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L'Aquila fu bombardata di slot, ma mai un centesimo ai terremotati

26/08/2016  Chi oggi chiede di aiutare con gioco le popolazioni colpite dal sisma non sa che nel 2009 dopo il terremoto in Abruzzo si fece un decreto ad hoc per introdurre nuove slot e neanche un euro di quei soldi è andato alla ricostruzione

La proposta di devolvere il montepremi del Superenalotto (circa 130 milioni di euro) ai terremotati del Centro Italia è partita dai social e ha incontrato autorevoli sponsor in Parlamento, dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni al deputato del Pd Antonio Boccuzzi. Molte sono anche le petizioni aperte su Change.org con migliaia di sostenitori favorevoli. Alcuni commentatori sui giornali hanno fatto notare come sia tecnicamente impossibile fare quest’operazione. Lo stesso ha fatto il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta spiegando ad Agipronews che «pur comprendendo il fine, il risultato all’epoca fu un incremento del gioco e, attualmente, l’offerta è troppo estesa».

Il Superenalotto, infatti, fa parte di quell’offerta del gioco d’azzardo di Stato che negli ultimi anni è cresciuta a dismisura con l’arruolamento di migliaia d’italiani al gioco patologico di massa e un esercito di persone che solo nel 2015 ha buttato la bellezza di 25 miliardi di euro in slot machine, 22 miliardi in videolottery, un miliardo in scommesse virtuali, un miliardo e mezzo nelle sale Bingo, 12,5 miliardi in «giochi di carte non a torneo» (in gran parte poker on line) e 7 miliardi al Lotto.

Perché di fronte a una tragedia come quella del terremoto che ha devastato il Centro Italia centinaia di migliaia di persone, in assoluta buonafede, non trovano niente di meglio che proporre di aiutare i terremotati con i soldi del gioco d’azzardo? E perché, a parte qualche voce autorevole come l’economista Luigino Bruni, nessuno si chiede come mai siamo arrivati a questo punto? Cioè, di pensare di poter guarire con un male (l’azzardo di Stato che crea povertà, suicidi, drammi sociali e fa la gioia degli usurai) un altro male come il sisma? Il gioco d’azzardo, come ben dimostra questa vicenda, è uno specchio in cui si riflette la situazione culturale dell’Italia di oggi ed è il segno macroscopico dello stravolgimento dei valori di riferimento. Perché se un Paese per risolvere i suoi problemi, a cominciare dall’aiuto alle popolazioni terremotate, decide di affidarsi all’azzardo e non alle sue risorse intellettuali, civiche e morali e pochissimi s’indignano per questo significa che è in atto un preoccupante capovolgimento di valori.

Il cattivo maestro, va da sé, è sempre lo Stato che a partire dal decreto Abruzzo del 2009 ha lanciato un messaggio tanto semplice quanto devastante: giocate e impoveritevi pure, tanto poi una parte dei soldi che buttate via servirà per qualche opera di solidarietà.

Neanche un euro è andato a L'Aquila

Ma è davvero così? No. Nel 2009, per finanziare la ricostruzione de L’Aquila, il governo di allora pensò bene di approvare un decreto (“Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile”) con il quale si sfruttò la tragedia del terremoto per introdurre in Italia le videolotteries (VLT), slot machine dove si può giocare anche con banconote da 500 euro e che in Canada e negli Usa suscitarono notevoli polemiche per il loro meccanismo di giocate ultra veloci. Non a caso, oggi con 52mila apparecchi attivi l’Italia è il paradiso delle VLT e possiede il 30% del parco macchine mondiale. Solo nelle VLT gli italiani l’anno scorso hanno buttato la bellezza di ben 22 miliardi di euro.

Inoltre, sempre con il decreto Abruzzo, si decise di introdurre nuove lotterie istantanee, intensificare le estrazioni del lotto, consentire l'apertura delle tabaccherie anche la domenica e dulcis in fundo introdurre sul mercato le famigerate VLT. In cambio, ogni concessionario avrebbe, come è  effettivamente successo, anticipato all'Erario quindicimila euro per ogni terminale. Una bella somma che, però, incassata dall'Erario, non pare essere mai arrivata sul territorio aquilano. Perché a sette anni di distanza una cosa è certa: dei 500 milioni di euro d’incassi previsti dal Decreto Abruzzo a L’Aquila non è arrivato neanche un euro. La Corte dei Conti ha aperto un fascicolo per vederci chiaro, pure Report di Milena Gabanelli nel 2011 lanciò l’allarme. Non solo, oltre al danno la beffa. A L'Aquila e provincia, secondo i dati resi noti dal sociologo Maurizio Fiasco della Consulta nazionale antiusura, la spesa pro-capite in azzardo è passata da 780 euro nel 2007, ai 1.335 del 2012, ben al si sopra della media nazionale che è di 1.416 euro, con una crescita pari al 73,7%. Ai 1.335 euro di spesa pro-capite degli aquilani va aggiunto un 20% di spesa nell'online. Inoltre, da una ricerca fatta su tre indicatori di esposizione, la provincia dell'Aquila risulta tra le più invase dalle slot machine: ci sono 13,2 apparecchi ogni mille abitanti e 32,8 ogni dieci chilometri quadrati. Insomma, un disastro.

Ecco perché un Paese che non avesse smarrito gli anticorpi morali dopo quanto successo all’Aquila dovrebbe balzare sulla sedia alla proposta di una “tassa di scopo” sull’azzardo per finanziare la ricostruzione delle zone colpite del sisma del 24 agosto. Perché accanto agli sciacalli che in questi giorni rovistano le case in rovina per depredarle, altri sciacalli abilmente mimetizzati in lobby potentissime e rispettabilissime vogliono approfittare del terremoto e della solidarietà per allargare il mercato del gioco d’azzardo che ogni giorno manda in fumo migliaia di vite e di famiglie spingendole nella povertà e talvolta anche al suicidio.

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