Sono tre i discorsi che il primo Papa non europeo ha dedicato finora all’Europa. Ma la sua non è l’analisi di un estraneo. Anzi avvantaggiato dalla prospettiva dell’esterno, non dell’estraneo, ha spronato un’Europa timoroso e invecchiata a fare un salto di qualità. Il primo discorso lo ha tenuto davanti al Parlamento europeo a Strasburgo il 25 novembre 2014. Il secondo, sempre quel giorno, al Consiglio d’Europa. E il terzo lo ha pronunciato in occasione del Premio Carlo Magno, che gli hanno consegnato in Vaticano il 6 maggio dell’anno scorso. In tutte e tre si vede la preoccupazione del Papa argentino per un’Europa non più all’ altezza della sua storia. Memorabile è stato l’ultimo, che è tra i tre il più completo. Ha esitato ad accettare quel premio, ma molti lo hanno consigliato di accettarlo. E lui ha raccomandato, ringraziando, “slancio nuovo e coraggioso per questo amato continente”.
E’ il discorso del “sogno” futuro, il sogno del Papa non europeo che declina quello dei padri fondatori dell’Europa, un discorso carico di emozione: “Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri di tutti. Sogno un’ Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata l’ultima sua utopia”. Prima di Bergoglio c’è un intero magistero pontificio che ha accompagnato la costruzione dell’Unione.
La Chiesa ha offerto sempre la sua riflessione sul perimetro di un’Europa spirituale e culturale. Il ruolo di Pio XII fu fondamentale e tempestivo. Ma è poco conosciuto e studiato. Pacelli era un convinto europeista, vicino alla posizioni federative di Altiero Spinelli. Nel 1948 manda un messaggio al Congresso europeo dei federalisti nel quale si chiede se non sia “già troppo tardi” per la costituzione dell’ “unione europea”. Nel 1953 in occasione di uno dei suoi tradizionali radiomessaggi è ancora più esplicito: “Perché esitare? Il fine è chiaro”. Prefigurava la costituzione di un unico organismo politico di governo dell’Europa. E quando nasce la Ceca (la Comunità europea del carbone e dell’acciaio) non è contento perché teme che l’Europa finisca nelle mani soltanto dei mercanti, insomma un’unione solo sul “materialismo moderno”.
Giovanni XXIII riprende quella preoccupazione. Roncalli diventa Papa in mezzo alle tensioni della guerra fredda. Si costruisce il Muro di Berlino, il confronto Est-Ovest culmina nella crisi dei missili a Cuba. Lui si pone subito il problema di un governo mondiale, oltre l’Europa. Scrive la Pacem in terris” per questo motivo. Non lascia discorsi dedicati all’Europa. Ma l’insegnamento giovanneo si rintraccia in un documento della Segretaria di Stato firmato dal card. Cicognani, una lettera del 1962 indirizzata a prof. Alain Barrére, presidente della Settimana sociale dei cattolici francesi organizzata sul tema dell’ Europa delle persone e dei popoli, nella quale sottolinea che l’Europa non deve essere “appannaggio esclusivo dei governi”, deve essere anche “opera dei popoli” e incanalare i rapporti tra gli Stati “verso il bene comune”.
Con Montini l’Europa è un nucleo che si sta formando, ma che sta anche cambiando. Paolo VI è preoccupato dello stravolgimento delle radici cristiane con l’approvazione delle leggi sul divorzio e sull’aborto. Sul piano politico la Santa Sede ottiene un successo quando riesce a far inserire nell’atto finale della Conferenza di Helsinki nel 1975 il principio della libertà religiosa. Lo chiedono i cattolici dell’Est, oppressi dai regimi comunisti. E proprio da lì viene il nuovo Papa, dopo il brevissimo pontificati di Giovanni Paolo I. Wojtyla subito nega di venire della Chiesa del silenzio e parla di Europa che deve respirare “con due polmoni”. E quando cade il Muro di Berlino spiega: “Il momento è propizio per raccogliere le pietre dei muri abbattuti e costruire insieme la casa comune”. Wojtyla richiama più volte le radici cristiane e quando nella Carta di Nizza non c’è alcun riferimento a Dio si rammarica. All’Europa Giovanni Paolo II dedica due sinodi, uno ordinario e uno straordinario subito dopo la caduta del Muro di Berlino, al quale partecipano i vescovi europei, e un’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa” nel 2003.
E dell’Europa parla in tutti gli Angelus domenicali dal 13 luglio al 31 agosto di quell’anno, mentre la Convenzione sta scrivendo la Costituzione europea. Ma il suo appello all’inserimento delle radici cristiani resta disatteso. Torna la preoccupazione di Pio XII dell’Europa solo dei marcanti. E’ quella che riprende anche Joseph Ratzinger, ancor prima di diventare Papa. Nella notte in cui muore Wojtyla il futuro Benedetto XVI va a Subiaco dove tiene un memorabile discorso sulla crisi della cultura in Europa. Il magistero di Ratzinger è interamente intrecciato allo spazio europeo, come l’intero suo percorso intellettuale. Ma c’è una frase di Benedetto XVI che più di ogni altra spiega la sua idea: “L’Europa non è un continente nettamente afferrabile in termini geografici, è invece un concetto culturale e storico”.