«Noi domenicani ci avviciniamo di più alla verità grazie all’ironia. Il Vangelo di Giovanni inizia con le nozze di Cana, cioè con Gesù a una festa. Dio ama le persone gioiose». Esordisce così il settantatreenne teologo inglese Timothy Radcliffe, consultore del Pontificio consiglio giustizia e pace, già Maestro generale (così sono chiamati i superiori generali dei domenicani) del suo Ordine, incontrato in occasione della festa annuale dell’Istituto superiore di scienze religiose Arnoldo Onisto di Vicenza, diretto da don Aldo Martin.
Le sue parole trovano conferma nei suoi occhi sorridenti, nel suo volto serafico, nel tipico humor di un lord inglese. «Oggi tutti dicono siamo in crisi. Ma la crisi dev’essere feconda, sennò non ha senso. Ogni domenica, quando andiamo a Messa, ritorniamo alla più grande crisi della storia dell’umanità, l’ultima Cena. Ma, come ci insegna ciò che è avvenuto dopo, non bisogna aver paura. Bisogna reagire, invertire la tendenza. La Brexit (l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, ndr) è una crisi stupida. Molti di quelli che l’hanno votata sanno che non porterà alcun beneficio, l’hanno fatto per rabbia, frustrazione. Così come gli italiani del Sud hanno votato per i partiti populisti perché avevano perso ogni fiducia nelle istituzioni».
Rabbia e frustrazione sono per Radcliffe all’origine dei fondamentalismi attuali. «Dobbiamo capire perché alcune persone ne sono attratte. La Chiesa deve rendersi presente nelle loro vite, dimostrare loro di averne compreso il dolore e di riconoscerne la dignità di figli di Dio».
Comprendere, ma anche attrarre, se è vero che il cristianesimo perde fedeli e l’islam ne acquista. Riflette il teologo domenicano: «L’Islam attrae perché è una religione semplice. È sottomissione e obbedienza. Molte persone sono attirate da questa semplicità soprattutto quando le loro vite non vanno bene. Ma è anche vero che molti giovani musulmani sono attratti dal cristianesimo, specialmente in Medio Oriente, dove hanno sempre vissuto nella conflittualità. Per loro è entusiasmante scoprire che Gesù è contro la violenza».
COME PARLARE AI GIOVANI
I giovani, dice Radcliffe, necessitano di messaggi forti: «Migliaia di giovani europei, americani, australiani, si sono uniti a Daesh perché dava loro uno scopo: “Potete essere eroi e martiri”. È un orrendo culto della morte, ma la sua attrattiva sta proprio nel chiedere tutto. La nostra fede sarà attraente per coloro che si sentono inutili, invisibili, solo se sapremo chiedere loro di fare qualcosa di coraggioso».
Ma servono anche testimonianze eroiche, come dimostra la vicenda algerina dei monaci trappisti del monastero di Tibhirine e del suo amico e confratello domenicano, il vescovo di Orano, monsignor Pierre-Lucien Claverie, uccisi nel 1996, in odium fidei, a causa cioè dalla propria fede cristiana. «Dopo l’assassinio dei monaci, abbiamo subito chiesto ai nostri fratelli e sorelle se volevano restare o andarsene, perché era diventato pericoloso. Ognuno era libero di decidere per sé. Tutti, anche se impauriti, hanno scelto di restare, anche il mio buon amico Pierre; e un mese dopo è stato ammazzato anche lui. Hanno scelto di restare perché Dio, alla fine del Vangelo di Marco, dice: “Sarò con te fino alla fine della tua vita”. Vale sempre e vale anche per noi. Non è importante se facciamo errori, se falliamo: Gesù sta con noi. Quello che rende affascinanti questi martiri, proclamati beati lo scorso dicembre, è che erano persone come noi ma, allo stesso tempo, erano eroi, perché hanno fatto la scelta radicale della sequela di Gesù. Se presentiamo la “pericolosa avventura” del cristianesimo alcune persone scapperanno, altre invece, affascinate, resteranno. L’anno scorso ho visitato il monastero, è diventato un luogo di pellegrinaggio per cristiani e musulmani».
UN GIOVANE RIBELLE
Oggi padre Timothy è oratore di fama internazionale; nel 2003 ha ricevuto il titolo di Doctor of Divinity, la più alta carica onorifica dell’Università di Oxford. Ma la sua giovinezza è stata un po’ ribelle: «Bevevo, fumavo. Non avrei mai pensato di diventare prete», finché gli amici non cristiani fecero scattare una molla. «Sostenevano che il cristianesimo non dice la verità. Questo mi ha interrogato. Mi sono accostato ai domenicani che al primo posto mettono proprio la ricerca della verità. Ma mi piacevano anche il loro modo democratico di prendere le decisioni e la loro libertà. Così ho scelto di unirmi a loro».
Parla proprio di questo il suo ultimo libro Alla radice la libertà. I paradossi del cristianesimo, edito da Emi. Risulta un po’ difficile pensare che in un Ordine religioso così rigoroso sia praticabile la libertà. «C’è la libertà della mente, ovvero di poter parlare di ogni cosa, di riflettere su tutto. C’è la libertà che dà la povertà: se non possiedi nulla, puoi andare dove vuoi, vivere sulla strada. La libertà della castità, che non è privazione. Non avere rapporti esclusivi, ti permette di coltivare l’amicizia, di amare tante persone, con cuore e anima liberi».
Radcliffe sembra un uomo con tante certezza. Ma ha mai dei dubbi? «Al contrario, sono pieno di dubbi, ma è cosa buona. E quando li hai, li devi condividere. Un giorno potrei dover credere io per te e viceversa. Dobbiamo aiutarci. Durante la Messa si dice: “Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”. Non avere dubbi è molto pericoloso. I fondamentalisti di ogni religione leggono le loro Sacre Scritture e tutto appare loro chiaro ed evidente. Le interpretazioni semplicistiche non ci lasciano intravvedere lo Spirito Santo».
Radcliffe si ferma a riflettere, poi cita le parole del suo amico Pierre Claverie – «Il dialogo è costitutivo della relazione di Dio con gli uomini e degli uomini tra di loro» –: «Il cristiano di fronte a uno sconosciuto scopre un altro aspetto della sua identità. È con lo straniero che mi accorgo di essere una persona nuova. Finché escludo l’altro, non riesco a essere completamente me stesso. Da studente, quando ho vissuto in Francia, sono stato un po’ liberato dalla mia identità britannica. Quando ho viaggiato in tutto il mondo, il mio cuore si è spalancato. Avere un cuore aperto significa essere pienamente umani». Continua il domenicano: «La modernità è segnata da un paradosso: grazie alla tecnologia oggi viviamo nel villaggio globale, e questo è meraviglioso. Eppure, allo stesso tempo, cresce la paura del diverso. Papa Francesco ci esorta ad avere il coraggio di abbracciare la tradizione originale della Chiesa, ovvero la bellezza della differenza. Gesù, il nostro salvatore, abbraccia una differenza inimmaginabile, quella fra uomo e Dio nella sua unica persona».
Foto di Beatrice Mancini