L’ossessione di una vita arriva sul grande schermo. Ci sono voluti venticinque anni per portare a termine The Man Who Killed Don Quixote, dopo difficoltà al limite del catastrofico, come raccontava nel 2002 il documentario Lost In La Mancha. Un budget mai all’altezza delle ambizioni, nubifragi che distruggono il set, produttori che scappano, attori che si avvicendano nei ruoli per cause di salute o altro (Jean Rochefort, Robert Duvall, Michael Palin, John Hurt, per poi arrivare a Jonathan Pryce), aerei che disturbano le riprese: sono solo alcuni dei disastri che hanno colpito fin dalla nascita questo film “maledetto” di Terry Gilliam.
Il regista non è nuovo a queste drammatiche epopee. Per Le avventure del barone di Munchausen è finito più volte in tribunale, e durante Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo è morto il protagonista Heath Ledger, poi sostituito da tre star diverse (Johnny Depp, Jude Law e Colin Farrel).
The Man Who Killed Don Quixote è stato scelto come film di chiusura del festival, nonostante una diatriba legale che ha messo in forse la sua proiezione fino all’ultimo. Ma oggi ha visto finalmente la luce, e sarà distribuito nelle sale anche da noi.
Lo stile di Gilliam è ormai inconfondibile: il sogno si fonde con la realtà, la fantasia ruba la scena e i colori sono accesi come in una tela espressionista. Le sue opere sono labirinti immaginari, dove i desideri consumano gli individui, e la società viene spesso rappresentata come un mostro deforme che divora le sue creature. Il futuro è un luogo di degrado e disperazione (L’esercito delle dodici scimmie) e il presente è un mondo stravolto (La leggenda del re pescatore).
Su tutti i suoi film svetta un capolavoro come Brazil, nostalgico richiamo al passato per un’attualità insostenibile. Gilliam è uno spirito visionario, capace ogni volta di cavalcare le proprie ossessioni. Ma capita che rimanga invischiato nel suo stesso delirio. È quello che succede a The Man Who Killed Don Quixote, figlio di un travaglio chi si riflette sullo stile, sulla forma sovraccarica, sui personaggi carnevaleschi, in un’avventura in cui è facile perdersi anche quando si è disposti a seguire il regista sulle sue strade più impervie.
Ma per questo, per la sua imperfezione, bisogna amare The Man Who Killed Don Quixote. Perché rappresenta il sogno di un’intera esistenza, un obiettivo raggiunto al di là delle proprie forze, il frutto di un’energia incontenibile, che ci riporta proprio a Cervantes, alle battaglie contro i mulini a vento aggiornate al 2018.
Il Don Chisciotte di Gilliam è un calzolaio che non accetta la propria identità e vuole fingersi un cavaliere di altri tempi. Sancho Panza è un cineasta in cerca di ispirazione. A unirli è la magia del cinema, che può rendere tutti immortali anche solo per un giorno. Basta una macchina da presa e l’immagine rimarrà nei secoli. Il regista mette in scena un’umanità che ha paura di essere dimenticata, e trasforma i propri desideri in tensioni insostenibili. L’amore e i sentimenti sembrano delle chimere nella follia contemporanea, non c’è tempo per fermarsi a riflettere.
Gilliam è un grande costruttore di universi, un cantastorie moderno che spinge a smarrirsi per potersi ritrovare.
The Man Who Killed Don Quixote. Regia di Terry Gilliam. Con Adam Driver, Olga Kurylenko, Stellan Skarsgård, Jonathan Pryce, Óscar Jaenada.