Ha appena celebrato il funerale di un uomo, Franco, che conviveva da 52 anni con un altro uomo, Gianni. Lo scorso 6 agosto i due avevano suggellare il loro legame con un'unione civile, come previsto dalla legge Cirinnà. Entrambi molto religiosi, per il loro “viaggio di nozze” avevano scelto un pellegrinaggio a Lourdes. «Al funerale ho letto il passo evangelico dei discepoli di Emmaus: Gesù celebra la sua seconda messa non a Gerusalemme, con gli undici, ma accanto a due uomini in fuga, che si sentono sconfortati e abbandonati». Don Gian Luca Carrega, sacerdote di Torino, docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà Teologica del capoluogo piemontese, da quattro anni coordina un progetto di accompagnamento pastorale rivolto alle persone omosessuali.
Nel commentare la sua celebrazione delle esequie, alcuni quotidiani gli hanno attribuito la frase “La Chiesa dovrebbe chiedere scusa ai gay. Qualcuno più in alto di me lo dovrebbe fare”. «Non è esattamente quello che ho detto» chiarisce lui. «Io ho semplicemente detto: “Qualcuno forse si aspetterà delle scuse, ma non sta a me farle. Tutto quello che posso dirvi è grazie”». Nessun tono polemico, nessuna stoccata contro questo o quel rappresentante della gerarchia. «Io voglio solo dire» chiarisce il sacerdote «che non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia. Ci sono dei battezzati che chiedono di essere riconosciuti come tali. Se alcuni di loro si sentono allontanati e se ne vanno, questo mi preoccupa».
All'interno della Chiesa torinese una figura di riferimento per le persone omosessuali esiste da una dozzina d'anni: un caso raro in Italia. All'inizio a questa figura era affidato il compito di seguire e coordinare gruppi formatisi spontaneamente. Solo in tempi recenti sono nati percorsi più strutturati. «Nel periodo natalizio, ad esempio, abbiamo organizzato un week-end di spiritualità. C'è stata anche una visita da parte dell'arcivescovo monsignor Cesare Nosiglia. La maggior parte dei credenti che aderiscono a proposte del genere sono persone singole, spesso molto timide, che sono sempre vissute nel nascondimento. Ci sono però anche alcune coppie». Durante questi incontri emergono domande, riflessioni, richieste. «Molti omosessuali» spiega don Carrega «lamentano una mancanza di preparazione da parte del clero. A volte si commettono errori grossolani, come quello di confondere l'omosessualità con la pedofilia».
Poi ci sono questioni spinose, legate ai sacramenti. «Paradossalmente, se una persona confessa di aver avuto rapporti di promiscuità occasionali, con persone diverse, può essere assolta. Chi invece ha scelto una convivenza stabile, come Franco e Gianni che per 52 anni hanno condiviso gioie e fatiche, standosi accanto l'un l'altro, si trova in una condizione peggiore rispetto agli altri. Credo che su problemi così delicati servirebbe una riflessione seria, anche da parte delle penitenzierie. Se vogliamo educare a un'etica della responsabilità e dell'impegno, poi dobbiamo comportarci di conseguenza».
A livello nazionale, progetti ecclesiali di attenzione ai gay sono diffusi a macchia di leopardo: ci sono molte differenze tra una Diocesi e l'altra. Torino è sicuramente un punto di riferimento, guardato con interesse da altre realtà. Ci si aspetta che in alcune aree del Paese, come il Sud, dove la cultura che tende a esaltare la virilità e la mascolinità è ancora molto diffusa, i rapporti siano più tesi. «Non è detto» osserva don Carrega. «Una delle esperienze migliori arriva dalle parrocchie di Catania, dove la pastorale per le persone omosessuali si è ben integrata con quella ordinaria».
Molti ritengono che, nei rapporti tra chiesa e gay, il pontificato di papa Francesco abbia inaugurato una stagione nuova. «E' comprensibile. A dire il vero la posizione di Francesco è in continuità con quello che la Chiesa sostiene da tempo. Sicuramente è cambiato il linguaggio. Sono cambiati atteggiamento e modo di porsi. Ora il problema è far coincidere le dichiarazioni e le intenzioni con atti concreti».