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lunedì 09 settembre 2024
 
EPIFANIA
 

Torino, Nosiglia: «Per un cristiano non esistono "stranieri"»

06/01/2016  Il 6 gennaio si celebra la Festa dei popoli. Nella chiesa del Santo Volto si è pregato in italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese, romeno, polacco, cingalese, filippino, arabo, swahili. Nel'omelia, l'arcivescovo auspica che le diversità diventino «ponti» e non «muri»

Come i magi, arrivati da lontano per adorare Gesù Bambino, i migranti sono la testimonianza di un incontro possibile, nel nome della fede. Per questo a Torino, città dalla forte vocazione multietnica, la celebrazione dell'Epifania ha il calore e i colori di una “Festa dei popoli”, momento di condivisione cui sono invitate tutte le comunità immigrate presenti nella Diocesi. Tanti gruppi provenienti da ogni angolo del pianeta (dalla Romania alla Nigeria, dal Perù alle Filippine) si sono dati appuntamento nella chiesa del Santo Volto, per partecipare alla celebrazione eucaristica presieduta dall'arcivescovo monsignor Cesare Nosiglia.

Non è la prima volta che la Chiesa subalpina propone un appuntamento del genere, ma in un anno come questo, segnato dal dramma di un esodo senza precedenti, esso assume un valore ancora più forte. Nel 2015 il capoluogo piemontese è stato chiamato a confrontarsi, come poche altre volte nella sua storia, con la sfida dell'accoglienza. Già a fine agosto, anticipando di pochi giorni l'invito del Santo Padre rivolto a tutte le parrocchie d'Europa, l'arcivescovo Nosiglia aveva chiesto a unità pastorali, famiglie e comunità religiose della sua Diocesi di organizzarsi per ospitare alcuni rifugiati. A questo appello i Torinesi hanno risposto con straordinaria generosità, mettendo in campo una rete di risorse che ora inizia a dare i suoi frutti.

La celebrazione si è aperta con un saluto di Sergio Durando, direttore dell'Ufficio diocesano di Pastorale Migranti. Impossibile non rivolgere lo sguardo alla tragedia dei morti nel Mediterraneo, con un bilancio che diventa ogni anno più straziante «mentre l'Europa trova i soldi per bombardare e non per aprire dei corridori umanitari». Eppure a Torino vi sono anche preziosi segnali di speranza. Durando ha voluto ricordare quei 538 migranti «accolti nei mesi scorsi dalle nostre comunità, parrocchie e famiglie, grazie all'impegno e al coraggio di tanti». La “Festa dei popoli”, però, non è solo un momento di riflessione sul dramma dei profughi. Vuole essere anche uno spazio di visibilità per chi vive in Italia da tempo ed è riuscito, seppur con fatica e sacrifici, a integrarsi, conciliando cultura d'origine e nuova appartenenza. «Dobbiamo imparare» ha infatti sottolineato Durando «a vedere la migrazione non solo come un problema, ma come un'opportunità».

Questo sguardo ha trovato un'espressione concreta nella celebrazione dell'eucarestia, momento veramente ecumenico, festoso incontro di lingue, musiche e tradizioni, ciascuna con la propria identità, ma tutte unite in una comune appartenenza. E' il sogno dell'inculturazione, è la bellezza del messaggio cristiano che può abitare pacificamente ogni latitudine. Durante la Messa si è pregato e cantato in italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese, romeno, polacco, cingalese, filippino, arabo, swahili. A portare i doni all'altare era presente, tra gli altri, un nutrito gruppo di giovani peruviani, ben riconoscibili per via dei variopinti abiti tradizionali. La loro, insieme a quella nigeriana, è una delle comunità cattoliche più numerose a Torino. Ma nella chiesa del Santo Volto erano rappresentate tantissime etnie, compresa una piccola delegazione di cinesi (comunità tradizionalmente molto silenziosa e appartata).

A Torino, come in molti altri luoghi d'Europa, i cristiani immigrati hanno creato forti legami con i connazionali e costituito comunità unite, nelle quali si respirano le atmosfere e le abitudini liturgiche delle terre d'origine. Paul, ad esempio, è un cittadino nigeriano, arrivato in Italia dieci anni fa, per lavorare come operaio. Ci racconta che ogni domenica va con la sua famiglia a pregare nella parrocchia di San Giuseppe Cafasso, dove viene celebrata la Messa in lingua inglese. Martina, messicana, a Torino da vent'anni insieme a sua mamma e a una sorella, frequenta la comunità latinoamericana di via Nizza. Entrambi vivono la Festa dei Popoli come un'occasione per ampliare gli orizzonti e scoprire esperienze simili alle loro, seppur vissute in luoghi e attraverso cammini differenti.

«La paura del diverso, le conflittualità che nascono, l’incapacità di procedere su vie di integrazione da una parte e dall’altra, atteggiamenti di rifiuto e di indifferenza latenti in molti ed espliciti per fortuna in pochi, fanno parte ormai del nostro vivere quotidiano», ha ricordato nella sua omelia monsignor Nosiglia «Per un cristiano però non dovrebbe esserci uno straniero e tanto meno un cosiddetto “extracomunitario”, ma una persona umana e figlio di Dio che ha un nome, una storia – spesso drammatica – alle spalle e va riconosciuto soggetto di diritti e di doveri, come ogni altro, prima e al di là del colore della sua pelle, della sua nazionalità o parentela o religione». «Le diversità» ha proseguito l'Arcivescovo «non debbono creare muri, ma servire come pontisu cui impostare vie di dialogo e convergenze amicali e di condivisione, operando uniti per una società più giusta, solidale e pacifica. Anche sul piano religioso la presenza di tanti fratelli e sorelle immigrati e l’esempio della loro fede è uno stimolo per tante nostre comunità a camminare insieme sulla via di una rinnovata vita e cultura cristiane». Terminata la celebrazione, la Festa dei Popoli è proseguita con un pranzo comunitario e con un pomeriggio di incontro, giochi, musica e balli animati dai gruppi folkloristici delle diverse comunità.

 
 
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