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domenica 04 giugno 2023
 
Immigrazione e integrazione
 

Torino racconta “Le terre attraverso il mare”

20/07/2015  Un tradizionale matrimonio marocchino ma anche la “Marinera”, la danza popolare peruviana; i folkloristici abiti rumeni ma anche il coloratissimo mandala di sabbia. Il tutto nell’insolita cornice dell’atrio della stazione di Porta Susa. È l’iniziativa del Gruppo Abele, organizzata insieme alla Compagnia di San Paolo: una manifestazione interculturale che ha offerto uno spazio di dialogo alle comunità di migranti nel territorio piemontese.

Non capita spesso di ascoltare un coro di africani che canta in dialetto piemontese. Ma soprattutto non capita spesso di vedere persone italiane, magrebine, sudamericane, cinesi, dell'Europa dell'Est e dei Paesi sub-sahariani unite in un comune momento di condivisione.
 
A Torino tutto questo è stato possibile grazie a “Le terre attraverso il mare”, una manifestazione interculturale organizzata dal Gruppo Abele (l'associazione fondata nel 1965 da don Luigi Ciotti), col contributo della Compagnia di San Paolo e di varie altre realtà.

L'iniziativa ha voluto offrire uno spazio di dialogo alle comunità di migranti presenti sul territorio piemontese. Alcune di esse vi abitano ormai da decenni e sono ben inserite nel tessuto sociale. Altre stanno cercando, non senza fatica, una dimensione in cui potersi sentire a casa. Tutte sono portatrici di culture millenarie, che incuriosiscono e incantano. E che, se osservate nella giusta prospettiva antropologica, non appaiono poi così distanti dalla nostra.

Una festa coloratissima

Il risultato di questa sfida è stata una coloratissima festa, capace di far coabitare varie forme d'arte: la rappresentazione di un matrimonio marocchino (con tanto di trono sontuoso riservato agli sposi) accanto alla Marinera (una danza tradizionale peruviana); le tinte sgargianti degli abiti folkloristici romeni e quelle, altrettanto accese, di un mandala di sabbia; il rap suburbano e i gruppi storici delle vallate piemontesi, ma anche le diverse culture del cibo e dell'ospitalità.

Altamente simbolico il luogo scelto per la manifestazione: l'atrio della stazione ferroviaria di Porta Susa, uno spazio che al viaggiare deve la sua stessa esistenza.

“Le terre attraverso il mare” ha cercato di raccontare, seppur nel breve spazio di un pomeriggio, la migrazione in tutte le sue forme, senza censurare gli aspetti più drammatici e crudi: emblematica, in questo senso, un'installazione che raffigurava delle barchette di carta tinte di rosso sangue, chiarissima allusione alla tragedia delle morti in mare.

L'idea però era anche quella di rivolgere lo sguardo alle storie di chi ce l'ha fatta, a quelle esperienze di integrazione che fanno molto colore e poco rumore (sfuggendo per questo agli obiettivi della cronaca) e che forse rischiano di perdersi tra le pieghe di una grande città. A meno che qualcuno dia loro un'occasione.

«In un momento difficile, nel quale la parola migrazione rischia di essere usata solo come sinonimo di invasione, vorremmo lanciare un messaggio controcorrente», spiega Lucia Bianco del Gruppo Abele. «Le tante attività quotidiane che la nostra associazione svolge a sostegno degli stranieri sarebbero insufficienti se non parlassero alla cultura, quella forza capace di svegliare le coscienze. Non è stato facile radunare tante comunità diverse, vincendo abitudini consolidate e qualche diffidenza. Ma crediamo che l'incontro sia l'unica soluzione possibile».

Al regista Claudio Montagna il compito di coordinare e tenere insieme il quadro: «Siamo tutti viaggiatori», riflette. «Per qualcuno si tratta di un viaggio fisico, a volte tremendo, dettato della necessità di sopravvivere. Per tutti c'è la ricerca di un luogo migliore in cui abitare, un luogo della mente e dell'anima. Tutte le espressioni artistiche presenti alla manifestazione, pur così diverse tra loro, hanno in comune questo itinerario di fondo».

Jackeline e i versi Cesare Pavese

  

Camminando nell'atrio della stazione si potevano intuire tante storie di coraggio, nascoste dietro a un gesto o a un sorriso. In sottofondo gli annunci dei treni e l'inconfondibile rumore dei convogli in transito.

Jakeline è una ragazza peruviana, arrivata a Torino cinque anni fa. «Ero completamente sola. All'inizio è stato tutto molto difficile». Ma ha resistito, aggrappandosi alla fede, ai sogni e alla sua grande passione: la letteratura. A Torino, tra l'altro, ha conosciuto le poesie di Cesare Pavese: «In quei versi», dice, « ho ritrovato qualcosa di me. Pavese racconta un mondo contadino che oggi in Italia non esiste più, ma che, invece, sopravvive in molte aree del Sud America. Poi mi ha colpito il suo amore per le colline: i paesaggi, certo, sono diversi, ma molto più forte è ciò che ci unisce».

Oggi Jakeline ha tanti progetti: studia lettere all'università e collabora con un'associazione di cultura peruviana. «Qui ho trovato una seconda casa, dei legami, quasi delle nuove radici. E anche se giuridicamente non lo sono, ormai mi sento un po' italiana».     

 
 
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