Chiesa, istituzioni civili, mondo della
scuola e del lavoro uniti per fronteggiare la crisi e proporre un
nuovo modello di sviluppo. Ecco, in sintesi, l'Agorà del sociale, un
percorso fortemente voluto dall'arcivescovo di Torino, monsignor
Cesare Nosiglia. In tempi duri nessuno si salva da solo, la sola
risposta possibile è una risposta di sistema. E' da questa
consapevolezza che la Diocesi di Torino si è impegnata in un
progetto ambizioso e articolato, nel quale trovano posto, oltre
ovviamente alla dimensione ecclesiale, anime diverse: la politica,
l'imprenditoria, i sindacati, la ricerca, l'università, le
fondazioni bancarie, il terzo settore.
Inaugurato nell'estate 2013,
l'Agorà del sociale si è da subito messo all'opera lungo tre
direttrici fondamentali, cioè lavoro, formazione e welfare. Tutto
questo con un'attenzione particolare rivolta agli ultimi. A distanza
di oltre un anno (il 27 settembre, proprio nel giorno che la liturgia
dedica alla memoria di Vincenzo de' Paoli) i principali attori del
progetto sono stati chiamati per un momento di confronto. «Non
è un incontro conclusivo: anzi siamo appena all'inizio» ha più
volte ricordato l'Arcivescovo, che ha voluto dare alla giornata un
taglio molto concreto: l'obiettivo, ha sottolineato è «progettare
una strategia comune e collaborativa. Altrimenti ci limiteremmo a un
esercizio teorico che accontenta chi vi partecipa, ma lascia i
problemi al loro posto».
Che
Torino, come il resto del Paese, stia attraversando una crisi
strutturale di enormi proporzioni lo dice l'esperienza quotidiana di
migliaia di persone, ma lo dicono anche i numeri. E' stato il sindaco
Piero Fassino a porre l'attenzione su alcuni dati allarmanti: oggi il
7% della popolazione cittadina vive in condizioni di estrema povertà
(una percentuale quasi raddoppiata rispetto a sette anni fa); solo
nel 2013, 11.000 famiglie si sono rivolte per la prima volta ai
servizi sociali e 6.000 anziani non autosufficienti hanno fatto
richiesta di sostegno. Per non parlare dell'emergenza abitativa: gli
sfratti, che nel 2008 erano circa 2.500, nel 2013 hanno raggiunto
quota 4.000 (il 97% dei quali dovuti a morosità, in molti casi
incolpevole); l'Agenzia Territoriale per la Casa ha ricevuto 12.000
richieste di case popolari, a fronte di un sistema che può garantire
ogni anno non più di 500 alloggi. Davanti a un quadro così
drammatico, la sola strada percorribile sta, secondo Fassino, nel
«congiungere le risorse pubbliche con quelle private, facendo sempre
più ricorso agli attori sociali, mobilitando anche la capacità di
donare e quella tradizione di welfare così radicata nella città».
«Meno
di trent'anni fa – ha aggiunto il governatore del Piemonte, Sergio
Chiamparino – in questa Regione si costruivano due tra i prodotti
più venduti in Europa e nel mondo: il computer Olivetti M24 e la
Fiat Uno. C'erano insomma risorse straordinarie che in buona parte
sono andate perdute. Non tutte, però». Da qui la necessità di
«tornare a investire nella manifattura e nelle realtà industriali
d'eccellenza». Scommettendo sulla formazione. Anche perché, come ha
fatto notare Licia Mattioli, presidente Unione Industriale di Torino,
ci troviamo davanti a un paradosso: «da un lato i giovani che vivono
sulla loro pelle la disoccupazione, dall'altro le aziende, che a
volte faticano a trovare le figure professionali di cui avrebbero
bisogno».
In un anno segnato dalla memoria di don Bosco, il richiamo
alla formazione professionale (intesa come avvicinamento al lavoro, a
tutti i livelli) si carica di un significato particolare. Ed è uno
stimolo che non può prescindere dall'università. «Sono ormai
lontani i tempi del “Buona fortuna, fuori c'è un lavoro che ti
aspetta” - ha ricordato Gianmaria Ajani, rettore Università di
Torino - Serve un efficiente servizio di job placement, capace di
accompagnare i nostri laureati». E se il baricentro della
produttività si sposta verso est, rendendo la competitività ogni
giorno più sfavorevole per il nostro mondo, «abbiamo bisogno di un
modello nuovo», che «rimetta al centro la cultura del dato e del
fatto, non solo del dire», ma che sappia anche «valorizzare la
creatività delle imprese culturali e delle scienze umane».
C'è
chi ha avuto parole molto critiche verso l'assemblea dell'Agorà,
bollandola come “la solita riunione dei soliti noti”. A queste
provocazioni e al rischio di chiudersi in un discorso
autoreferenziale, i relatori presenti, compresi Domenico Lo Bianco
(segretario generale Cisl Torino-Canavese), Luca Remmert (presidente
Compagnia di San Paolo) e Marco Canta (portavoce Forum Terzo Settore)
hanno cercato di reagire impegnandosi in prima persona in un “patto
sociale e generazionale”. L'obiettivo, dunque, è costruire una
rete che, basandosi su rapporti in gran parte già avviati, riesca a
proporre in tempi rapidi soluzioni realistiche. Partendo proprio
dalle realtà più critiche e più trascurate.
«Abbiamo
l'opportunità di costruire una grande speranza per Torino e il suo
territorio – ha detto Monsignor Nosiglia a conclusione dei lavori -
La grave crisi che stiamo attraversando ci ha obbligati a riscoprire
le nostre risorse più autentiche. La vera vittoria sulla crisi non
consiste nel tornare al passato: si tratta, invece, di trovare il
modo di non perdere nessun cittadino, offrendo le opportunità che
ciascuno saprà cogliere».