Per voce sola, o quasi, spogliata di ogni orpello. Soltanto così Se questo è un uomo poteva salire sul palcoscenico di un teatro senza tradirsi e senza tradire lo spirito di Primo Levi, l’esatto opposto della teatralità, alieno a ogni concessione alla retorica. Valter Malosti, ha raccolto una sfida ardua.
Di più: un cimento al quadrato dato che, dopo aver diretto la regia, ha dovuto recitare da protagonista la parte pensata per Paolo Pierobon, costretto al riposo a causa di un malanno alle corde vocali. La tensione, tenuta altissima dal testo, sintetizzato da Malosti con Domenico Scarpa in un collage rigorosissimo, in cui l’unica licenza sono alcuni versi di Levi musicati in madrigali, non cala un solo istante. D
Dopo due ore di spettacolo senza fiato per l’attore e per lo spettatore, possiamo dirlo: Malosti ha vinto la sfida, lo ha fatto dirigendo e recitando “a togliere”. La scena è scarna: prima pareti grigie di una casa, poi il lager, solo evocato nell’allusione delle valigie piombate dentro al pavimento (ricordo di chi ha visto l’abisso e non è tornato) e nelle ombre di prigionieri che escono dal buio come nei sogni ricorrenti dei sopravvissuti. La recitazione asciutta, pochissimo “teatrale”, è funzionale a dare spazio alla voce di Primo Levi: incisa, nitida, priva di astio, nella sua esattezza scientifica, capace di far emergere la forza, urtante, dei fatti nudi e, nei fatti, l’angoscia delle «notti feroci» tenuta a bada di giorno dalla razionalità; l’orrore vissuto; il terrore di narrarlo senza essere creduti.
L’esito è davvero potentissimo, lo prova l’attimo di silenzio che precede l’applauso quasi pudico. Sarebbe importante portarlo in ogni angolo di questa Italia confusa e tentata di dimenticare. Per ora, si sa che lo ritroveremo a ottobre al Teatro Parenti di Milano e a novembre a Roma al Teatro Argentina.