Carlo Petrini, per tutti Carlìn, con alcune delegate a Terra Madre. Tutte le fotografie di questo servizio sono dell'agenzia Ansa.
Una grande festa di voci, colori, abiti tipici e bandiere: i tamburi dell’Africa che incontrano le note di Guantanamera, la pizzica salentina che si fonde con i canti occitani accompagnati dalle ghironde. E il pane: tremila pagnotte preparate con ricette tradizionali. Ogni delegazione porta con sé le sue tradizioni, di cui è giustamente orgogliosa. Non però come emblemi da brandire, ma, al contrario, come eredità preziose da condividere con gli altri. E’ la sfilata finale, la cartolina conclusiva di “Terra madre Salone del Gusto”, grande evento ideato da Slow Food e dedicato al cibo in tutte le sue forme: non solo piacere culinario, ma anche patrimonio culturale da difendere, in nome di un’economia più equa, più rispettosa dell’uomo e della terra. Per cinque giorni, dal 20 al 24 settembre, si sono incontrati a Torino 7.000 delegati da 150 Paesi e oltre 1.000 espositori. Tutti riuniti sotto il motto “Food for change” (Cibo per cambiare). Migliaia gli eventi: 6 aree tematiche sul futuro dell’alimentazione, un’Arena aperta a 340 indigeni, 230 migranti e 1000 giovani.
L’edizione 2018, la dodicesima, si chiude con un bilancio positivo. E se, com’era prevedibile, il numero di visitatori non eguaglierà il boom del 2016, quando si sfiorò il milione di presenze (ma in quel caso il Salone si svolgeva nel centro storico e non prevedeva alcun biglietto d’ingresso, mentre quest’anno il baricentro della manifestazione era nei padiglioni fieristici del Lingotto) i motivi di soddisfazione sono comunque tanti. Da notare che il numero degli espositori è aumentato e si è ampliata anche a loro provenienza geografica. Ancora una volta, Terra Madre si è dimostrata vitale terreno di confronto. Al centro, i produttori (quelli dei Paesi più remoti, ma anche contadini e allevatori delle nostre aree rurali) che Slow Food raduna sotto il simbolo della chiocciola e che quotidianamente si battono per un cibo “buono, pulito e giusto”.
Tra le sfide più significative presentate nell’edizione 2018 spicca senza dubbio l’università diffusa, un progetto che coinvolge, per ora, 350 studiosi e che punta a far dialogare i saperi contadini tradizionali con il mondo accademico. Sottolineando che «siamo appena all’inizio dell’opera» Carlo Petrini, fondatore e presidente di Slow Food, ha definito l’università diffusa come «un’idea rivoluzionaria, proprio per il suo approccio empatico, di apertura e di superamento dei compartimenti stagni cui la nostra società ci ha abituati». Il progetto intende costruire una rete sempre aperta, che favorisca lo scambio di conoscenze e sappia dar valore anche a quel patrimonio di saperi contadini spesso un po’ snobbato dalla comunità scientifica. Ma a ben guardare, ha osservato Petrini, «gli intellettuali della terra esistono già: ora bisogna renderli protagonisti».
Nei giorni di Terra Madre si è parlato molto di biodiversità, sviluppo sostenibile, azioni per contrastare lo sfruttamento dissennato delle risorse naturali. Il tutto con un linguaggio semplice, all’insegna della concretezza. Molto efficace, ad esempio, la narrazione presente nello spazio dedicato ai semi. Era possibile vedere e toccare un’ottantina di specie di mais provenienti da tutto il mondo, immergere le mani in diversi tipi di terriccio (da quelli più ferrosi a quelli ricchi di argilla), lasciarsi guidare da tatto e olfatto in un percorso alla scoperta di semi e aromi (alcuni più noti alla cucina nostrana, come i chiodi di garofano o l’anice, altri più esotici, come l’amaranto). Bastava poi alzare gli occhi per capire quanto questo universo di diversità sia in pericolo: ogni anno 27.000 specie animali e vegetali scompaiono dal pianeta. Negli ultimi 70 anni abbiamo perso i tre quarti della biodiversità che i contadini avevano selezionato nei precedenti 10.000 anni. Attualmente quattro multinazionali controllano il 63% del mercato dei semi. Le stesse multinazionali detengono i brevetti degli Ogm, controllano il 70% del mercato di fertilizzanti chimici e pesticidi. Sono, insomma, i signori del cibo.
Ecco allora il senso delle battaglie di Terra Madre. Viviamo in uno dei Paesi più ricchi al mondo quanto a biodiversità, intesa anche in senso culturale, come testimoniavano le infinite varietà di prodotti regionali esposti tra gli
stand. Ampliando lo sguardo al mondo, c’era da perdersi fra le varietà di cacao andino, gli aromi dei tè indiani, le note più o meno dolci dei caffè (dall’etiope al guatemalteco). E non mancavano le curiosità, come il burro di karitè: in Europa ne conosciamo soprattutto le virtù cosmetiche e cicatrizzanti, ma in alcuni Paesi africani è usato anche come alimento, visto il suo valore nutritivo.