Ventiquattro ore di
viaggio aereo separano l’Italia dall’Australia, un Paese che
esercita una forte attrazione sui nostri giovani che cercano
opportunità nuove di lavoro e di futuro. Malgrado l’Australia non
sia proprio dietro l’angolo negli ultimi anni l’arrivo di
connazionali in questo Paese ha superato il flusso migratorio degli
inizi degli anni Cinquanta, con più di 24.000 nuove presenze
suddivise in residenti temporanei, residenti permanenti e nuovi
cittadini australiani. Ai 14.138 giovani italiani arrivati in
Australia, nel 2014-15, con un visto Working Holiday, si
aggiungono i 5.602 giovani italiani titolari del visto Student e
i 2.105 professionisti del visto Skilled Work, solo per
elencare la tipologia dei visti più numerosi. Ai dati dei cittadini
italiani arrivati in Australia con un visto temporaneo, vanno
aggiunti i 1.355 cittadini italiani che hanno ottenuto la residenza
permanente e gli 824 cittadini italiani che hanno acquisito la
cittadinanza australiana, per un totale (parziale) di 24.024 giovani
italiani solo negli ultimi dodici mesi: un fenomeno migratorio che,
quindi, nel 2014-15 ha raggiunto e superato il numero di italiani
emigrati in Australia nel 1950-51 i quali, secondo le statistiche del
Department of Immigration, furono 19.007.
A focalizzare meglio
questo fenomeno è una ricerca della Fondazione Migrantes “Giovani
italiani in Australia. Un ‘viaggio’ da temporaneo a permanente”
frutto di un lavoro che ha coinvolto i ricercatori italiani residenti
in questo Continente – Michele Grigoletti e Silvia Pianelli – che
in alcuni anni di lavoro ha coinvolto molti giovani italiani che
hanno voluto raccontare la loro esperienza. Un lavoro confluito in
parte in un video-reportage “88 giorni nelle farm australiane”
del regista Matteo Maffesanti allegato alla ricerca che raccoglie
alcune delle storie presenti sul sito www.88days.com:
una testimonianza visiva – spiegano gli autori della ricerca –
dello spaccato giovanile che mostra e fa capire coma mai i giovani
hanno fatto questa scelta, dove e con chi vivono, cosa pensano del
proprio futuro e cosa si aspettano da un Paese come l’Australia.
Sono giovani forti,
tenaci, coraggiosi, pronti a mettersi alla prova, consapevoli di cosa
significa fare sacrifici e compromessi, umili ma decisi. Non si
tratta di “bamboccioni”, né di persone che disprezzano
opportunità di lavoro che non rispettino le proprie qualifiche –
spiega la ricerca - soprattutto in un paese straniero, dove sembra
quasi un passaggio obbligato l’accettazione di lavori umili e con
paghe relativamente basse.
I giovani che emigrano in Australia, al
contrario, conoscono e apprezzano i valori della cultura italiana: la
famiglia, ad esempio, considerata un punto di riferimento
imprescindibile, un sostegno costante nei momenti di difficoltà.
Vedono l’Australia come il luogo in cui il lavoratore, di qualunque
nazionalità, viene rispettato e pagato il giusto, anche se
giovanissimo e alla prima esperienza. La “terra dei canguri” è
un Paese dinamico, meritocratico, che offre possibilità, ma che “non
regala niente perché il prezzo da pagare è alto e richiede
sacrifici, costanza, perseveranza e tanti compromessi”, spiega
ancora la ricerca che racconta anche l’attività di questi giovani
nelle farm australiane dove lavorano nei campi o nelle fattorie:
lavori che comportano anche una notevole fatica
fisica.
Papa Francesco “sprona
i giovani a non lasciarsi rubare la speranza”, ha detto,
presentando la ricerca, il presidente della Migrantes, il vescovo
Guerino Di Tora e questo è “un volume di speranza e di entusiasmo,
di giovani che amano l’Italia, ma che descrivono minuziosamente gli
errori compiuti, le cose che non vanno. Ed è da quegli errori che
bisogna ripartire mettendo al centro le loro esigenze espresse ma che
dicono a noi che siamo chiamati a fare, ciascuno nella propria
posizione, la direzione da prendere, da dove dobbiamo partire per
fare e, soprattutto, per fare meglio”. Una
ricerca – come ha detto il direttore generale della Fondazione
Migrantes, monsignor Giancarlo Perego
– che “ci ricorda il cammino nuovo di molti giovani italiani oggi
verso l’Australia, alla ricerca di un lavoro, ma soprattutto per
conoscere una realtà economica e sociale diversa e per valutare la
possibilità di mettere a frutto conoscenze e competenze”. Da una
lettura attenta della ricerca emerge la possibilità, sostiene
l’organismo pastorale della Cei, di nuove soluzioni e nuove idee
rispetto ai dibattiti più accesi in questo momento in Italia e in
Europa nela “consapevolezza che lo spostamento delle persone non è
mai stato né sarà mai arrestabile, che dalla storia si può e si
deve imparare per meglio gestire il futuro e che una buona e giusta
soluzione è quella di trovare strade nuove e al passo con i tempi,
che siano basate sull’imprescindibile necessità di condividere il
lavoro tra Paesi nella piena transnazionalità operativa e di vita”.