Gli indicatori demografici pubblicati dall’ISTAT il 6 marzo scorso, e contenenti le prime stime per l’anno 2016, presentano delle – poco piacevoli – conferme, e qualche novità che conviene segnalare. Vediamo le principali.
Innanzitutto, la natalità conferma la tendenza alla diminuzione, per cui ogni anno bisogna aggiornare il record negativo: se nel 2015 i nati erano stati 486mila (per la prima volta dall’unità d’Italia sotto la barriera psicologica del mezzo milione) nel 2016 sono stati 474mila, mentre il tasso di fecondità è sceso a 1,34 figli per donna in età feconda, e i decessi superano le nascite di ben 134mila unità. Riesce difficile, ormai, trovare le parole per commentare una tale deriva, che mette a rischio la tenuta sociale ed economica del nostro Paese (il tasso di sostituzione di una popolazione, che ne consente l’equilibrio e il mantenimento degli attuali livelli di welfare, è di circa 2,1 figli per donna). Continua a martellare sempre la solita domanda: cosa deve succedere, ancora, perché si cominci veramente, ad ogni livello istituzionale, a mettere al centro dell’agenda politica una seria, coerente, continuativa, universalistica politica familiare, superando la fase dei bonus e degli (inutili) interventi spot?
Secondo aspetto, l’immigrazione. Il saldo migratorio dall’estero risulta positivo per 135mila unità, ma questo dato nasconde realtà diverse che è bene evidenziare. Innanzitutto, se scorporiamo gli italiani dagli stranieri, scopriamo che mentre per i secondi gli ingressi, pari a 258mila, hanno superato le uscite, pari a 42mila, di 216mila unità, per gli italiani il saldo è pesantemente negativo: nel corso del 2016 sono rientrati dall’estero 35mila connazionali, mentre ne sono usciti ben 115mila, in crescita del 12,6% rispetto al 2015, e praticamente triplicati in sei anni! Come ben sappiamo dalle ricerche, si tratta molto spesso di giovani, istruiti, alla ricerca di condizioni di lavoro e di prospettive future che in Italia non trovano. Parlare di “fuga di cervelli” non è una frase fatta, ed anche qui non possiamo far altro che constatare che questa autentica “tragedia nazionale” ancora non riceve - al di là delle chiacchiere – la dovuta attenzione, se è vero, come abbiamo già segnalato su questo sito, che la legge di bilancio per il 2017 ha stanziato per i giovani nemmeno un decimo di quello previsto per gli interventi sulle pensioni!
Sempre in tema di immigrazione, vale la pena soffermarsi su un dato che sembra essere sfuggito alla maggior parte di commentatori. Benché sia il loro saldo migratorio che il loro saldo naturale siano positivi (rispettivamente per 216mila e 54milaunità), secondo l’ISTAT gli stranieri residenti in Italia sono pressoché lo stesso numero del 2015, 5 milioni 29mila, con lievissimo aumento (2.500 unità). Come si spiega questa apparente contraddizione? Da un lato, c’è un dato tecnico per cui vanno conteggiate le cancellazioni dall’anagrafe per irreperibilità, pari a 122mila, ma soprattutto vi sono state ben 205mila acquisizioni della cittadinanza italiana (erano state appena 29mila nel 2005). È un dato che va sottolineato: mentre gli italiani di nascita continuano a diminuire (come abbiamo visto, il saldo naturale – nascite meno decessi – è pari a meno 134mila persone), sempre più stranieri diventano italiani a tutti gli effetti. È una tendenza inarrestabile, nell’ordine delle cose, con buona pace dei “sovranisti” (che spesso si declina in “razzisti” tout court) e degli imprenditori della paura nostrani, che – visti i numeri citati sopra – sono semplicemente fuori dalla storia. La realtà è che ormai da vari anni l’Italia dal punto di vista demografico sta in piedi (male) solo grazie all’apporto degli immigrati, senza dei quali saremmo messi da ogni punto di vista molto peggio. Le forze politiche che nel nostro Parlamento stanno boicottando l’indispensabile riforma della legge sulla cittadinanza sapranno aprire finalmente gli occhi?
Infine, gli anziani. Non è difficile intuire che, con questi numeri, la popolazione italiana sta inesorabilmente e velocemente invecchiando, ma alcuni passaggi della rapporto ISTAT fotografano con glaciale precisione la drammaticità della situazione. Scrive l’ISTAT: «Nella piramide dell’età, i valori più bassi che si rilevano nella classe 0-4 anni riflettono il calo delle nascite registrato negli ultimi cinque anni. Per rilevare una coorte di nascita di consistenza numerica inferiore ai nati nel 2016 occorre risalire alla generazione dei nati nel 1936, ossia agli ottantenni di oggi». Cioè, questo significa che oggi in Italia abbiamo praticamente lo stesso numero di nati nel 2016 e di persone di 80 anni. Si badi bene, non dell’insieme di tutti gli ultra-ottantenni, bensì di coloro che nel corso del 2016 hanno compiuto 80 anni!
Prosegue poi l’ISTAT: «Nel 2007 le prime 15 coorti di nati per consistenza numerica erano quelle superstiti tra i nati del 1961-1975. Dieci anni più tardi le medesime coorti, che nel frattempo transitano da un’età compiuta di 31-45 anni a una di 41-55, sono ancora le più consistenti. Se oggi tali coorti presidiano la popolazione in tarda età attiva, in una prospettiva non remota esse sono progressivamente destinate a far parte della popolazione in età anziana». Tradotto, vuol dire che nell’arco di circa 20 anni avremo una massa di persone già uscite dal mondo del lavoro o in procinto di farlo che sarà almeno due volte e mezza il numero dei nati nello stesso periodo. Sarà una situazione sostenibile?
La domanda è ovviamente retorica, ma retoriche o inadeguate non possono più esserlo le risposte concrete che il nostro Paese deve mettere in atto.