Medjugorje – Vedere. Ecco in fondo cosa cerca veramente chi arriva a Medjugorje. Anelito antico quanto l'uomo. “Maestro dove abiti?'”, domandano i discepoli a Gesù. “Venite e vedrete”, la risposta nel Vangelo di Giovanni. Il “miracolo di Medjugorje” comincia al tramonto quando nella spianata dietro la Chiesa di San Giacomo migliaia di giovani - sono circa settantamila – si fermano a pregare. È il Festival internazionale dei giovani. Molti si mettono pazientemente in fila per confessarsi e alcuni aspettano anche due ore. Sulla piazza sventolano bandiere da ogni parte del mondo: Usa, Australia, Canada, Italia ovviamente. E poi Croazia, Spagna, Corea, Brasile, persino Macao e Cina, moltissime quelle del Libano martoriato. I volti sono i più vari: ragazzini, giovani e giovanissimi. Come pure anziani e famigliole che hanno scelto di trascorrere qui le loro ferie estive.
I sacerdoti, 505, hanno appena finito di celebrare la Messa. Il buio è sceso da poco. Scendono tra la folla e portano la luce. La piazza si fa vivida, tutti accendono i loro flambeaux. Silenzio, musica e preghiera. No, non esiste un “popolo di Medjugorje” perché ogni volto fa storia a sé. Ognuno si porta dietro gioie e drammi che sono solo suoi. C'è il colto e l'umile, il top manager e lo studente. Li accomuna la preghiera del Rosario. Ecco la ragazzina con la maglia del Barcellona con il volto rigato di lacrime, il ragazzone tatuato che si prostra a terra, Roberto, 24 anni, da Fiume che dice sicuro che “Gesù è qui, in mezzo a noi”. E poi al cronista invadente chiosa: “Non lo vede anche lei?”. “Very peace, vera pace”, sussurra padre Albert, un giovane sacerdote della Corea quando gli chiediamo cosa prova. “Questo”, aggiunge, “è il dono del Padre che ci ha chiamati qui”. Chiara da Roccella Jonica, Calabria, fa fatica a vederci. È inchiodata sulla carrozzella. La portano in giro gli amici. Sorride. Cosa provo? “Tantissima gioia, la certezza che Gesù è amore”. Era qui a metà giugno insieme all'amica Anna, ha voluto tornare di nuovo.
Vedere, dunque. Con gli occhi della fede che a Medjugorje più che altrove passa dal confessionale, “non luogo di tortura”, come ha detto papa Francesco, ma riflesso della misericordia di Dio. Moltissimi escono dalla confessione in lacrime e si lasciano andare ad un pianto liberatore. Altri s'inginocchiano davanti alla statua bianca della Madonna che qui è invocata con il titolo di “Regina della Pace”. C'è chi è appena arrivato col trolley ma anziché raggiungere subito l'albergo si ferma per una preghiera. I frati francescani cantano e danzano davanti alla chiesa. Aria di Gmg. “In fondo qui non si fa nulla di speciale”, dice un sacerdote, “si prega il Rosario, ci si confessa, si fa l'adorazione del Santissimo”.
Il “miracolo Medjugorje” sta forse nella moltitudine di suorine, tutte giovanissime, che qui hanno trovato la vocazione e hanno abbracciato senza indugio la vita religiosa. Hanno volti radiosi nei loro abiti candidi. I pellegrini pregano ad ogni crocicchio, molti indossano le magliette con stralci dei messaggi della Madonna ai veggenti. Su una, indossata da un ecuadoregno, c'è scritto: “Io voglio essere un cuore puro. E tu?”. Un gruppo di pellegrini australiani prega in silenzio, una signora agita la bandiera con i colori bianco e giallo del Vaticano e l'immagine di papa Francesco.
“La pietà popolare vede lungo”, dice padre Livio, la voce di Radio Maria che è qui per trascorrere le ferie. I ragazzi della "Comunità Cenacolo" di Suor Elvira, tra le prime a piantare letteralmente una tenda sul colle delle apparizioni, preparano una sedia con due aste per portare in cima al Podbordo un paralitico. E due ragazzoni, rosario al collo, si sono arrampicati sui rami di un albero per scorgere il punto esatto delle apparizioni. Come il brigante Zaccheo per farsi vedere da Gesù tra la folla di Gerico. “Questo è tempo di grazia”, dice suor Cornelia con uno sguardo dolce che ti fende gli occhi. Gestisce un orfanotrofio con 150 bambini orfani di guerra e anziani abbandonati. "Suore missionarie della famiglia ferita", si chiama il suo ordine. L'icona più compiuta, forse, di quella chiesa “ospedale da campo” sognata da papa Francesco.