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venerdì 20 settembre 2024
 
 

Tradizionalisti, facciamo chiarezza

08/11/2012  Non sono scismatici. Sono pienamente dentro la Chiesa cattolica. Sono convinti che occorre tornare alla liturgia precedente l’ultimo Concilio. Nessuna confusione con i lefebvriani.

Il nome "tradizionalisti" proprio non gli piace. Preferiscono chiamarsi  “cattolici tradizionali”. I fedeli legati alle forme liturgiche antecedenti al Concilio Vaticano II spartiscono con i "tradizionalisti irregolari" (i cosiddetti lefebvriani), l’uso del messale di San Pio V e l’attaccamento ad alcune pratiche e insegnamenti della Chiesa precedenti al Vaticano II.

Senza essere scismatici, e dunque essendo pienamente all’interno della Chiesa cattolica, sono convinti, però, che occorre tornare alla liturgia precedente l’ultimo Concilio. Per questo hanno salutato con favore il Motu proprio Sommorum Pontificum con il quale, con molte prudenze ed eccezioni, Benedetto XVI ha disciplinato l’uso del Messale romano del 1962, il cosiddetto rito tridentino. Con il Motu proprio il Papa, spiegando in quali occasioni e con quali autorizzazioni è possibile celebrare secondo il rito tridentino, ha voluto mettere ordine in quanto stava succedendo dentro la Chiesa cattolica.

L’anniversario dei 50 anni di apertura del Concilio Vaticano II ha poi rilanciato l’antica quanto inutile polemica sull’ermeneutica della continuità o discontinuità del Concilio. Questo tipo di ermeneutica, cioè interpretazione, si può applicare anche per il Concilio di Trento. Ogni Concilio, infatti, rappresenta una innovazione. Questo non vuol dire che cambi la struttura fondamentale della Chiesa, cioè che mutino gli elementi costitutivi. Diverso discorso per le pratiche ecclesiastiche. Anche il Concilio di Trento ha costituito una rottura con le pratiche ecclesiastiche precedenti.  I “decreti di riforma” (si chiamano così) messi in pratica soprattutto da San Carlo Borromeo, hanno profondamente innovato la Chiesa Lombarda e Piemontese, per esempio.

Il Vaticano II è stato  un aggiornamento nella continuità: per vivere in modo autentico la tradizione della Chiesa c’è bisogno di rinnovarsi. Il tesoro della Chiesa, come diceva sant'Ireneo, è un tesoro vivo che «ringiovanisce continuamente il vaso che lo contiene». Le critiche che i tradizionalisti muovono al Vaticano II sul tema della liturgia non tengono conto del fatto che ogni Concilio è un aggiornamento nella continuità: la Verità rivelata resta sempre la stessa, ma cambiano le parole e il metodo per far arrivare quella Verità al cuore degli uomini e delle donne.

I tradizionalisti potrebbero essere quel ponte di dialogo che può facilitare il pieno rientro tanto auspicato dallo stesso Benedetto XVI di coloro che si sono allontanati dopo il Concilio. Nessuna confusione, quindi, tra tradizionalisti e lefebvriani.

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