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mercoledì 09 ottobre 2024
 
 

Tonini, il grande comunicatore

28/07/2013  Parlava semplice e parlava a tutti. E riusciva a parlare di Dio in televisione senza piegarsi alle regole della televisione.

Era uno che parlava semplice e che non metteva mai se stesso davanti alle sue parole. Non usava razionalità aliene dalla vita della gente. Aveva idee chiare su quelli che usano le parole per mestiere. Dice che il giornalismo o fa parte della profezia oppure non ha ragione di essere. E i giornalisti devono essere un po’ profeti. Ma non in senso magico, coloro che predicono il futuro. Ma nel senso profondo dell’invettiva, della chiarificazioni delle memorie, di chi non ha paura di raccontare opere e giorni dell’uomo.

Lo dimostrò quando non ebbe timore a denunciare “l’editto bulgaro” di Silvio Berlusconi contro Enzo Biagi, che alla fine mise fuori il giornalista dalla televisione pubblica. Ersilio Tonini era fatto così. Nessuna indulgenza al potere, neppure quello ecclesiastico. Lui era sostanzialmente un parroco, uno che stava vicino non alla gente, ma al cuore della gente. Memorabile il racconto dei dieci comandamenti che fece per la televisione, nessun linguaggio da ecclesiastico. Sapeva di teologia e trafficava con le regole della pastorale, ma poi sapeva tutto trasformare in parole acute e che bussavano alle persone e che le persone sapevano apprezzare e con le quali fare i conti per la propria vita. Era un intellettuale vero. Non aveva restrizioni mentali. Parlava di tutto cristianamente, avrebbe detto don Alberione, se lo avesse conosciuto. Non parlava mai per se, ma per gli altri. Come dovrebbe fare ogni buon giornalisti. E lui lo era davvero, anche se ha fatto il prete per tutta la vita.

Sentirlo parlare delle cose di Dio provocava un immenso piacere, anche per via della retorica che lui fuggiva. Non c’era nulla delle cose della fede di cui non riusciva a parlare in modo schietto e secondo il linguaggio adatto alle situazioni, al luogo e al mezzo. Pensava esattamente l’opposto di McLuhan. Non è il mezzo che è il linguaggio, ma il linguaggio che forgia il mezzo. Andava in tivù e non si piegava alle regole delle televisione. Per questo stupiva molti, anche tra gli ecclesiastici, che di solito hanno timore dei media. Le sue parole hanno consolato molti, credenti e non credenti. La sua passione non solo bucava lo schermo, ma anche il petto di chi lo ascoltava. Perché qui sta la differenza tra chi si fa usare dai media e chi utilizza i media per cercare di cambiare almeno un po’ il nostro strambo tempo. E renderlo migliore.

Ersilio Tonini ce l’ha fatta, ha vinto la partita. E noi, noi giornalisti soprattutto, lo dobbiamo ringraziare, aver mostrato, con quelle sue dita lunghe e ossute, la strada da percorrere. Quella della ricerca sempre, costante e comunque. Era uno che per tutta la vita ha cercato Dio e ha raccontato come farlo. Non ha mai smesso, anche se ciò può sorprendere essendo lui un prete, un vescovo, un cardinale. Chi smette di cercarlo non lo fa perché lo ha trovato, ma perché ha deciso di smettere di cercarlo. Ersilio Tonini è un esempio conficcato nell’orizzonte dei cercatori di Dio.

 
 
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