Come i magi, arrivati da lontano per
adorare Gesù Bambino, i migranti sono la testimonianza di un
incontro possibile, nel nome della fede. Per questo a Torino, città
dalla forte vocazione multietnica, la celebrazione dell'Epifania ha
il calore e i colori di una “Festa dei popoli”, momento di
condivisione cui sono invitate tutte le comunità immigrate presenti
nella Diocesi. Tanti gruppi provenienti da ogni angolo del pianeta
(dalla Romania alla Nigeria, dal Perù alle Filippine) si sono dati
appuntamento nella chiesa del Santo Volto, per partecipare alla
celebrazione eucaristica presieduta dall'arcivescovo monsignor Cesare
Nosiglia.
Non è la prima volta che la Chiesa subalpina propone un
appuntamento del genere, ma in un anno come questo, segnato dal
dramma di un esodo senza precedenti, esso assume un valore ancora più
forte. Nel 2015 il capoluogo piemontese è stato chiamato a
confrontarsi, come poche altre volte nella sua storia, con la sfida
dell'accoglienza. Già a fine agosto, anticipando di pochi giorni
l'invito del Santo Padre rivolto a tutte le parrocchie d'Europa,
l'arcivescovo Nosiglia aveva chiesto a unità pastorali, famiglie e
comunità religiose della sua Diocesi di organizzarsi per ospitare
alcuni rifugiati. A questo appello i Torinesi hanno risposto con
straordinaria generosità, mettendo in campo una rete di risorse che
ora inizia a dare i suoi frutti.
La celebrazione si è aperta con un
saluto di Sergio Durando, direttore dell'Ufficio diocesano di
Pastorale Migranti. Impossibile non rivolgere lo sguardo alla
tragedia dei morti nel Mediterraneo, con un bilancio che diventa ogni
anno più straziante «mentre
l'Europa trova i soldi per bombardare e non per aprire dei corridori
umanitari». Eppure a Torino vi sono anche preziosi segnali di
speranza. Durando ha voluto ricordare quei 538 migranti «accolti nei
mesi scorsi dalle nostre comunità, parrocchie e famiglie, grazie
all'impegno e al coraggio di tanti». La “Festa dei popoli”,
però, non è solo un momento di riflessione sul dramma dei profughi.
Vuole essere anche uno spazio di visibilità per chi vive in Italia
da tempo ed è riuscito, seppur con fatica e sacrifici, a integrarsi,
conciliando cultura d'origine e nuova appartenenza. «Dobbiamo
imparare» ha infatti sottolineato Durando «a vedere la migrazione
non solo come un problema, ma come un'opportunità».
Questo
sguardo ha trovato un'espressione concreta nella celebrazione
dell'eucarestia, momento veramente ecumenico, festoso incontro di
lingue, musiche e tradizioni, ciascuna con la propria identità, ma
tutte unite in una comune appartenenza. E' il sogno
dell'inculturazione, è la bellezza del messaggio cristiano che può
abitare pacificamente ogni latitudine. Durante la Messa si è pregato
e cantato in italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese,
romeno, polacco, cingalese, filippino, arabo, swahili. A portare i
doni all'altare era presente, tra gli altri, un nutrito gruppo di
giovani peruviani, ben riconoscibili per via dei variopinti abiti
tradizionali. La loro, insieme a quella nigeriana, è una delle
comunità cattoliche più numerose a Torino. Ma nella chiesa del
Santo Volto erano rappresentate tantissime etnie, compresa una
piccola delegazione di cinesi (comunità tradizionalmente molto
silenziosa e appartata).
A
Torino, come in molti altri luoghi d'Europa, i cristiani immigrati
hanno creato forti legami con i connazionali e costituito comunità
unite, nelle quali si respirano le atmosfere e le abitudini
liturgiche delle terre d'origine. Paul, ad esempio, è un cittadino
nigeriano, arrivato in Italia dieci anni fa, per lavorare come
operaio. Ci racconta che ogni domenica va con la sua famiglia a
pregare nella parrocchia di San Giuseppe Cafasso, dove viene
celebrata la Messa in lingua inglese. Martina, messicana, a Torino da
vent'anni insieme a sua mamma e a una sorella, frequenta la comunità
latinoamericana di via Nizza. Entrambi vivono la Festa dei Popoli
come un'occasione per ampliare gli orizzonti e scoprire esperienze
simili alle loro, seppur vissute in luoghi e attraverso cammini
differenti.
«La
paura del diverso, le conflittualità che nascono, l’incapacità di
procedere su vie di integrazione da una parte e dall’altra,
atteggiamenti di rifiuto e di indifferenza latenti in molti ed
espliciti per fortuna in pochi, fanno parte ormai del nostro vivere
quotidiano», ha ricordato
nella sua omelia monsignor Nosiglia
«Per
un cristiano però non dovrebbe esserci uno straniero e tanto meno un
cosiddetto “extracomunitario”, ma una persona umana e figlio di
Dio che ha un nome, una storia – spesso drammatica – alle spalle
e va riconosciuto soggetto di diritti e di doveri, come ogni altro,
prima e al di là del colore della sua pelle, della sua nazionalità
o parentela o religione».
«Le
diversità» ha proseguito
l'Arcivescovo «non
debbono creare muri, ma servire come pontisu cui impostare vie di
dialogo e convergenze amicali e di condivisione, operando uniti per
una società più giusta, solidale e pacifica. Anche sul piano
religioso la presenza di tanti fratelli e sorelle immigrati e
l’esempio della loro fede è uno stimolo per tante nostre comunità
a camminare insieme sulla via di una rinnovata vita e cultura
cristiane».
Terminata la celebrazione, la Festa dei
Popoli è proseguita con un pranzo comunitario e con un pomeriggio di
incontro, giochi, musica e balli animati dai gruppi folkloristici
delle diverse comunità.