TONI SERVILLO E LOUIS JOUVET
Ci vuole sentimento, più sentimento. La ripete di continuo questa parola il maestro all’allieva che sta provando il personaggio. E lo svolgimento dell’azione drammaturgica espliciterà che, qui, sentimento non
significa certo fugace emozione, bensì quell’impegno dell’attore a entrare nell’essenza del personaggio che si traduce in ricerca inesausta e inesauribile della perfezione, in un’esperienza spirituale che non solo rende vivo un testo del passato, ma anche trasforma l’attore stesso.
Toni Servillo porta al Piccolo di Milano Elvira, l’opera che la drammaturga Brigitte Jaques nel 1986 ha tratto dal ciclo di sette lezioni che Louis Jouvet tenne nel 1940 a un’allieva del Conservatorio di arte drammatica di Parigi. Al centro di queste lezioni, una sola scena del Don Giovanni di Molière: quella in cui Donna Elvira torna da Don Giovanni mossa non più dall’impeto della passione, ma per avvertirlo
che sta correndo un terribile pericolo e invitarlo a redimersi.
Lo spettatore assiste “in diretta” alle prove, che si svolgono davanti ai suoi occhi fra platea e proscenio. L’allieva (Petra Valentini) è talentuosa, si impegna, ma il maestro (Servillo) la
corregge di continuo, la incalza, la sprona, quasi la provoca affinché compia un salto di qualità. Non basta la tecnica – le ripete – occorre il sentimento. Occorre capire che, in quel meraviglioso monologo, Donna Elvira è trasformata, vive un’autentica estasi, perché non è più preda della passione come la prima volta che era andata a trovare Don Giovanni, ma animata soltanto dal desiderio di
salvarlo.
L’attore deve rivivere quell’estasi se vuole che il personaggio non diventi una macchietta o una mera riproduzione, deve uscire da sé stesso per cogliere e incarnare lo stato ’animo sperimentato dalla donna in quel frangente cruciale. Per ottenere questo risultato non basta conoscere i segreti del mestiere dell’attore, bisogna intraprendere un percorso mai definitivo di crescita interiore e vivere un’esperienza spirituale, quasi mistica. Stupisce che l'allieva chieda tempo e sia tentata di lasciare? Diventa via via chiaro, mentre l’intenso spettacolo prende corpo, che non si sta assistendo solo a una lezione di teatro, ma a qualcosa di più profondo, più universale: un’educazione spirituale, una lezione di vita.
Rispetto alla versione di Strehler con Giulia Lazzarini di 30 anni fa, Servillo sottolinea il momento storico in cui si volge l’azione: l’ultima lezione è datata settembre 1940, quando Parigi è stata occupata dai nazisti. Compiere quel percorso al quale è chiamata l’allieva è necessario per essere attori veri, ma anche persone vere, soprattutto in tempi in cui la mediocrità domina incontrastata.