«Ma lo sa che quei tre sono tutti del 1930? E cioè miei coetanei?». Allude, ovviamente, agli astronauti Neil Armstrong, Edwin”Buzz” Aldrin e Michael Collins, l’equipaggio di Apollo 11, che mezzo secolo fa in una notte di luglio conquistò la luna. Quasi una predestinazione: «E Aldrin, di gennaio come me, è anche del mio stesso segno zodiacale». Si diverte a sottolineare queste coincidenze anagrafiche Tito Stagno, 89 anni, una fulgida carriera come giornalista in Rai, inviato al seguito di papi e presidenti della repubblica, che, però, per noi italiani è e resterà “l’uomo della luna”, cioè il telecronista che condusse quella storica, lunghissima diretta in tv del 20 luglio 1969, raccontando, minuto per minuto, il primo allunaggio.
«Fu una trasmissione che fece epoca», ricorda con orgoglio il giornalista sardo. «La diretta più lunga del mondo sull’evento. Neanche negli Usa seppero fare di meglio e di più». E chi non ricorda la polemica in diretta col mitico Ruggero Orlando, collega corrispondente dagli Stati Uniti, sul momento preciso dell’atterraggio del Lem. «Uno scarto di 45 secondi che nacque dal fraintendimento sui verbi: io usai "ha toccato" il suolo lunare ed avevo ragione; ma non aveva torto neanche Ruggero perché intendeva invece "l’atterraggio" vero e proprio che avvenne in effetti qualche secondo dopo, il tempo necessario ad Armstrong, che guidava il modulo lunare, di collocarsi su un terreno senza pendenze. Furono secondi drammatici, perché il modulo, allo spegnimento dei motori, aveva ancora un’autonomia di carburante di soli 16 secondi. E in ogni caso, discutendo, ci perdemmo l’annuncio ufficiale di Armstrong al mondo: “The Eagle has landed”, “L’Aquila (il modulo lunare) è atterrata».
La conduzione di una diretta così importante non si affida a uno qualunque, e Tito Stagno non era uno qualunque ma, confessa il giornalista: «Temevo che, all’ultimo, la trasmissione venisse data a qualcun altro. Lo sbarco sulla luna faceva gola a molti». Ma chi altro quella sera di luglio avrebbe saputo portare per mano gli italiani sul suolo del nostro satellite, se non Stagno, “Mister Moonlight”, come lo ribattezzò il comandante di “Apollo 8” Frank Borman in un bar di Cape Kennedy, il conduttore “pioniere” italiano dei voli spaziali in tv? Non c’era servizio televisivo sulle imprese astronautiche che non portasse la sua firma: dal lancio dello Sputnik nel 1957, al primo volo di Jurij Gagarin nel 1961, a quello di Valentina Vladimirovna Tereškova, prima donna nello spazio, nel 1963, alla prima passeggiata spaziale due anni dopo di Aleksej Leonov. Senza parlare poi di tutte le missioni americane “Gemini” e “Apollo”.
«Una telecronaca del genere era un’impresa nell’impresa perché, chiuso in uno studio televisivo, dovevi commentare le immagini trasmesse dalla tv americana, senza sapere prima cosa avrebbero mandato in onda». In altri termini: o hai una preparazione specifica o… tanti auguri.
Una passione, la sua, nata per caso: «Era il 1957 e nella sala d’aspetto di un medico mi capitò di sfogliare una rivista che conteneva uno speciale sulle sfide dell’uomo nello spazio e i satelliti artificiali. Il caso volle che pochi giorni dopo, passando dalla telescrivente che squillava, presi la notizia del lancio del primo satellite artificiale da parte dell’Urss. Grazie a quelle poche pagine lette i giorni precedenti riuscii a confezionare una notizia con dovizia di particolari».
Un colpo di fortuna che poi, però, fu accompagnato da tanto studio sull’argomento e l’intuizione che sarebbe stato un ambito sempre più interessante dal punto di vista giornalistico. «Erano gli anni della corsa allo spazio», spiega Stagno, «Finiva la guerra fredda, e iniziava quel gioco di prestigio che fu la corsa alla luna. Ricordo che l’Unione Sovietica era in grande vantaggio. Ma ero certo che quel gap sarebbe stato azzerato dagli Usa della “Nuova Frontiera kennediana”. Ero stato, anch’io, contagiato da quell’entusiasmo e dalla fede di quegli astronauti: per poter partecipare a missioni così pericolose devi pur credere in qualcosa. A parte l’agnostico Armstrong, tutti erano religiosi». Anche Gagarin era credente, “a tal punto da far battezzare i figli”, ricorda il conduttore che nel 1966 fece un lunghissimo viaggio di studio negli Usa, visitando basi e centri spaziali, da Huston a Capo Canaveral: «Lì ebbi modo di incontrare tanti astronauti». Solo per ricordarne alcuni: John Glenn, Virgil «Gus» Grissom, James Lovell, James McDivitt, David Scott, Thomas Stafford.
Aldrin, Collins e Armstrong, invece, li incontrò a Roma dopo l’impresa di Apollo 11. «Il più estroverso, nonostante le disavventure, è certamente Aldrin col quale sono stato anche in vacanza in Abruzzo. L’opposto dell’algido Armstrong e del triste Collins».
Mister Moonlight, quando si tornerà sulla luna? «Intanto diciamo che l’uomo c’è già stato per davvero», risponde convinto, ricordando che fu lo stesso Wernher von Braun, capostipite del programma spaziale americano e progettista del propulsore Saturno V che portò Apollo 11 sulla luna, a prevedere la tesi complottista: «Quando lo incontrai in Italia nel 1971 mi disse: “Verrà un giorno in cui qualcuno, per farsi pubblicità in tv, dirà che sulla luna non ci siamo mai stati”». Stavolta è il giornalista a profetizzare: «Ci si tornerà tra cinque-sei anni. E ho la sensazione che saranno i cinesi a spuntarla. Ma che non si perda tempo: vorrei essere ancora io, davanti al microfono, a fare la diretta».
(Pubblicazione originale: 19/7/2021)