatti sulla base del progetto preliminare e dello studio di impatto ambientale. Per oltre un mese è stata favorita una capillare conoscenza dell’opera e l’elaborazione di commenti, critiche, proposte di varianti. Dopo il parere favorevole della Commissione d’inchiesta e del Consiglio di Stato, il 18 dicembre 2007 il primo ministro François Fillon ha firmato ladichiarazione di “pubblica utilità”».

«A Villarodin-Bourget/Modane, a La Praz ea Saint-Martin-la-Porte sono già state realizzate tre discenderie», riprende Pelletier. «Sitratta delle tre gallerie di grandi dimensioniche hanno permesso di conoscere meglio il terreno. Durante i lavori del tunnel, serviranno a moltiplicare i fronti d’attacco e, una volta realizzata l’opera, ne assicureranno la ventilazione, garantendo infine l’accesso delle squadre di manutenzione o, se necessario, di soccorso. Questi cantieri hanno creato 400 posti di lavoro durati cinque-sei anni; quelli del tunnel di base ne creeranno fino a 2.500 per circa un decennio, cui si devono aggiungere altri mille posti sul versante italiano. Senza contare i benefici per bar, ristoranti, hotel, locandee negozi di varia natura».

«Tra i 9 mila abitanti di Saint-Jean-de-Maurienne, che diventano 45 mila se si consideral ’intera valle, ci sono ovviamente coloro che sono radicalmente contrari alla nuova linea, ma sono pochissimi», conclude a sua volta Darmendrail. «Pure qui c’è chi parte con il contestare la Lione-Torino per attaccare frontalmente il sistema liberista, l’attuale modello di sviluppo e il Governo in carica, insomma un po’ No Tav, un po’ Movimento degli Indignati, un po’ Occupy Wall Street. Sinistra e ambientalisti, da sempre favorevoli a spostare il traffico merci dalla gomma alla rotaia, non fanno però mancare il loro appoggio. Il dialogo tiene. E serve a migliorare le cose. In un primo tempo sembrava che a Saint-Jean-de-Mauriennesi dovesse abbattere l’attuale centro di soccorso, caserma dei Vigili del fuoco inclusa, alla fine, invece, s’è trovata una soluzione differente. Nell’area di Saint-Jean sono state avviate e procedure d’esproprio che riguarderanno in tutto 50 case e 40 tra imprese e negozi. Solo per gli espropri di Saint-Jean-de-Maurienne, a fronte delle domande presentate dai privati sono stati finora stanziati 22 milioni, per quelli da fare in valle ce ne vorranno 65 in tutto; altri 146 milioni circa saranno necessari per gli interventi mirati di tutela o di ripristino ambientale».

«Anche da noi ci sono stati e ci sono luoghie tempi per discutere, confrontandosi», commenta Mario Virano, commissario straordinariodel Governo italiano per l’asse ferroviario Torino-Lione. «Da quando è stato istituito nel dicembre 2005, all’indomani degli scontri di Venaus, il Tavolo istituzionale di Palazzo Chigi s’è riunito 7 volte, mentre l’Osservatorio ha registrato ben 182 sedute plenarie, senza contare le riunioni dei 30 gruppi di lavoro e le centinaia di audizioni di esperti, 60 dei quali stranieri. Si è partiti coinvolgendo 63 sindaci, quello di Torino incluso, perché il progetto a quell’epoca prevedeva interventi in Val di Susa, Val Sangone e nell’area metropolitana del capoluogo piemontese; di essi, 23 si sono chiamati fuori perché contrari a farel ’opera. Le ultime decisioni prevedono di cominciare i lavori nella tratta transfrontaliera, rimandando a epoche successive il proseguimento dell’opera, dopo adeguata verifica dei flussi e delle attese di traffico. Bene: i due principali Comuni che saranno interessati dai cantieri, cioè Susa e Chiomonte, sono impegnati a dialogare. Venaus, Mompantero e Giaglione, tre Comuni solo amministrativamente interessati per piccoli lembi del loro territorio, la linea passerà infatti 50 metri sottoterra, mantengono la loro contrarietà».

«Per i 57 chilometri del tunnel e per gli snodi, stazioni internazionali incluse, di Susa e di Saint-Jean-de-Maurienne la spesa complessiva prevista è di 8,5 miliardi di euro;  l'Europa concorrerà per il 40 per cento; il rimanente 60 per cento è diviso tra Italia ( 57,9 per cento) e Francia (42,1)», conclude Mario Virano. «Per il nostro Paese ciò significa 2,8 miliardi, una cifra che il presidente del Consiglio Mario Monti ha giudicato congrua e sostenibile, ribadendo la necessità dell’opera per rafforzare il legame dell’Italia con il resto del continente. Ribadisco che la Commissione europea, cioè il massimo organismo di governo, non solo non ha abbandonato il progetto, ma - nell’ottobre 2011 - l’ha inserito nelle dieci priorità infrastrutturali. La Torino-Lioneè compresa nel corridoio ferroviario che da Budapest porterà a Algeciras, in Spagna, e se un giorno si costruirà un tunnel sotto lo stretto di Gibilterra, permetterà di viaggiare in treno dall’Europa all’Africa».

Reportage fotografico di Paolo Siccardi/Sync. Gallery a cura di Federico Polvara.

Il presidio Europa del movimento No Tav ha inviato a tutti i 726 membri del Parlamento europeo una lettera nella quale si chiede di «prendere atto della violenta, antidemocratica e pericolosa situazione che - a loro parere - sta subendo la Valle di Susa, a causa dell'imposizione del progetto della linea ad alta velocità Torino-Lione anche per mezzo di una crescente militarizzazione del territorio».

Nell'appello il movimento No Tav fa riferimento alla lettera che «360 professori universitari, esperti e tecnici, hanno mandato al primo ministro Mario Monti, chiedendo che i tecnici siano finalmente ricevuti. Lettera che è stata firmata in pochi giorni da 14 mila persone in tutta Italia». Al documento inviato agli europarlamentari è allegato un brano dello scrittore Alberto Moravia «Ci sono due maniere di tracciare una strada» tratto dal libro «L'uomo come fine».

«Onorevole Presidente, ci rivolgiamo a Lei e al Governo da Lei presieduto, nella convinzione di trovare un ascolto attento e privo di pregiudizi a quanto intendiamo esporLe sulla base della nostra esperienza e competenza professionale ed accademica», comincia l'Appello per un ripensamento del progetto redatto nel gennaio scorso (http://www.notav.eu/modules.php?name=ePetitions&op=more_info&ePetitionId=1).  «Il problema della nuova linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità Torino-Lione rappresenta per noi, ricercatori, docenti e professionisti, una questione di metodo e di merito sulla quale non è più possibile soprassedere, nell’interesse del Paese. Ciò è tanto più vero nella presente difficile congiuntura economica che il suo Governo è chiamato ad affrontare. Sentiamo come nostro dovere riaffermare - e nel seguito di questa lettera, argomentare - che il progetto della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, inspiegabilmente definito “strategico”, non si giustifica dal punto di vista della domanda di trasporto merci e passeggeri, non presenta prospettive di convenienza economica né per il territorio attraversato né per i territori limitrofi né per il Paese, non garantisce in alcun modo il ritorno alle casse pubbliche degli ingenti capitali investiti (anche per la mancanza di un qualsivoglia piano finanziario), è passibile di generare ingenti danni ambientali diretti e indiretti, e infine è tale da generare un notevole impatto sociale sulle aree attraversate, sia per la prevista durata dei lavori, sia per il pesante stravolgimento della vita delle comunità locali e dei territori coinvolti».

Diminuita domanda di trasporto merci e passeggeri.  «Nel decennio tra il 2000 e il 2009, prima della crisi, il traffico complessivo di merci dei tunnel autostradali del Fréjus e del Monte Bianco è crollato del 31%», continua la lettera-appello a Monti. «Nel 2009 ha raggiunto il valore di 18 milioni di tonnellate di merci trasportate, come 22 anni prima. Nello stesso periodo si è dimezzato anche il traffico merci sulla ferrovia del Fréjus, anziché raddoppiare come ipotizzato nel 2000 nella Dichiarazione di Modane sottoscritta dai Governi italiano e francese. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, tra l’altro, non sarebbe nemmeno ad Alta Velocità per passeggeri perché, essendo quasi interamente in galleria, la velocità massima di esercizio sarà di 220 km/h, con tratti a 160 e 120 km/h, come risulta dalla VIA presentata dalle Ferrovie Italiane. Per effetto del transito di treni passeggeri e merci, l’effettiva capacità della nuova linea ferroviaria Torino-Lione sarebbe praticamente identica a quella della linea storica, attualmente sottoutilizzata nonostante il suo ammodernamento terminato un anno fa e per il quale sono stati investiti da Italia e Francia circa 400 milioni di euro».

Assenza di vantaggi economici per il Paese.
 «Per quanto attiene gli aspetti finanziari, ci sembra particolarmente importante sottolineare l’assenza di un effettivo ritorno del capitale investito. In particolare: 1. Non sono noti piani finanziari di sorta. Sono emerse recentemente ipotesi di una realizzazione del progetto per fasi, che richiedono nuove analisi tecniche, economiche e progettuali. Inoltre l’assenza di un piano finanziario dell’opera, in un periodo di estrema scarsità di risorse pubbliche, rende ancora più incerto il quadro decisionale in cui si colloca, con gravi rischi di “stop and go”. 2. Il ritorno finanziario appare trascurabile, anche con scenari molto ottimistici. Le analisi finanziarie preliminari sembrano coerenti con gli elevati costi e il modesto traffico, cioè il grado di copertura delle spese in conto capitale è probabilmente vicino a zero. Il risultato dell’analisi costi-benefici effettuata dai promotori, e molto contestata, colloca comunque l’opera tra i progetti marginali. 3. Ci sono opere con ritorni certamente più elevati: occorre valutare le priorità. Risolvere i fenomeni di congestione estrema del traffico nelle aree metropolitane così come riabilitare e conservare il sistema ferroviario "storico" sono alternative da affrontare con urgenza, ricche di potenzialità innovativa, economicamente, ambientalmente e socialmente redditizie. 4. Il ruolo anticiclico di questo tipo di progetti sembra trascurabile. Le grandi opere civili presentano un’elevatissima intensità di capitale, e tempi di realizzazione molto lunghi. Altre forme di spesa pubblica presenterebbero moltiplicatori molto più significativi. 5. Ci sono legittimi dubbi funzionali, e quindi economici, sul concetto di corridoio. I corridoi europei sono tracciati semi-rettilinei, con forti significati simbolici, ma privi di supporti funzionali. Lungo tali corridoi vi possono essere tratte congestionate alternate a tratte con modesti traffici. Prevedere una continuità di investimenti per ragioni geometriche può dar luogo ad un uso molto inefficiente di risorse pubbliche, oggi drammaticamente scarse».

Bilancio energetico-ambientale nettamente negativo. «Esiste una vasta letteratura scientifica nazionale e internazionale, da cui si desume chiaramente che i costi energetici e il relativo contributo all’effetto serra da parte dell’alta velocità sono enormemente acuiti dal consumo per la costruzione e l’operatività delle infrastrutture (binari, viadotti, gallerie) nonché dai più elevati consumi elettrici per l’operatività dei treni, non adeguatamente compensati da flussi di traffico sottratti ad altre modalità», continua ancora la lettera-appello al presidente del Consiglio dei ministri.  «Non è pertanto in alcun modo ipotizzabile un minor contributo all’effetto serra, neanche rispetto al traffico autostradale di merci e passeggeri. Le affermazioni in tal senso sono basate sui soli consumi operativi (trascurando le infrastrutture) e su assunzioni di traffico crescente (prive di fondamento, a parte alcune tratte e orari di particolare importanza)».

Risorse sottratte al benessere del Paese. «Molto spesso in passato è stato sostenuto che alcuni grandi progetti tecnologici erano altamente remunerativi e assolutamente sicuri; la realtà ha purtroppo dimostrato il contrario. Gli investimenti per grandi opere non giustificate da una effettiva domanda, lungi dal creare occupazione e crescita, sottraggono capitali e risorse all’innovazione tecnologica, alla competitività delle piccole e medie imprese che sostengono il tessuto economico nazionale, alla creazione di nuove opportunità lavorative e alla diminuzione del carico fiscale. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con un costo totale del tunnel transfrontaliero di base e tratte nazionali, previsto intorno ai 20 miliardi di euro (e una prevedibile lievitazione fino a 30 miliardi e forse anche di più, per l’inevitabile adeguamento dei prezzi già avvenuto negli altri tratti di alta velocità realizzati), penalizzerebbe l’economia italiana con un contributo al debito pubblico dello stesso ordine all’entità della stessa manovra economica che il Suo Governo ha messo in atto per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria che il Paese attraversa. è legittimo domandarsi come e a quali condizioni potranno essere reperite le ingenti risorse necessarie a questa faraonica opera, e quale sarà il ruolo del capitale pubblico».

«Alcune stime fanno pensare che grandi opere come Tav e ponte sullo stretto di Messina in realtà nascondano ingenti rischi per il rapporto debito/Pil del nostro Paese, costituendo sacche di debito nascosto, la cui copertura viene attribuita a capitale privato, di fatto garantito dall’intervento pubblico. Sostenibilità e democrazia. La sostenibilità dell’economia e della vita sociale non si limita unicamente al patrimonio naturale che diamo in eredità alle generazioni future, ma coinvolge anche le conquiste economiche e le istituzioni sociali, l’espressione democratica della volontà dei cittadini e la risoluzione pacifica dei conflitti. In questo senso, l’applicazione di misure di sorveglianza di tipo militare dei cantieri della nuova linea ferroviaria Torino-Lione ci sembra un’anomalia che Le chiediamo vivamente di rimuovere al più presto, anche per dimostrare all’Unione Europea la capacità dell’Italia di instaurare un vero dialogo con i cittadini, basato su valutazioni trasparenti e documentabili, così come previsto dalla Convenzione di Århus».

«Per queste ragioni», termina la lettera-appello a Monti, «Le chiediamo rispettosamente di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo le necessità dell’opera. Non ci sembra privo di fondamento affermare che l’attuale congiuntura economica e finanziaria giustifichi ampiamente un eventuale ripensamento e consentirebbe al Paese di uscire con dignità da un progetto inutile, costoso e non privo di importanti conseguenze ambientali, anche per evitare di iniziare a realizzare un’opera che potrebbe essere completata solo assorbendo ingenti risorse da altri settori prioritari per la vita del Paese. Con viva cordialità e rispettosa attesa».

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