(Foto sopra: l'équipe operatoria del trapianto di cuore numero mille. Foto di copertina: l'équipe del Dipartimento cardiovascolare che segue i trapianti)
Il trapianto di cuore numero mille. Un traguardo importantissimo per l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ancora più carico di significato all’indomani della bufera del Covid-19 che ha travolto e messo a dura prova la struttura sanitaria, nell’occhio del ciclone dell’epidemia in Italia. A ricevere un cuore nuovo, sabato scorso, è stato un bergamasco di 63 anni, affetto da una miocardiopatia primitiva che causava uno scompenso cardiaco ormai refrattario alla terapia medica, e che era in attesa da luglio 2019. A distanza di 35 anni dal primo trapianto di cuore, l’ospedale di Bergamo si conferma un’eccellenza in ambito cardiovascolare e si attesta al quinto posto in Italia per numero di trapianti eseguiti (20 interventi nel 2019). Il Papa Giovanni XXIII si classifica inoltre al primo posto tra gli ospedali pubblici abilitati per i trapianti di cuore sui bambini.
In questa struttura il tasso di sopravvivenza di un trapiantato di cuore a un anno di distanza dall’intervento è dell’83,2%, dato superiore alla media nazionale (81,5%). La sopravvivenza a cinque anni è 77,3% contro una media nazionale del 72,8%. «Sabato, come mille altre volta prima, quando il cuore trapiantato ha cominciato a battere nel petto del paziente abbiamo applaudito. Solo questa volta con più decisione e anche un po' di emozione perché sapevamo che il traguardo raggiunto è particolarmente significativo per il nostro ospedale», ha commentato Amedeo Terzi, responsabile della Chirurgia dei trapianti al Papa Giovanni XXIII. «Oggi, 35 anni dopo l’avvio del programma a Bergamo, il trapianto di cuore continua ad essere una risposta importante, spesso l’unica, a gravi problemi cardiaci che non trovano soluzioni in altre terapie. In più però possiamo contare sull’esperienza che abbiamo accumulato e sulla possibilità di ricorrere a farmaci e tecnologie prima impensabili, come l'assistenza ventricolare, il cosiddetto cuore artificiale, che permette ad alcuni pazienti in gravi condizioni di poter arrivare al trapianto».
Era la notte del 23 novembre del 1985 quando il giovane cardiochirurgo Paolo Ferrazzi eseguì il primo trapianto di cuore degli ex Ospedali Riuniti, il terzo in Italia. A donare l'organo al 48enne Roberto Failoni, affetto da dieci anni da una grave cardiopatia, Emanuela Brambilla, morta in un incidente stradale. A loro sono intitolate le due strade che abbracciano l’ospedale: la morte che, grazie al dono, genera la vita. Anche l’ospedale di Bergamo, dopo l’enorme sofferenza dei mesi scorsi, è rinato. «Lavoriamo sul filo dei minuti. Tutto deve funzionare alla perfezione: dal prelievo dell’organo al suo trasporto qui a Bergamo, dalle fasi di preparazione dell’organo e del paziente fino all’intervento vero e proprio», aggiunge Francesco Ferri, coordinatore al prelievo e trapianto. «Ma il risultato di questa macchina organizzativa non ha eguali. Molti pazienti parlano del giorno del trapianto come di una vera e propria rinascita, di una seconda vita, che inizia dal gesto di generosità delle famiglie che scelgono la donazione degli organi quando la medicina nulla può più fare per il proprio caro. Una scelta di civiltà che a Bergamo è parte integrante della nostra cultura, che però va coltivata ed estesa alle nuove generazioni».