Va ripensata integralmente la teologia del matrimonio, che oggi è stata praticamente ridotta all’esaltazione dell’amore di coppia, e soprattutto va riscoperto il “primato di Dio” in un sacramento “di frontiera”. Nell’ultimo numero della Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti i cui articoli sono letti e approvati dalla Segretaria di Stato vaticana prima della pubblicazione, padre Mario Imperatori spiega che è necessario un nuovo approfondimento teologico della “prassi pastorale del sacramento del matrimonio” che è “sostanzialmente quella fissata a suo tempo dal Concilio di Trento”.
La necessità di una nuova elaborazione della teologia del matrimonio era stata sollecitata anche dai teologi che avevano partecipato ai tre seminari riservati organizzati dal Pontificio Consiglio per la Famiglia e i cui risultati sono stati pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana nel volume Famiglia e Chiesa un legame indissolubile. Padre Imperatori, gesuita svizzero che dirige a Tirana la facoltà di teologica del seminario della Chiesa albanese, sottolinea che oggi c’è un “ruolo preponderante” del diritto canonico con “possibile danno alla dimensione più specificamente teologica del matrimonio”. Il matrimonio infatti viene presentato come un “contratto naturale” che “tra battezzati diventa automaticamente sacramentale”. Insistere sulla legge naturale alla base del matrimonio cristiano è per il gesuita un errore anzi un “paradossale fattore di secolarizzazione del matrimonio cristiano”, nel quale la fede degli sposi ha sempre meno incidenza.
Padre Imperatori arriva a parlare di “boomerang teologico e pastorale” a causa del fenomeno oggi sempre più rilevante di battezzati che non vivono la loro fede, e che si sposano in chiesa solo per tradizione o perché è più decoroso. Tutto ciò rischia di trasformare il matrimonio in un “sacramento per i non praticanti”. La riflessione si deve spostare invece dal piano canonico e morale a quello teologico, favorendo l’idea che è la relazione con Dio ad avere il ruolo centrale e dunque vitale. Occorre rendere le persone “consapevoli circa l’importanza e la bellezza della relazione con Dio per poter gustare, vivere e nutrire quella di coppia”.
Padre Imperatori a questo proposito spiega che i corsi in preparazione al matrimonio, così come sono concepiti e cioè come “un pedaggio da pagare per una celebrazione alla quale si avrebbe comunque sempre diritto per legge naturale e per ragioni spesso sociologiche”, vanno cambiati. Quindi bisogna “pensarli e realizzarli in un ‘ottica quanto più possibile evangelizzatrice e come un agile itinerario di discernimento che la comunità cristiana può offrire anche a coloro che già iniziano una relazione di coppia”. Ma essi vanno poi adattati ai “tempi di maturazione e alla fattiva volontà delle coppie coinvolte”. In gioco insomma c’è la fede, cioè l’alleanza tra l’uomo e Dio, che va alimentata e su di essa si fonda il matrimonio e non su un contratto, che in virtù di una fede implicita, eleva a sacramento un istituto naturale.
Il concetto di fede implicita, spiega il gesuita, poteva funzionare in contesti passati “ di cristianità”, quando il matrimonio era solo quello cristiano, garantito dalla forma canonica tridentina. Oggi non è più così e “man mano che ci si inoltra nella modernità e nelle sue sempre più profonde trasformazioni socio culturali, l’incidenza sociale ed esistenziale del fondamento divino della legge naturale si indebolisce sempre di più, fino a svuotare di contenuto reale lo stesso concetto di fede implicita”.