“Ero straniero, mi avete ospitato”. Basterebbe questo versetto del Vangelo di Matteo (25,35) a spiegare tutto. Basterebbero queste cinque parole a chiarire, senza possibilità di dubbi, che l’accoglienza di chi arriva da lontano fa parte della vita cristiana fin nelle sue più profonde e intime radici. Oltre ogni preconcetto. Oltre i timori, magari comprensibili, ma che non possono diventare un freno o un alibi. Ed è proprio su questo fondamento evangelico che si concentra la 106° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, in programma domenica 27 settembre, con il titolo “Come Gesù Cristo, costretti a fuggire”. «Quasi ogni giorno la televisione e i giornali danno notizie di profughi che fuggono dalla fame, dalla guerra, da altri pericoli gravi, alla ricerca di sicurezza e di una vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie» scrive paa Francesco, nel suo messaggio per la Giornata del Migrante. «In ciascuno di loro è presente Gesù, costretto, come ai tempi di Erode, a fuggire per salvarsi. Nei loro volti siamo chiamati a riconoscere il volto del Cristo affamato, assetato, nudo, malato, forestiero e carcerato che ci interpella». A livello nazionale, quest’anno saranno Piemonte e Valle d’Aosta il punto di riferimento. Una notizia che viene accolta con gioia e gratitudine nelle 17 Diocesi coinvolte.
Piemonte e Valle d’Aosta: terre di confine. Terre dove (anche quando l’occhio dei media è catturato altrove) ci sono migranti che tentano la traversata delle Alpi verso la Francia, spesso rischiando la vita con attrezzature del tutto inadeguate, su valichi pericolosi. Terre che sanno bene cos’è la migrazione, per aver visto, in poco più di un secolo, tanta gente andarsene (nella moltitudine, anche i nonni di papa Bergoglio) e poi tanta gente arrivare, prima dal Sud dell’Italia in cerca di lavoro, oggi soprattutto dal Sud del mondo e dall’Est Europa. Ed ecco perché queste zone sono divenute, nel tempo, un mosaico irripetibile di culture, dove, accanto ai tanto sbandierati problemi e alle inevitabili incomprensioni, sono fiorite moltissime storie positive. Storie di accoglienza possibile e di convivenza che arricchisce. A pensarci, i precedenti non mancano. Già, perché, malgrado il luogo comune che li vorrebbe chiusi di carattere e diffidenti, i Piemontesi sono gente capace di aprire le braccia e il cuore. Raccolgono l’eredità dei santi sociali (don Bosco in primis), che già a metà Ottocento si prendevano cura dei ragazzi giunti in città “da fuori”, affamati, sbandati, senza diritti, né punti di riferimento. Erano anche loro dei migranti, seppur “su scala diversa”.
Oggi, in mezzo a tante sfide e incognite, la Giornata del Migrante e del Rifugiato è un richiamo quanto mai concreto. Per questo il Coordinamento Regionale degli Uffici Migrantes delle Diocesi di Piemonte e Valle d’Aosta ha voluto puntare l’attenzione su alcuni temi centrali. «Chiediamo» si legge, tra l’altro, nel documento presentato durante una conferenza stampa dall’incaricato regionale, il vescovo di Asti mons. Marco Prastaro «il superamento dei Decreti sicurezza ancora in vigore, quelli che hanno smantellato gli strumenti più idonei alla buona accoglienza, impedito ai richiedenti asilo l’iscrizione all’anagrafe dei Comuni, soppresso la protezione umanitaria, reso troppo stringenti i criteri di accesso al permesso di soggiorno, tentando anche di criminalizzare la solidarietà di chi si adopera nei salvataggi in mare. Provvedimenti che hanno di fatto creato decine di migliaia di nuovi irregolari e cancellato migliaia di posti di lavoro». Non solo: «È urgente a nostro avviso il riconoscimento della cittadinanza almeno a chi è nato o è arrivato da giovane in Italia, vi risiede stabilmente e ha completato un ciclo di studi nel nostro Paese (ius culturae)». Temi delicati e urgenti, che la politica spesso ignora o manipola in chiave demagogica. E in certi casi il Covid-19 non ha fatto che rafforzare i pregiudizi: «Per i migranti» si legge ancora nel documento «la pandemia ha rappresentato il passaggio dalla sovraesposizione mediatica e politica alla scomparsa dalla cronaca, per poi ritornare, con la ripresa degli sbarchi in Italia, a occupare la scena dipinti come “untori” o “balordi”».
Il Piemonte è un mosaico multietnico. Stando al censimento di fine 2019, attualmente abitano in Regione 429.375 persone migranti (la metà delle quali concentrate nella provincia di Torino). Romania, Marocco, Albania e Cina sono gli Stati più rappresentati, ma si contano presenze da ben 172 Paesi sparsi nei cinque continenti. Molti sono i cattolici, che spesso tendono a organizzarsi in gruppi vivi e dinamici, guidati da sacerdoti che svolgono un prezioso lavoro di mediazione. Così, ad esempio, a Torino vi sono chiese divenute punti di riferimento per la comunità filippina, o per quella sudamericana, o ancora per i fedeli Africani di lingua inglese, francese e portoghese. Sarò proprio questo variopinto tesoro spirituale ad animare la Messa di domenica 27 settembre (ore 11, Duomo di San Giovanni Battista, Torino), che sarà il momento culminante delle celebrazioni. La Messa, presieduta da mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e di Susa, sarà trasmessa anche su Rai 1. Inoltre, per tutto il mese di settembre, le Diocesi interessate si sono preparate all’appuntamento con un ricco programma di incontri, mostre, spettacoli teatrali e altri appuntamenti. «Sono occasioni» spiega Sergio Durando, direttore Migrantes Torino «per riflettere e per raccontare ciò che di positivo accade sui nostri territori».
«Quando incontro o ho a che fare con una persona migrante» afferma mons. Nosiglia, da sempre particolarmente sensibile al tema, «ringrazio Dio perché mi ha offerto un dono grande che mi sollecita a riconoscerlo e ad accoglierlo nella persona di tanti nostri fratelli e sorelle che sono giunti nel nostro Paese e necessitano di una costante solidarietà e prossimità, come si usa tra figli dello stesso Padre Celeste. Gli immigrati sono portatori di una ricchezza di culture, tradizioni, valori umani e spirituali, religiosi e civili, che può arricchire la nostra Comunità sia sotto il profilo culturale che sociale». «Mai», prosegue l’Arcivescovo «ci stancheremo di predicare a tutti, e con voce alta e forte, che la presenza di tanti immigrati nel nostro Paese è una risorsa positiva che non va solo accettata, ma valorizzata in tutti i suoi molteplici aspetti».