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mercoledì 06 novembre 2024
 
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Berlino: the "House of One", così le religioni rispondono insieme all’odio

10/09/2021  Sulla Petriplatz, nel cuore della capitale tedesca a sua volta per troppo tempo simbolo di un mondo diviso, è in costruzione un edificio interreligioso che ospiterà una sinagoga, una chiesa e una moschea. Tutto sotto lo stesso tetto. Un luogo d'incontro. Di tolleranza religiosa. Di libertà.

Sopra, da sinistra: il pastore Gregor Hohberg, il rabbino Andreas Nachama e l'imam Kadir Sanci durante la cerimonia della posa della prima pietra. ©House of One/René Arnold. In alto: il plastico di presentazione dell'edificio (Rendering Kuehn Malvezzi House of One / Petriplatz © Davide Abbonacci).
Sopra, da sinistra: il pastore Gregor Hohberg, il rabbino Andreas Nachama e l'imam Kadir Sanci durante la cerimonia della posa della prima pietra. ©House of One/René Arnold. In alto: il plastico di presentazione dell'edificio (Rendering Kuehn Malvezzi House of One / Petriplatz © Davide Abbonacci).

Una città europea, un unico luogo, tre fedi diverse. Nasce a Berlino, nel segno dell’unità, il progetto “The House of One”, ovvero una chiesa, una moschea e un tempio ebraico racchiusi in un unico edificio. Il progetto, voluto da tre comunità progressive di ebrei, cristiani e musulmani, presenti nella città tedesca, muove i primi passi nel 2011 per vedere la posa della prima pietra nel maggio del 2021, alla presenza del presidente del Bundestag tedesco, Schäuble. Un grande segno di apertura per una città divisa per anni da un muro ed oggi modello di coesistenza pacifica di culture e religioni. Dunque quei muri che si sono trasformati in ponti, come più volte ci ha ricordato papa Francesco, attraverso lo strumento del dialogo quotidiano tra persone di fedi diverse, per una nazione che ha saputo nel tempo rimarginare le ferite della II Guerra Mondiale ed oggi è apripista nei modelli di convivenza.

La costruzione prosegue con successo sostenuta anche da una raccolta fondi che ha valicato i confini nazionali, affinché questo progetto possa essere non solo conosciuto ma anche replicato in altri stati. Dunque un modello da seguire, ma anche un segno tangibile di unità, non un semplice luogo di incontro e confronto, in cui il modello di coesistenza e di pace si oppone alla visione moderna dello scontro tra religioni e civiltà.

IL PROGETTO

La costruzione, che sorge su un’area archeologica della città, racchiude i luoghi dedicati alla preghiera separati tra loro ed uniti da un cortile comune, sovrastato da una loggia che si staglia fino a 32 metri di altezza e che accoglie una sfera circolare, simbolo di unità.

Il progetto architettonico, avveniristico nella sua semplicità, a firma dello studio Kuehn Malvezzi che ha vinto un bando lanciato nel 2021, mira a descrivere attraverso la pietra l’inclusione affinché la casa dell’”Uno” sia la casa di tutti.

Così le parole che meglio descrivono questo luogo sono diversità ed inclusione perché questo spazio mira ad essere promotore di dialogo attraverso eventi, percorsi formativi e progetti, che in primis coinvolgeranno giovani e donne.

PAROLA CHIAVE INCLUSIONE

“Questa casa sarà una casa piena di speranza” -, ci racconta il rappresentante italiano del progetto Mustafa Cenap Aydin – “un luogo di culto ma anche di incontro che rispecchia l’appello del grande mistico musulmano Rumi, che già nel 1200 chiedeva di pregare per questa unità. Un progetto che risponde in maniera concreta, dopo vent’anni dalla strage dell’11 settembre, alla cultura di morte e distruzione perpetrata da un islam estremista”.

Il dott. Aydin, turco di nascita e italiano di adozione, vive nel nostro paese dal 2004, anno in cui si trasferì per studiare, da sociologo delle religioni, il cristianesimo presso la Pontificia Università Gregoriana. Da allora vive stabilmente nel nostro paese, favorendo la cultura del dialogo attraverso l’Istituto Tevere, che dirige. Membro di Religions for Peace Italia, conferenziere, promuove anche progetti di ricerca centrati sul dialogo tra le religioni.

 

Mustafa Cenap Aydin.
Mustafa Cenap Aydin.

11 SETTEMBRE, SPARTIACQUE DI UN’EPOCA

Lui che a distanza di vent’anni ricorda insieme a noi quell’11 settembre, spartiacque di un’epoca. “Vivevo ancora ad Istanbul e quel giorno ero appena rientrato dall’università. Allora ero un giovane dottorando e cercavo di proseguire la mia carriera nel mondo accademico, studiando le minoranze religiose in Turchia. Ricordo che per me fu un grande shock, perché la mia generazione vedeva l’inizio del nuovo millennio come l’inizio di una nuova era ed invece oggi, a distanza di tanti anni, quella data fu come una linea di confine, finiva un’epoca”.

Una data che ha innescato un periodo denso di terrore, costellato non solo dall’inizio di una guerra infinita in Afghanistan, ma anche di una sequenza di atti terroristici, che hanno generato una scia di sangue in Europa e un clima di paura e diffidenza verso le religioni, in primis verso l’Islam. “Indubbiamente per me è stato un periodo di riscoperta della mia religione -, prosegue Aydin - a partire da quegli incontri pubblici con altri fedeli a cui non mi sono mai sottratto, anzi il confronto è sempre stato costruttivo a partire dalle riflessioni sul rapporto tra religione e violenza o fede e ragione nella religione islamica. Certo a volte il dialogo iniziava con fatica, ma la sincerità di cuore apre vie inaspettate”.

A distanza di vent’anni proseguono questi confronti? “Purtroppo sappiamo che l’11 settembre, come evento terroristico, non è rimasto un caso isolato. È stato un percorso difficile e dopo quella data la vita per i fedeli musulmani che hanno scelto di vivere in Occidente non è stata semplice. Inoltre mi piace ricordare che tra le vittime delle Torri Gemelle ci sono state anche persone musulmane. Persone come me, che vogliono vivere in pace, ci siamo trovati a rispondere a domande su questi temi, a riflettere su come proseguire insieme un cammino di convivenza”.

Personalmente hai avuto problemi dopo quella data? “No, nessun attacco discriminatorio o violenza nei miei confronti. È vero però che vesto all’occidentale e non porto barba lunga o nessun oggetto tradizionale. Forse ho avuto timore quando mi sono recato negli Stati Uniti nel 2003, ma viaggiando molto non ho mai avuto problemi particolari, neppure qui in Europa, tanto meno a Roma, città che è diventata la mia casa”.

Hai parlato di una data, quella dell’11 settembre come spartiacque di epoche. Il politologo americano Huntington, già negli anni 90’, parlava di ‘scontro di civiltà’. Oggi Possiamo dire che il dialogo è l’unico antidoto a quello che sullo sfondo del panorama globale appare come scontro tra civiltà mascherato da guerra religiosa?

“L’approccio di Huntington era già in discussione nell’ambiente accademico a partire dalla fine degli anni 90’, un approccio che già allora a molti appariva scettico. Mi preme ribadire che i conflitti legati ad una dimensione religiosa non sono una novità, l’importante sono le scelte che vengono fatte, ma soprattutto se esiste il desiderio di imparare e di riconciliarsi, dipende da noi. Certo se guardiamo l’Afghanistan purtroppo è una terra martoriata da anni, ma non è solo uno scontro verso l’occidente, ma anche intra religioso, basti ricordare gli attacchi fatti contro i centri sufi perché considerati troppo aperti rispetto una visione abbracciata dai talebani. Quindi questa estremizzazione della religione islamica, che nasce e si sviluppa in ambienti dove c’è analfabetismo religioso, crea problemi in primis agli stessi musulmani. Come disse lo scrittore Edward Said, siamo di fronte non ad uno scontro di civiltà ma di ignoranza!”

Qual è allora la soluzione? “Forse esistono più soluzioni, ma indubbiamente è necessario uscire da una mentalità di vittimismo che opprime un certo islam che addita come radice dei propri mali un potere esterno. La domanda che dovremmo porci è quella relativa a dove vogliamo andare? Accusando il mondo occidentale non si propongono soluzioni per fare passi in avanti per una società più equa, più giusta e con maggiore benessere per tutti. Serve una riflessione profonda che parta prima di tutto da ognuno di noi”.

Per chi volesse avere maggiori informazioni e sostenere il progetto “The House of One” può consultare il sito www.house-of-one.org/en.

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