Fa notizia un caso uscito sul Corriere della sera. Una bambina di pochi mesi è in sala operatoria, in piena notte, sta correndo pericolo di vita, è urgente una trasfusione di sangue. I genitori non prestano il consenso a procedere per motivi religiosi. I medici provano a convinceli prospettando le conseguenze infauste per la bambina, ma il tempo corre e bisogna intervenire.
L'ospedale agisce come si fa quando si presentano simili casi, forse estremi, ma comunque non nuovi: fa una segnalazione urgentissima alla magistratura competente in modo che l’intervento del giudice possa dirimere, nel miglior interesse del minore, la controversia sorta tra medici che hanno il dovere di prestare soccorso e i genitori che negano il consenso alla procedura salvavita.
Si tratta di una prassi, prevista dalle norme e consolidata, in situazioni analoghe da molto tempo negli ospedali italiani nelle situazioni di emergenza in cui non c’è tempo per lunghe trattative alla ricerca di autorizzazione per consenso informato. Quando l’urgenza non lo permette, si agisce come è stato fatto all’ospedale di Legnano: si chiama il magistrato – nel caso in questione la segnalazione è arrivata alla Procura per minorenni di Milano - che, in questi casi, in via d’urgenza sospende la potestà genitoriale per il tempo necessario a decidere e procedere all’intervento e a salvare la vita del bambino, e subito dopo – a meno che non si ravvisino casi meritevoli di ulteriori approfondimenti - restituisce la potestà ai genitori.
Se l'urgenza fosse tale da non permettere neppure la ricerca del consenso o non desse il tempo di far intervenire il giudice l'atto del medico troverebbe comunque giustificazione nello stato di necessità.