John ha otto anni e ha ripreso a sorridere. Era stato trovato col volto segnato dalle percosse, mentre vagava senza meta per le baracche di una grossa bidonville alla periferia di Nairobi. Una mano amica lo ha condotto in un orfanotrofio della città, dove è stato soccorso e accudito. Ora è tornato a frequentare anche la scuola. E ai suoi occhi il mondo non sembra più così ostile. Quella struttura, che ospita altri 150 bambini di strada, orfani e vittime di violenze ,versava in condizioni terribili. Da quasi un anno è sostenuta dagli aiuti della fondazione L’albero della vita, una Onlus attiva dal 1997 per la tutela dei diritti dei minori. «Partiti per sostenere, in Italia, bimbi e famiglie in condizione di disagio, da sette anni abbiamo esteso il nostro intervento all’estero (in Africa, America latina e India), dove seguiamo quasi 10 mila minorenni», spiega Stefano Gianini, vicepresidente della fondazione.
È uno dei tantissimi network umanitari italiani che fanno parte del Terzo settore: una realtà variegata che coinvolge 235 mila tra associazioni, cooperative, fondazioni, istituti nei quali si rimboccano le maniche oltre tre milioni di volontari. Il tutto, in ogni caso, costituisce una sorta di mega impresa sociale che assicura lavoro a 750 mila persone e produce il 5 per cento del Pil nazionale. Offre servizi di ogni tipo, orientamento e assistenza soprattuttoa chi soffre o è indigente, arrivando spesso prima dello Stato o dove esso latita.
C’è chi vi opera da ben 116 anni, come l’Istituto Sacra Famiglia, con sede storica a Cesano Boscone, nel Milanese: qui, nel 1896, il parroco, don Domenico Pogliani, diede vita a questa realtà, accogliendo in casa alcuni bisognosi della zona. Oggi la fondazione omonima, che contasei filiali in Lombardia, Piemonte e Liguria, offre ricovero, cure, servizi domiciliari e riabilitazione a disabili e ad anziani non autosufficienti. Nei suoi centri sono ricoverati circa 1.800 pazienti e vi lavorano altrettantioperatori: «Siamo una grande realtà», dicono alcuni di essi, «che risponde ai nuovi bisogni delle persone fragili e delle loro famiglie, con necessità sanitarie e assistenziali complesse non più gestibili con i servizi classici. Questa è la sfida del futuro».
Anche chi lavora a fianco dei malati terminali, come fa l’associazione Vidas da trent’anni con assistenza a domicilio o ricovero gratuito nell’hospice milanese, si trova ad affrontare nuove emergenze, tipologie d’utenti e complessità d’intervento. «Prima entriamo nelle case con il medico per togliere il dolore fisico al malato, poi, sempre più spesso, ci torniamo come amici per aiutare l’intera famiglia, magari sotto sfratto, indebitata, con la suocera alcolista o un padre violento. Insomma accanto all’attività clinica e alla terapia antalgica, ci viene chiesto un intervento da psicologo o da assistente sociale», osserva Giovann Cavazzoni, ottantunenne, energica fondatrice e presidente dell’associazione Vidas che, oltre a Milano, è presente in 104 comuni della provincia, con un’équipe di 70 professionisti, tra personale medico e paramedico, al servizio di 27 mila pazienti.
C’è, poi, chi, dopo anni di trasferte volontarie nelle terre d’Africa, scopre che anche da pensionati si può essere utili alla causa dei diseredati della terra, senza muoversi da casa. Basta usare Internet e aggregarsi. Così nel 1999 è nata la Onlus Economia alternativa, un’associazione fondata da una quindicina di volontari in pensione. A presiedere Economia alternativa, chesostiene le attività delle missioni comboniane nell’Africa subsahariana, è Giampiero Castellina: «Raccogliamo risorse da privati e da enti pubblici partecipando a bandi di concorso per progetti proposti dai missionari», spiega. I benefattori sono circa duemila. «Nonostante la crisi economica nessuno s’è tirato indietro, ma s’è ridotto l’importo delle donazioni, complessivamente calate di un buon 30 per cento».
Dall’idea di un obiettore di coscienza al serviziomilitare e di un gesuita illuminato, invece, è nata a Trento nel 1978 una delle realtà italiane più singolari del nostro Terzo settore, pionieristica per i tempi, un vero incubatore di volontariato sociale, educazione alla mondialità e partecipazione civica: Villa Sant’Ignazio, una fondazione che oggi raccoglie ben 20 associazioni, due cooperative con 50 dipendenti, centri studi e realtà formative. Una “calamita” sociale che attira, ogni anno, 13 mila persone. Casa per esercizi spirituali ignaziani, centro d’accoglienza per ragazziin difficoltà e per rifugiati, sede di una scuola di psicoterapia “rogersiana”, e tanto altro ancora, «Villa Sant’Ignazio è l’esempio di quante risorse per la comunità possano scaturire dalla responsabilizzazione dei giovani e dei laici in progetti autogestiti», dice Dario Fortin, per vent’anni direttore della cooperativa Villa Sant’Ignazio, docente alla facoltà di Scienze cognitive a Rovereto.
Ebbene, di tutte queste formidabili “task force solidali” di cui è composto il mondo delle organizzazioni non profit, il
Governo e la politica sembrano non occuparsi, salvo quando c’è da andare a batter cassa. È accaduto anche di recente con l’Imu,
per tassare come “attività commerciali” beni utilizzati dal volontariato senza fine di lucro. Per il mondo del non profit italiano il 2012 è stato, in effetti, un anno terribile. Merita ricordare la soppressione dell’Agenzia del Terzo settore (unico luogo istituzionale dove potevano dialogare Stato e associazionismo), il tentativo di cancellare gli Osservatori del volontariato e dell'associazionismo, il taglio del fondo per il 5 per mille e la sua mancata stabilizzazione. «Tutti provvedimenti che denotano un grave deficit di comprensione sul cosa sia il mondo non profit da parte della politica, che non riconosce ciò che noi rappresentiamo, cioè una risorsa strategica per la rigenerazione del nostro Paese»,
denuncia Andrea Olivero, ex presidente delle Acli e portavoce del Forum del Terzo settore. L'agenda Monti, sempre secondo l'ex presidente delle Acli, va integrata con «un'agenda sociale vera, che affronti le riforme sociali del welfare, della non autosufficienza e del contrasto alla povertà». Riforme mai scritte da vent'anni a oggi.
Rincara la dose don Armando Zappolini, presidente del Cnca, il Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza, che riunisce 256 organizzazioni:«Il terzo settore è ormai prossimo al coma salvo rianimarlo con una bella rivoluzione. Io opto per la seconda. I diritti devono alzare la voce. Non si può pensare di costruire un Paese massacrando sempre le fasce più povere della popolazione e chi si spende per loro. Ci sono operatori sociali che lavorano sulla strada, in comunità, e che da mesi sono senza stipendio. Ma la cosa più grave non èneanche il taglio dei finanziamenti al volontariato, ma il fatto che i politici stanno distruggendo il welfare come idea, come valore in sé». Per ridurlo a mero assistenzialismo, condito da buon cuore e buone opere. E, manco a dirlo, senza il riconoscimento di uno straccio di diritto.