Un’accoglienza notturna più umana: non dormitori da decine di persone, ma luoghi piccoli, che sanno di casa. Servizi sociali e sanitari che fanno il primo passo, spostandosi in strada alla ricerca di chi ha bisogno. E una comunicazione più attenta, che nell’espressione un po’ stereotipata “persone senza fissa dimora” pone l’accento sul sostantivo “persone”. Torino sperimenta un nuovo approccio per camminare accanto a chi non ha una casa. E’ stato appena firmato un protocollo, molto articolato, che prevede una serie di interventi tra cui 700 posti letto in appartamenti condivisi. Colpisce, innanzi tutto, la quantità e la varietà dei soggetti coinvolti: Regione Piemonte, Comune di Torino, Città Metropolitana, Asl Città di Torino, Circoscrizioni comunali, Prefettura, Arcidiocesi e Fiopsd (Federazione Italiana Organismi Persone Senza Dimora). Il patto porta con sé investimenti di rilievo: ad esempio, la Città stanzierà 12 milioni di Euro. Non è l’ennesimo e un po’ formale programma di buone intenzioni (che poi, spesso, restano su carta). Questa volta i presupposti per un cambiamento ci sono davvero: il progetto, un unicum in Italia, pare un buon incipit per un libro che ora è tutto da scrivere. Tra gli aspetti più innovativi, il coinvolgimento delle realtà sanitarie, poiché spesso chi vive in strada ha bisogno di cure e, in molti casi, di assistenza psichiatrica.
Interessante è anche il percorso “dal basso” che ha portato alla stesura dell’accordo. Per tracciarne la genesi bisogna ritornare indietro di oltre un anno. Nel febbraio 2021, all’ombra della Mole, il tema dei senza dimora era al centro di aspre discussioni. Il freddo delle notti sabaude aveva fatto vittime (una in pieno centro, a due passi dai caffè alla moda e dalle vetrine del lusso). In quelle stesse settimane alcune persone accampate in strada erano state sgomberate dalla polizia municipale. Questione di decoro urbano, si diceva, tra rimpalli di responsabilità e accese polemiche. In quel clima infiammato,16 realtà del terzo settore, molte legate al mondo cattolico (tra loro Caritas, Migrantes, Comunità di Sant’Egidio, Sermig, Cottolengo, Gruppo Abele), altre più laiche, come i City Angels, scelsero di riunirsi per affrontare la situazione. Evitarono l’ennesimo “muro contro muro”, ma sottolinearono una serie di criticità, proponendo, nel contempo, anche una serie di possibili soluzioni. Nacque così una bozza, che l’arcivescovo Cesare Nosiglia condivise con il prefetto di allora, Claudio Palomba. Ben presto venne coinvolta anche la Città (guidata, in quel periodo, dalla sindaca Chiara Appendino), poi, a cascata, le altre istituzioni. E tutti si resero disponibili a un confronto costruttivo. In un anno, Torino ha visto cambiare molte figure istituzionali: c’è un nuovo sindaco, Stefano Lo Russo, c’è un nuovo prefetto, Raffaele Ruberto. E anche monsignor Cesare Nosiglia (che durante il suo ministero si è speso moltissimo sui temi sociali, mettendo al centro l’accoglienza e la cura degli ultimi) ha firmato il protocollo pochi giorni prima di lasciare la guida della Diocesi: il 7 maggio, infatti, si insedierà il suo successore, monsignor Roberto Repole. Sono cambiati alcuni volti, ma fortunatamente non è cambiato il desiderio di affrontare il tema da una nuova angolazione.
«Penso che il protocollo sia un buon primo passo» osserva Pierluigi Dovis, direttore della Caritas diocesana, che ha lavorato in prima persona alla stesura dell’accordo e farà parte della cabina di regia da esso istituita. «Progressivamente, saranno i servizi sociali e sanitari ad andare incontro a chi vive in strada e non viceversa. Cercheremo di aiutare le persone lì dove loro si trovano. In alcuni casi – pensiamo al tema delicatissimo della salute mentale – questo è il solo approccio possibile. Fondamentale anche il fatto che l’accordo vincoli i firmatari a momenti periodici di confronto. Diversamente, il rischio è di occuparsi del tema solo quando, in pieno inverno, qualcuno muore per il freddo o quando emergenze di varia natura fanno esplodere i problemi. Serve invece un approccio strutturale, multidisciplinare e continuativo».
«La vera novità – sottolinea il sindaco Lo Russo - è che la questione dei senza fissa dimora viene affrontata per la prima volta dal loro punto di vista e dal punto di vista delle loro problematiche, non dei problemi che loro creano ad altri». E anche il consigliere Vincenzo Camarda (Pd), presidente della IV commissione (Sanità e Servizi Sociali) si dice soddisfatto per «un modello nuovo, che guarda al tema nella sua complessità, coinvolgendo istituzioni diverse e realtà del terzo settore, per dare una risposta coerente ed efficace. Non stiamo parlando di un problema di decoro urbano. Stiamo parlando di persone! E dobbiamo lavorare in prospettiva, viste anche le conseguenze a lungo termine che la crisi sanitaria e la crisi economica lasceranno sulla nostra città». «Finora» conclude il prefetto Raffaele Ruberto «ci si occupava soltanto del ricovero notturno, in questo caso invece abbiamo una assistenza a 360 gradi, con un accompagnamento che coinvolge tutte le istituzioni e con un approccio anche sociosanitario».