Il papà era morto in Germania. La
mamma, per dargli un futuro, era
andata a lavorare in Svizzera. E lui
a otto anni si era ritrovato solo, nel
Patronato San Vincenzo di Bergamo
gestito da don Bepo Vavassori,
che un giorno gli chiese cosa volesse
fare da grande. Tino Sana guardò dalla
finestra un bambino giocare con
un monopattino di legno e pensò che
gli sarebbe piaciuto costruirsene uno.
Così rispose: «Il falegname».
Sana ci racconta questa storia nella
sua azienda di Almenno San Bartolomeo,
che nel 2014 ha fatturato 33 milioni
di euro realizzando arredamenti
in legno per hotel, navi da crociera
ed edifici, dal Palazzo Onu di Ginevra
all’Hotel Excelsior del Lido di Venezia,
dalla Costa Concordia poi affondata al
largo dell’isola del Giglio alla chiesa
di Padre Pio di San Giovanni Rotondo.
Ora ha ottant’anni e da qualche tempo
ha lasciato le redini dell’azienda ai figli
Guido e Giampaolo («che però, quando
devono prendere delle decisioni importanti,
chiedono sempre consiglio a
me»), mentre le altre due figlie, Chiara
e Aurora, si occupano della scuola e del
Museo del falegname che hanno sede
accanto agli edifici dove si svolge l’attività
produttiva.
Ci spostiamo allora proprio nel
museo per continuare il racconto
della storia di Sana. È un luogo davvero
incredibile, dove accanto a torni
e piallatrici del XVII secolo si trovano
giocattoli, strumenti musicali, barche,
carrozze e perfino l’aereo in legno usato
dal “pilota futurista” Antonio Locatelli.
Ma non è finita, perché al piano
superiore Sana ha dato sfogo ad altre
due sue passioni: le moto d’epoca (c’è
una Vespa del 1953 identica a quella
usata da Gregory Peck e da Audrey
Hepburn in Vacanze romane) e il ciclismo,
con la raccolta di maglie e bici
usate da campioni, come quella con
cui Francesco Moser conquistò il
record dell’ora a Città del Messico
nel 1984. Ma la bicicletta più bella
l’ha progettata proprio lui, Tino Sana.
Ovviamente è tutta in legno, salvo
alcune parti in metallo. Ne ha realizzate
220, numerate e brevettate per la
corsa. Una è custodita al Museo della
scienza e della tecnica di Milano
mentre un’altra è finita addirittura
a Chicago, al Museo della bicicletta.
«La bici “0001” però l’ho regalata
al mio grande amico Felice Gimondi,
bergamasco come me. Ci conosciamo
da una vita. Quando correva, lasciava i
suoi figli a casa mia».
Un’altra parte del museo l’imprenditore
l’ha dedicata alla sua prima
bottega aperta nel 1959, dopo che,
uscito dal Patronato, si era fatto le
ossa in un’azienda di arredamenti. Ci
mostra con orgoglio «una macchina
combinata a cinque lavorazioni. Ho
speso tutto ciò che avevo per comprarla
e ho continuato a fare così. I
soldi guadagnati li ho sempre investiti
nell’azienda e ogni lavoro finito
mi ha dato lo spunto per iniziarne un
altro più impegnativo». Questa tenacia
nel rinnovarsi, nel voler arrivare
prima degli altri, gli ha permesso di
non risentire affatto della crisi. «Ho
sempre lavorato su progetto, realizzando
solo pezzi unici. Non ho mai
costruito prodotti in serie e questo mi
ha messo al riparo dalla concorrenza
feroce degli ultimi anni».
Il lavoro l’ha portato in giro per il
mondo e negli anni ’70, quando già la
Tino Sana Srl era diventata un nome,
ricevette una serie di commesse dalla
Libia per arredare le ville di alcuni
ministri di Gheddafi e soprattutto l’Università
di Tripoli: 50 mila metri quadrati
di pannelli in legno, 2.200 porte,
3.200 armadi. Il colonnello, ammirato,
avrebbe voluto che si occupasse anche
della sua reggia, ma Sana declinò l’offerta:
«Non mi andava di restare lontano
dalla mia famiglia per sei mesi di fila», ricorda oggi con semplicità.
Di strada ne ha comunque fatta
tanta lo stesso e siccome è uno abituato
a pensare sempre al futuro, si è
impegnato per far sì che questa strada
venga seguita non solo dai suoi figli,
ma da tutti i giovani che condividono
il suo amore per il legno. Per questo ha
aperto la Scuola per falegname, riconosciuta
dalla Provincia di Bergamo,
che oggi accoglie un centinaio di ragazzi
tra i 14 e i 18 anni. Molti, al
termine dei corsi, si spostano di edificio
e da apprendisti diventano lavoratori a
tutti gli effetti della Tino Sana Srl.
«In loro, rivedo me stesso. Alla
loro età era durissima, ma almeno il
lavoro si trovava. Ora bisogna dar loro
gli strumenti ed è bello che in tanti
stiano riscoprendo i mestieri artigiani». Prima di salutarci, notiamo che
nel museo c’è un’immagine sacra.
«Ne ho fatte mettere altre. Rappresentano
le stazioni della Via Crucis.
Siamo in tempo di Quaresima e tutte
le sere vengo qui a pregare». Gli facciamo
i complimenti per tutto. «E
perché? Puoi arrivare prima o dopo
ma, se ti impegni, alla fine ce la fai».
Per Tino Sana tra un monopattino,
la bicicletta di Leonardo e un hotel di
lusso non c’è differenza: «Ho fatto
solo quello che mi piaceva».