Donald Trump (74 anni) e Benjamin Netanyahu (70) a Washington il 28 gennaio 2020. Foto Reuters. In alto: il cardinale Pietro Parolin,65, Segretario di Stato della Santa Sede., Foto Reuters. In copertina: Gerusalemme vecchia vista dal Monte degli Ulivi. Foto Reuters.
Felpati i modi, come si usa in campo diplomatico. Chiari i concetti detti e ribaditi. La Santa Sede è di nuovo intervenuta ad altissimo livello nelle questioni Mediorientali. Il 30 giugno scorso, ha annunicato ieri la Sala Stampa vaticana in un comunicato, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha incontrato gli ambasciatori degli Stati Uniti d’America e dello Stato di Israele «per esprimere la preoccupazione della Santa Sede circa possibili azioni unilaterali che potrebbero mettere ulteriormente a rischio la ricerca della pace fra israeliani e palestinesi e la delicata situazione in Medio Oriente». Nel darne notizia, la Sala Stampa vaticana ha ricordato che la Santa Sede ribadisce che – come aveva già dichiarato il 20 novembre 2019 e il 20 maggio scorso – lo Stato d’Israele e lo Stato di Palestina «hanno il diritto di esistere e di vivere in pace e sicurezza, dentro confini riconosciuti internazionalmente».
Da qui l’appello alle parti «affinché si adoperino a riaprire il cammino del negoziato diretto, sulla base delle rilevanti Risoluzioni delle Nazioni Unite, facilitato da misure che servano a ristabilire la fiducia reciproca» e, come ha auspicato papa Francesco nell’invocazione per la Pace in Terra Santa nei Giardini Vaticani, l’8 giugno 2014, abbiano «il coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza».
Benny Gantz (sinistra, 61 anni) e Benjamin Netanyahu (destra, 70), il 14 giugno 2020 attendono l'inizio della riunione del Consiglio dei ministri israeliano. Foto Reuters.
Ad agitare gli animi sensibili alla pace e le Cancellerie di mezzo mondo è l’annunciata annessione, da parte di Israele, delle aree della Cisgiordania dove sono state edificate oltre 130 colonie (una porzione di territorio che oscilla trra il 20 e il 30 per cento del totale), considerate illegali dalla comunità internazionale. Il processo avrebbe dovuto prendere il via il primo luglio. Ma per il momento è stato fatto slittare. Le parti stanno approfittando diu questo lasso diu tempo spiegare le rispettive posizioni. Israele, innanzitutto. «Il primo ministro Benjamin Netanyahu vuole dichiarare, con il sostegno statunitense, la sovranità israeliana su tutti gli insediamenti ebraici creati in Cisgiordania dal 1967, compresi quelli nella valle del Giordano. Nelle ultime tre campagne elettorali lo ha ribadito più volte. Inizialmente si era concentrato sull’annessione della valle del Giordano, ma poi ha puntato sull’inclusione di tutti gli insediamenti della Cisgiordania», ha spiegato sul quotidiano israeliano Haaretz Noa Landau: «In base all’accordo tra il Likud (il partito di destra di Netanyahu) e il partito centrista Blu e bianco (guidato da Benny Gantz) per formare un governo di coalizione, a partire dal primo luglio luglio Netanyahu potrebbe portare “l’accordo sull’estensione della sovranità stipulato con Washington al comitato per la sicurezza nazionale e poi al governo, per l’approvazione dell’esecutivo e/o della knesset”».
La colonia israeliana di Maale Adumim sorta nella Cisgiordania occupata in una foto scattata il 18 giugno 2019. Foto Reuters,.
Il progetto di annessione ha provocato la dura condanna del presidente palestinese Mahmoud Abbas, del re di Giordania Abdallah II, dei 22 paesi della Lega e di gran parte dei Paesi europei e della comunità internazionale. «Illegale», ha detto Michelle Bachelet, Alto commissario Onu per i diritti umani, bocciando il piano israeliano. Il premier inglese Boris Johnson con un commento sul quotidiano israeliano Yedioth Aharonot s'è dichiarato contrario all’annessione. Anche le Chiese locali hanno alzato la voce contro il progetto di annessione. «Non si può più parlare onestamente e concretamente di soluzione ‘Due Popoli Due Stati’ che diventa, tecnicamente, sempre più difficile. Se poi l’annessione verrà effettuata sarà una situazione irreversibile», ha tuonato l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, durante una diretta social, ha riportato in un articolato servizio di Daniele Rocchi l'agenzia di stampa cattolica Agensir.
Insediamenti israeliani sorti nelle aree di Givat Zeev e Ramat Givat Zeev nella Cisgiordania occupata in una foto scattata il 30 giugno 2020. Foto Reuters.
«Per l’arcivescovo», proseguiva l'analisi, «“parlare di pace, di negoziati, all’interno della società sia palestinese sia israeliana non è molto realistico”. Sulla stessa linea i patriarchi e i capi delle Chiese di Terra Santa, tra i quali figurano lo stesso Pizzaballa, il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton e il patriarca greco-ortodosso Teofilo III. In una nota congiunta i leader religiosi “considerano tale piano di annessione unilaterale, invitano lo Stato di Israele ad astenersi” e esortano il Quartetto “Usa, Ue, Onu e Russia a rispondere a questo piano con un’iniziativa di pace graduale e delimitata nel tempo, in linea con il diritto internazionale e con le relative risoluzioni delle Nazioni Unite, al fine di garantire una pace completa, giusta e duratura in questa parte del mondo, considerata santa dalle tre fedi abramitiche”».