Per i linguisti le parole, le sequenze di lettere cui affidiamo parlando e scrivendo un significato, sono una pura convenzione. Non c’è una ragione logica per cui chiamiamo la casa “casa” e non la chiamiamo con un’altra sequenza casuale di lettere per esempio “asaf”. Tranne che per pochi casi ("mamma" per esempio è uguale in tutto il mondo quasi e una ragione c'è) non c’è relazione tra il significato delle parole e il modo in cui suonano le lettere che le compongono. Però c'è un però: le parole hanno una storia e un contesto culturale e dei sinonimi e quell’insieme ci dice delle cose di noi, molte più di quante potremmo immaginare.
Oggi, per esempio, si tengono a scuola i test Invalsi, le prove che servono – in teoria – a valutare in modo oggettivo a livello nazionale – ma anche transnazionale se è vero che il modello è analogo a quello delle ricerche Ocse-Pisa – le competenze alfabetiche e matematiche raggiunte dagli studenti: un sistema per valutare la scuola nel suo complesso, per capire che cosa va e che cosa non va e, nel caso, correggere il tiro. Ogni anno i responsabili dell’Istituto denunciano l’abitudine a copiare e stilano piani triennali anticorruzione. Un personaggio di Crozza direbbe: “Corruzione, per un compito copiato? Che paroloni”. E qui torniamo alle parole e al senso che nascondono.
In inglese copiare (a scuola, a un esame) si dice “to cheat”, è una parola che ha significati tutti negativi: i suoi sinonimi sono barare, ingannare, frodare, gabbare. In italiano copiare significa riprodurre fedelmente, con estensioni a imitare, emulare, prendere a esempio: la copia è l’arte degli amanuensi, lo strumento che nel Medioevo all’ombra dei conventi ci ha consentito di tramandare le opere degli antichi attraverso meravigliosi codici miniati. Per trovare un sinonimo negativo di copiare sul vocabolario, dobbiamo arrivare in fondo all’elenco e scovare proprio la sola accezione che riguarda la scuola: “riprodurre in modo fraudolento”, ma è una sfumatura minoritaria tra molti significati neutri o positivi.
Tutto questo da un lato rispecchia una cultura, dall’altro la tramanda: un bambino inglese che va a scuola sa già, fin dal significato della parola che adopera, che copiare è un’azione disonesta. Un bambino italiano impara subito che copiare è un’arte e infatti in Italia è convinzione diffusa che saper copiare un compito senza farsi beccare sia sinonimo di abilità di scaltrezza e passare un compito sia un gesto di solidarietà. Le “brutte parole” inglesi (barare, ingannare etc.) sono lontane.
Ecco che allora diventa difficile cogliere al volo il nesso tra la copiatura e la corruzione (quando magari a truccare le prove Invalsi, come spesso accade in Italia secondo le statistiche con punte al Sud, sono insegnanti che “aiutano” troppo gli allievi, perché non condividono il merito del test oppure nella convinzione che non sia grave far fare alla propria scuola una figura migliore, spesso sapendo che il dirigente la pensa nello stesso modo ).
È evidente che c’è differenza di peso specifico tra gli effetti del copiare il disegno del compagno di banco in prima elementare e quelli dello sbirciare in bagno dal cellulare la soluzione al concorso per diventare professore universitario. Ma il gesto è lo stesso e il difficile, nell’humus culturale da cui si parte, è trovare lo spartiacque, il punto di caduta, il momento in cui una furbata diventa corruzione: potremmo dirci che a scuola lo spartiacque è quando si trucca una prova che ha valore legale, ma come facciamo a spiegare a un ragazzo che si è sentito “ganzo” tutto l’anno perché ha copiato bene, che poi all’esame non è più “ganzo” ma diventa imbroglione (tanto più che anche i compiti hanno valore legale)? Come facciamo a insegnare a quello che passando il compito si è sentito solidale che non è bene esserlo troppo nella prova che conta davvero?
E, dopo, come faremo a spiegare loro che, da grandi, quando quel titolo di studio l’avranno ottenuto davvero, se copieranno il progetto di un concorrente saranno costretti a pagarne le conseguenze e se invece da funzionari pubblici daranno un aiutino non dovuto a qualcuno che non ha fatto le cose per bene saranno dei corrotti?
Sarà mica perché in italiano copiare si dice copiare e non barare, ingannare abbindolare, che la corruzione dilaga, senza subire la sanzione sociale che merita? O sarà vero il contrario e si dirà così perché in questo modo ci autoassolviamo da un malcostume molto nostro? Ai posteri (o ai linguisti) l’ardua sentenza.