Sin dalla gravidanza Maura aveva capito che c’era qualcosa di nuovo. Lei che era già mamma di Georgiana, di due anni più grande, viveva l’attesa di Timmy con il dubbio: il piccolo non si muoveva ed era troppo tranquillo. Una gestazione finita in cesareo perché il bimbo non collaborava e quel primo pianto indimenticabile più simile ai gridolini di un gatto che a un vagito. «Squillante, ma flebile».
Oggi che Maura ha 59 anni e il figlio 28, ripensa a quei momenti ancora con grande commozione. L’attesa di una notizia sconosciuta, la ricerca estenuante di capire cosa fosse quella diversità. Il commento sprezzante della pediatra che a poche ore dal parto le disse: «Se vivrà non camminerà, non parlerà, sarà un vegetale». Ora Maura ci sorride, ma allora uscì dalla stanza ed ebbe un collasso. «Mi risvegliai distesa su un lettino davanti al viso di un amico che era venuto a trovarmi. «Tranquilla», mi rassicurò, «aspetta che non è detto». Quello è stato il mio incontro con la malattia». Cri du chat, una sindrome genetica rara che colpisce un bebè su 50mila causata dalla delezione di parte del cromosoma 5. Caratterizzata da ritardo psicomotorio, microcefalia, anomalie del volto e dall’emissione di un pianto molto tipico (acuto e monotono, simile al miagolio di un gatto) da parte dei pazienti durante la prima infanzia. Ovvero sindrome del “grido di gatto” (Cri du chat, appunto).
«Quando nacque Timmy erano pochissimi i casi in tutta Italia. In me avvenne una dissociazione di emozioni fortissima; da un lato speravo che morisse: «Che ci fa un vegetale su questa terra?», mi chiedevo pensando a un futuro fatto di dolore. Dall’altra, Timmy si attaccava al seno, ma non tirava; avendo, però, io tanto latte lo toglievo e riuscivo a darglielo a gocce, come un gattino. Quelle due goccine in più ogni giorno mi rendevano la mamma più felice del mondo. Gli davo il dito e lo afferrava. Provavo a tirarlo su e quasi faceva delle espressioni di sorriso. Pensavo: “Questo non è un vegetale”. Quei quarto d’ora di positività mi davano la carica per lottare. Resistere e capire. Ho accettato la sfida, ho trovato la voglia di saperne di più e gli strumenti».
Poi l’intuizione di un’amica, nel 1993. «Mettere un annuncio su Famiglia Cristiana per capire se ci fossero altre famiglie che vivevano la stessa cosa. Era un trafiletto che ebbe però una visibilità incredibile. Il giornale si trovava ovunque: dalla parrucchiera, dal dentista, alle Acli. In tre anni entrai in contatto con 12 famiglie grazie a quell’annuncio». Oggi l’Associazione che Maura ha fondato nel 1995, eccellenza nel mondo, Abc Cri du chat ne conta duecento.
Un’associazione nata dall’amore di una mamma che vedeva delle potenzialità, ma era circondata dal deserto di competenze. «Allora ho cominciato a cercare le terapie che lo potessero aiutare, anche quelle proibite, da non fare mai! Ho sperimentato in base a quello che mi sembrava più adatto per lui. All’epoca la malattia era totalmente sconosciuta. Ricordo che l’Asl mi faceva fare la rieducazione dei bambini down... peccato che loro siano iperattivi. Timmy, invece, a due anni stava in piedi ma non camminava». Ma stava in piedi. Maura legge che quando un bimbo ha la forza muscolare per stare in piedi l’equilibrio ce l’ha. «E leggendo capisco che gli manca il coordinamento. Studio per capire cosa fare: ricordo che con mia zia, mia madre e due amici tutti i pomeriggi lo mettevo su un tavolo a pancia in giù a ritmo di musica che già allora gli piaceva. In una settimana cominciò a camminare».
Nel frattempo arrivavano le famiglie, «capii l’importanza di creare un gruppo di mutuo aiuto. E cominciarono a sbucare personaggi che erano interessati alla malattia. Una pediatra genetista che teneva un registro di chi nasceva con la cdc; una terapista della riabilitazione che seguiva il filone intuitivo. Cominciammo a scambiarci informazioni». Intanto Timmy cresceva, frequentava la pre-materna con gli altri bambini «spietati e diretti, uno stimolo pazzesco per lui che cercava di fare le cose che facevano loro. Io non ero mai né troppo gelosa né troppo protettiva». Ma necessariamente egoista: «Non ho lasciato il mio lavoro di restauro, che mi ha permesso di ridare nuova vita a opere anche di Michelangelo. Mentre mio marito inglese si è vissuto tutta la storia con una difficoltà emotiva pazzesca, finché poi tra noi è andata a finire male».
Oggi a coordinare l’Associazione, guidata da Maura, c’è Daniele Cavari, 62 anni, fidanzato con lei da ormai 18 anni. Una realtà che raccoglie l’esperienza sul campo di mamma Maura e la competenza di un’èquipe multidisciplinare. «Tra pediatra, genetista, terapista della riabilitazione, neuropsichiatra infantile, pedagogista e una serie di figure esterne che pian piano sono entrate nella squadra e hanno formato un comitato scientifico con cui cominciare a studiare la malattia abbattendo le quattro notizie che si sapevano e che erano catastrofiche». E un database (numero uno nel mondo della ricerca) regalato da Microsoft «dove ogni figura scientifica mette le sue informazioni per poter seguire i pazienti nella loro crescita, consigliar loro terapie e fare il punto della situazione. Ovvero avere una panoramica ma particolare, perché ognuno è diverso, portando avanti la ricerca genetica».
Oggi Timmy è un ragazzo alto e sorridente dagli occhi di brace (come gli dice il nonno); appassionato di musica e di Metallica, che scrive poesie. E Maura, che lo abbraccia in un rapporto tenero e ironico, afferma: «É stato sicuramente il restauro più difficile, ma il più bello della mia vita».
(Storia pubblicata in origine su Famiglia Cristiana 33 / 2019)