Sono 2milioni 996.000 gli anziani non autosufficienti in Italia e sono destinati ad aumentare. La stima di Auser è che nel 2045 potranno raggiungere una cifra variabile fra 4.296.000 e gli oltre 5milioni 500mila. Un grande tema da affrontare alla luce per altro di un Paese sempre più vecchio (causa denatalità) e con i figli sempre meno facoltosi. Ne parliamo con Marco Trabucchi, presidente dell'Associazione Italiana di Psicogeriatria.
«Il problema degli anziani non autosufficienti è certamente uno dei grandi problemi italiani: ci sono sempre più anziani e, soprattutto, ci sono sempre più anziani che sopravvivono grazie al progresso della medicina. E questo è il problema della medicina, la sua ambiguità: da un lato ci fa guadagnare anni di vita, dall’altro sono gli anni peggiori».
Nell’attuale conformazione dell’Italia oltretutto anni vissuti senza il conforto dei propri cari.
«Certo, a questo si aggiunge la crisi della famiglia: divorzi in età avanzata, pochi figli, legami sempre più leggeri che nel momento del bisogno si sfaldano. La famiglia italiana non risolve più all’interno le proprie crisi».
C’è poi un grande “maledetto” problema che lei ha particolarmente a cuore. La solitudine.
«Qualcuno diceva che è “la lebbra del nostro secolo”. La solitudine rende difficile qualsiasi risposta perché – anche alla luce di servizi che migliorano – se poi, però, non c’è qualcuno che in casa ti aiuta a risolvere i problemi spiccioli di ogni giorno… Qualche esempio: io posso far sì che qualcuno ti porti le medicine o un pasto caldo, ma chi controlla che tu le assuma o che ti nutri? Chi c’è accanto a te perché tu non cada? Questo è l’altro grande problema che confina con il civile e il morale: la solitudine della famiglia. Quarto problema una certa ritrosia ad affrontare i grandi temi dell’anziano: ciascuno si vede riflesso nell’anziano malato e così anche la politica non trova il coraggio di affrontare il problema».
Marco Trabucchi, presidente dell'Associazione italiana di Psicogeriatria
Che fare?
«Primo: prevenzione seria, soprattutto ad alcune grandi patologie. Ipertensione, malattie cardiovascolari, diabete, malattie mentali e tumori. Se riusciamo a ridurre la prevalenza diminuiamo di molto il numero delle persone non autosufficienti nel futuro. La risposta poi deve essere articolata e complessa: costruire una rete di servizi che accompagnino l’anziano. Assistenza domiciliare, servizi territoriali come i centri diurni e infine le RSA perché la persona non viva “a salti”, ma si muova in questa rete in maniera serena sapendo che quel che accadrà verrà tamponato da servizi che funzionano».
E per arginare la solitudine?
«Bisogna garantire alla persona anziana servizi e serenità del futuro. Evitando la frustrazione psicologica dell’essere solo: “nessuno viene in mio aiuto se ne ho bisogno”. In questo ruolo sono fondamentali le comunità locali, municipi e comuni perché loro possono porsi come garanzia del futuro dell’anziano, sono veri e propri garanti. Non soltanto quando è solo e non più autosufficiente, ma anche quando sta bene - offrendogli opportunità di vita bella e attiva. Il Comune come luogo dove l’anziano sente di avere garanzie per il futuro, qualcuno che pensa a lui».