«La teologia è un ramo della letteratura fantastica». A questa espressione del grande scrittore argentino Jorge Luis Borges fa da contraltare papa Benedetto nella sua replica a Piergiorgio Odifreddi: «La teologia è scienza, l’ateismo è fantascienza». Il teologo Ratzinger intende rivendicare la dimensione storica della rivelazione ebraico-cristiana. Tuttavia, insieme alla narrazione credente degli eventi, le Scritture fanno anche ricorso all’immaginario, in particolare con il genere letterario apocalittico. Gli studiosi ne collocano la nascita nel momento in cui il popolo eletto inizia a diffidare della profezia e a nutrire una sorta di frustrazione per le promesse non realizzate. L’apocalittica nasce nei momenti di crisi. Il popolo, che non riesce più a vivere nella pura e fiduciosa attesa del Messia promesso, cerca di darsi delle risposte e, almeno con l’immaginario, descrive come potrebbe essere tale arrivo.
Anche quando la prima comunità cristiana trova nell’eredità scritta dagli apostoli le affermazioni sull’imminente seconda venuta del Signore, si rende conto che questo “presto” non è quantificabile, che i tempi di Dio non sono i tempi degli uomini, e che per dare senso all’attesa occorre far ricorso all’immaginazione. Il vuoto da colmare è rappresentato da ciò che la ragione (razionalistica) non è capace di esprimere. Serve qualcosa d’altro, fatto di rappresentazioni e non di spiegazioni.
In questa chiave potremmo leggere il successo attuale della letteratura e della filmografia fantascientifica, rilevando come nelle simbologie, nei nomi e in alcune tematiche attingano a piene mani alla letteratura religiosa e all’universo simbolico cristiano. Anche se, più che del Dio personale delle religioni monoteiste, si tratta del “divino”, con l’evocare costanti presenze di dei, essere sovrumani, demiurghi, redentori… E con una forte propensione a riflettere il futuro in termini apocalittici. Attraverso esempi presi da alcuni film “classici” come la trilogia di Matrix, Avatar e Dio esiste e vive a Bruxelles, nonché da serie quali Star Wars e West World, ci si può interrogare sul modo di raccontare la creazione, con demiurghi più o meno pasticcioni, e sulla redenzione, spesso attuata da un “eletto”, dove non mancano i riferimenti alla rivelazione ebraico-cristiana, senza prescindere da ricorsi a forme neopagane o neognostiche.
Spesso si tratta di “salvare l’umano” dall’incombere della catastrofe cui tende la “civiltà delle macchine”, attraverso una feroce lotta fra il bene e il male. Penso al messaggio sul tema della coscienza, rappresentato in West World, e alla lapidaria espressione «Io sono unico!» posta sulla bocca del robot Sonny in Io robot. In Matrix si afferma con chiarezza questa unicità, definita “anomalia”. E si tratta di un’eccezione provvidenziale, che impedisce di ridurre tutto a una pura necessità matematica, attraverso l’esercizio della libertà.