Theresa May ha perso la scommessa. In aprile aveva voluto le elezioni anticipate convinta di rafforzarsi per poter battere i pugni sul tavolo nel negoziato su Brexit. Invece ha commesso un clamoroso autogol che potrebbe segnare la fine della sua carriera politica. Per ora resta in sella, ma la sua posizione e la sua autorevolezza escono dal voto molto indebolite.
I Conservatori restano il primo partito con 318 seggi, ma ne perdono 12. I Laburisti guadagnano 29 seggi e avranno a Westminster 261 deputati. I Liberaldemocratici avranno 12 seggi, 3 in più rispetto al precedente parlamento. Guadagnano 2 seggi gli Unionisti democratici, che totalizzano 10 seggi. Non saranno rappresentati, invece, gli euroscettici di Ukip, che vevano sostenuto la campagna per Brexit. Il loor nuovo leader, Paul Nuttall, ha annunciato le sue dimissioni. Pessimo risultato anche per gli indipendentisti scozzesi, che perdono diversi collegi e vedono così allontanarsi la prospettiva di un nuovo referendum sull'indipendenza della Scozia.
Fallisce dunque l’obiettivo della May di conquistare la maggioranza assoluta di 326 seggi. Nel sistema politico britannico, quando nessun partito ha la maggioranza assoluta, si ha al situazione di “hung parliament”, cioè del parlamento “appeso”. Per governare sarà necessario formare una coalizione. Dopo un incontro con la Regina a Buckingham Palace, la May ha annunciato che formerà un nuovo esecutivo "per attuare la Brexit e mantenere il paese sicuro". Gli alleati dei Tories sranno i dieci parlamentari degli Unionisti dell'Irlanda del Nord (DUP).
Un governo di coalizione non è una novità per il Regno Unito. Accade già, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, dopo le elezioni del 2010. Allora, in assenza di una vittoria netta dei Conservatori, fu necessario formare, dopo lunghi negoziati, un governo di coalizione fra i Tories e i Liberal Democratici, guidato da David Cameron.
Anche oggi, per poter ancora governare, la May, che resta primo ministro e non è obbligata a dimettersi, deve appoggiarsi alla stampella di un altro partito . Tuttavia la posizione della premier esce chiaramente indebolita dal voto. Oggi nei titoli dei giornali del Regno Unito ricorrono le parole “disastro” e “shock”. La sua leadership è già stata messa in discussione, con le prime velate richieste di dimisisoni anche all'interno del partito conservatore.
Sferzante il commento del leader laburista Corbyn: “Il primo ministro ha voluto le elezioni per avere un mandato. Bene, il mandato che ha avuto è stato la perdita di seggi, di voti, di sostegno e fiducia”. Per Corbyn quello di ieri è un risultato notevole. Sembrava un leader debole, poco carismatico, perdente, invece il leader laburista è stato l’artefice di una rimonta che sembrava impossibile. Secondo le prime analisi, il Labour è stato premiato soprattutto dal voto giovanile. “Le giovani generazioni hanno mostrato i loro muscoli politici”, scrive il Guardian.
Tra le vittime illustri delle elezioni dell’8 giugno ci sono anche il liberal-democratico Nike Clegg (sconfitto da un laburista) e Alex Salmond, ex premier scozzese ed ex leader del partito nazionale di Scozia, sconfitto da un conservatore.
In ogni caso, dopo queste elezioni, il Regno Unito si presenterà in una posizione di debolezza negli imminenti negoziati con l’Unione Europea su Brexit. L’inizio delle trattative era previsto entro la fine di giugno, ma il commissario europeo per il bilancio, il tedesco Günther Oettinger, ipotizza un rinvio sostenendo che una discussione con un partner debole potrebbe portare a scarsi risultati. Un europeista convinto come l’ex primo ministro Enrico Letta, ha scritto su Twitter che il voto di ieri rappresenta un’altra “piccola vendetta” dell’Unione Europea dopo il “terribile 2016” del referendum su Brexit.