Il 25 marzo del 1867 nasceva a Parma Arturo Toscanini: “il” direttore d’orchestra per antonomasia. Per la ricorrenza dei 150 anni Riccardo Chailly dirige l’Orchestra della Scala e l’Orchestra Nazionale della Rai propone un concerto (diffuso da Rai Cultura) diretto da Michele Mariotti, pochi giorni fa proclamato “miglior direttore del 2016” dalla giuria del Premio Abbiati.
Ma chi era Arturo Toscanini? Toscanini non è stato il più grande direttore d’orchestra della storia della musica (pasti pensare all’altro “gigante” Victor De Sabata), ma colui che ha definitivamente consacrato il ruolo di una figura musicale nata all’inizio del diciannovesimo secolo e diventata centrale, carismatica, nel ventesimo secolo. Una vera leggenda: alimentata dalla sua biografia, dagli aneddoti che ne descrivono la determinazione, il carattere, la personalità, l’autorevolezza. E naturalmente dal suo valore come musicista.
Tutto nacque quando, giovane violoncellista (suonò anche per la prima di Otello con Giuseppe Verdi concertatore), durante una tourné con un’orchestra sudamericana sostituì il direttore, dirigendo Aida a memoria. Musicalmente era rigoroso, non tollerava compromessi ed arbitrii degli interpreti ed era fedele ai compositori. Cercava le novità e le imponeva al pubblico. Caratterialmente era burbero, quasi dittatoriale, col suo gesto pulito, il suo orecchio infallibile.
Venerava Wagner, e fu il primo italiano scritturato nel “tempio” di Bayreuth. Mentre Beethoven rappresentava per lui la vetta della musica sinfonica: “ho rinunciato a comporre, quando ho letto la Nona sinfonia”, disse. E poi amava ed eseguiva gli italiani: Verdi sopra tutti, ma anche Catalani, i “Veristi”, il Nerone di Boito.
Con Puccini ebbe un rapporto molto controverso, a causa del carattere di entrambi. Toscanini non risparmiava le sue critiche e Puccini era permaloso, geloso, a volte malinconico, a volte goliardico. Alla fine però Puccini riconobbe che nessuno avrebbe potuto dirigere Manon Lescaut come aveva fatto quello che chiamava “l’omaccio”. E Toscanini depose la bacchetta in occasione della prima della Turandot incompiuta nel punto in cui Puccini “era morto”.
Ma la vita di Toscanini è un florilegio di storie: il concerto a fiume nel 1920 per i patrioti e per incontrare l’amico Gabriele D’Annunzio; la sua avversione per razzismi e dittature; il rifiuto ad eseguire l’inno fascista nel 1931 a Bologna che gli costò il volontario esilio; il ritorno alla Scala ricostruita nel 1946 dopo i bombardamenti (scelse come primo brano l’ouverture della Gazza ladra di Rossini); le incisioni e la gloria americane; la non accettazione della nomina senatore a vita, perché disse “desidero finire la mia esistenza nella stessa semplicità in cui l’ho sempre percorsa”; la sua scelta di pagare i biglietti per i familiari che assistevano alle rappresentazioni alla Scala. Toscanini morì a New York nel 1957. A 60 anni di distanza quando si pensa ad un direttore d’orchestra si pensa a lui.
E dalla sua leggenda è nata una tradizione di direttori italiani che sono stati e continuano ad essere il vanto musicale del nostro Paese: Giulini, Abbado, Muti, Sinopoli, Chailly, Gatti, Luisi. Solo per citare i nomi più famosi di una tradizione che continua con i giovani: come Mariotti, appunto. Eredi, pur nelle infinite differenze, del Direttore d’orchestra per antonomasia.