Ogni giorno, nel mondo, circa 800 donne
muoiono a causa delle complicanze di una gravidanza o
di un parto.
Nel 99% dei casi si tratta di mamme di Paesi in via di
sviluppo. È la fotografia drammatica scattata da Msd, che con il nuovo progetto "Msd for mothers", intende salvare 3 milioni di vite entro il 2015, così da rendere più concreto all'obiettivo fissato dalle Nazioni Unite che intende ridurre la mortalità materna del 75% nei prossimi due anni e mezzo.
Con uno stanziamento di 500 milioni di dollari, verranno varati e sostenuti progetti di assistenza sanitaria, farmaceutica, di formazione degli operatori e di informazione delle popolazioni, in particolare quelle vivono nelle zone rurali dell'Africa sub-sahariana e dell'Asia meridionale.
Nell'ambito dell'iniziativa, MSD Italia sostiene in Mozambico il
programma Dream avviato dalla Comunità di Sant'Egidio in dieci Paei africani per contrastare la diffusione dell'Aids e in particolare la trasmissione madre-figlio del virus dell'Hiv.
«La mortalità materna è
un’emergenza che si consuma lontano dai riflettori, ma costituisce una vera e
propria catastrofe umanitaria, soprattutto in alcuni Paesi dell’Africa e
dell’Asia del Sud con un impatto devastante sulla vita di milioni di persone ed
un costo annuo per l’economia mondiale di 15 miliardi di dollari» osserva Pierluigi Antonelli, Presidente e
Amministratore Delegato di MSD Italia.
«È una vera e propria piaga che va
gestita dalla comunità internazionale, ciascuno facendo la propria parte: MSD
ha deciso di avviare MSD for Mothers, un progetto molto ambizioso che,
attraverso la collaborazione con rilevanti organismi internazionali e una serie
di partnership pubblico-privato, punta a ridurre in maniera importante la
mortalità materna mettendo a disposizione le migliori soluzioni possibili e le
terapie più innovative».
La
mortalità materna è causa di oltre 1 milione di orfani l’anno: i bambini che sopravvivono alle
madri hanno maggiori probabilità di morire prima dei due anni e gli altri figli
sono 10 volte più a rischio di abbandono scolastico, cattiva salute e morte
precoce. Inoltre, per ogni donna che muore al momento del parto, almeno altre venti
rimangono disabili a vita.
MSD for Mothers si concentrerà sulle due principali cause di
mortalità materna: le emorragie post-partum, responsabili del 35% dei decessi,
e la pre-eclampsia o ipertensione gestazionale, responsabile di un altro 18%.
Altra rilevante causa di mortalità materna è rappresentata dall’infezione HIV e
a questo fronte è rivolto il Programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio.
Ogni anno in Africa sono circa 1,4 milioni i casi di gravidanza
in donne infette da HIV. Il Mozambico, dove l’11% della popolazione adulta è
HIV-positiva, è uno dei Paesi più colpiti: nel 2011 erano 27.000 i bambini infetti
alla nascita.
«Senza cure
appropriate solo la metà dei bambini che sono stati infettati per via verticale
raggiungeranno il secondo anno di vita. Inoltre le madri sieropositive che
arrivano al parto con un’infezione acuta nell’organismo vedono aumentato il rischio di decesso in gravidanza» afferma il Direttore Scientifico del Programma DREAM, Leonardo Palombi, Professore ordinario di Igiene e Sanità Pubblica
all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. «Nell’ambito
del Programma DREAM, la trasmissione madre-bambino ad un anno si riduce dal 40%
al 2-3% e i decessi materni vedono una flessione pari ad almeno il 70% di
quelli osservati in donne senza terapia».
«Salvare una madre significa
anche non vedere compromesso il futuro degli altri figli, oltre che la vita del
nascituro. Uno dei grandi problemi dell’Africa è la generazione di orfani
creati dall’HIV. Evitare che questo accada ha enormi benefici di tipo sociale
ed economico. Inoltre, maggiore è il
numero delle persone sieropositive che si curano, minore è il numero delle
persone che si contagiano e il tasso di infettività complessivo di una comunità
si abbassa» afferma Paola Germano, Direttore Esecutivo del Programma DREAM. «La partnership stipulata
quest’anno con MSD Italia ci permette di allargare il Programma DREAM dai
Centri da noi gestiti a tutto il Mozambico, sulla base di un accordo con il
Ministero della Sanità del Mozambico, focalizzandoci su 11 Centri e
coinvolgendo le strutture sanitarie pubbliche».
L’impatto del Programma DREAM è testimoniato dal racconto di
Cacilda Isabel Massango, 36 anni, donna del Mozambico che ne ha beneficiato: «nel 2002 subito
dopo la nascita di mia figlia ho scoperto di essere sieropositiva: anche la mia
piccola bambina era malata e sembrava impossibile una cura, una terapia che ci
potesse far continuare a vivere. Andare al Centro DREAM fu il primo passo di un
cammino lungo di speranza che mi ha portato fino a qui. Oggi
sono mamma di una bambina di 11 anni, anche lei in cura, e stiamo bene, lei è
anche molto brava a scuola. Adesso ho un futuro e come madre mi sento
responsabile di costruirlo non solo per la mia bambina ma per un’intera
generazione, per un’Africa migliore».
«MSD for Mothers si inserisce nel solco di una lunga
tradizione della nostra Azienda: nel solo 2012, abbiamo investito oltre 1,3
miliardi di dollari in programmi di responsabilità sociale, posizionandoci
nelle prime posizioni delle classifiche delle aziende maggiormente
responsabili» aggiunge
Pierluigi Antonelli. «MSD for Mothers attinge ai programmi da noi già sviluppati e ai
loro principi ispiratori per fare la differenza rispetto a un’emergenza
drammatica. Se anche riuscissimo a salvare una sola madre, sarebbe un successo
straordinario per tutti. Ma l’obiettivo è salvarne milioni».
Dottor Antonelli, ci sono le grandi catastrofi, le grandi tragedie, quelle
che richiamano l’attenzione della stampa internazionale e poi invece ci sono
drammi che si compiono ogni giorno, magari lontano dai riflettori: uno di
questi è la mortalità materna, soprattutto nei Paesi e nelle aree del mondo più
disagiate. Perché si può parlare di vera e propria emergenza?
«La mortalità materna è un’emergenza che si consuma lontano
dai riflettori, ma costituisce un vera e propria catastrofe umanitaria,
soprattutto in alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia del Sud. Si calcola che
ogni giorno circa 800 madri perdano la vita durante la gravidanza o nel dare al
mondo i propri figli. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2010,
circa 300.000 madri sono morte nel corso del parto o subito dopo. L’impatto è
pesantissimo anche sui figli, perché circa 2,6 milioni di neonati nascono morti
ogni anno e 3 milioni muoiono dopo il parto. La mortalità materna è sì
devastante per il suo costo umano e sanitario, ma lo è anche per le condizioni
economiche delle comunità: la Banca Mondiale stima che, in virtù del contributo
delle donne al prodotto interno, circa 15 miliardi di dollari ogni anno vengano
persi a causa della mortalità materna. E stiamo parlando di Paesi a risorse
limitate dove, quindi, queste cifre hanno un impatto ancora maggiore. È una
vera e propria piaga che va gestita dalla comunità internazionale, ciascuno
facendo la propria parte».
I numeri di questa tragedia che lei ricordava sono
impressionanti, però nel mondo ci sono tante emergenze che colpiscono le
popolazioni più povere e svantaggiate: perché MSD ha scelto di concentrarsi
proprio su questa?
«MSD si è sempre distinta con una serie di progetti di
responsabilità sociale in grado di fare la differenza. Il nostro primo progetto
significativo è stato il Mectizan Donation Program, una pietra miliare in questo tipo
di iniziative, che, nei suoi 26 anni di vita, attraverso una partnership
pubblico-privato è quasi riuscita ad eradicare la cecità fluviale. Nel solco di
questa tradizione abbiamo deciso di avviare MSD for Mothers, un progetto molto
ambizioso, che ha l’obiettivo di contribuire a ridurre il tasso di mortalità
materna del 75% entro il 2015, in accordo con il Quinto Obiettivo del Millennio
sancito dalle Nazioni Unite. Abbiamo deciso di intervenire in alcuni Paesi
dell’Africa e dell’Asia del Sud con un investimento di 500 milioni di dollari
in 10 anni che, attraverso la collaborazione con rilevanti organismi
internazionali e una serie di partnership pubblico-privato, contribuirà a
migliorare la qualità degli interventi terapeutici, l’accesso alle cure,
l’educazione sanitaria. Puntiamo a ridurre in maniera importante la mortalità
materna mettendo a disposizione le migliori soluzioni possibili e le terapie
più innovative, ritagliate però sulle necessità specifiche di Paesi che versano
in condizioni disagiate».
L’impegno economico è sicuramente importante, ma una
grande azienda come MSD può fornire anche altro, insieme alle risorse
economiche: le sue competenze, la propria esperienza: che cosa porta MSD in
questo progetto oltre al rilevantissimo investimento?
«È importante sottolineare che non si tratta di aiuti a
pioggia: quello che mettiamo sul tavolo, al di là dei 500 milioni di dollari, è
tutto ciò che ha a che vedere con le nostre conoscenze scientifiche e
commerciali, messe qui a fattor comune con i vari organismi locali da noi
identificati, in modo tale che le soluzioni terapeutiche più innovative siano messe
a disposizione di un numero quanto più elevato di donne e quindi di mamme».
In Italia, nell’ambito di questo progetto, MSD ha deciso
di sostenere il Programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio: perché questa
scelta?
«La nostra partnership con la Comunità di Sant’Egidio è di
lunga data e ne siamo sempre stati molto soddisfatti: MSD Italia è stata la
prima azienda farmaceutica a sostenere il Programma DREAM (Drug Resources
Enhancement against AIDS and Malnutrition). L’idea alla base del Programma DREAM, cioè di
affrontare la lotta all’infezione da HIV-AIDS portando gli standard di cura dei
Paesi ad alto indice di sviluppo anche in Paesi a risorse limitate, ci è
sembrata da subito vincente ed in linea con i principi ispiratori che guidano
le nostre azioni di responsabilità sociale. Oltre ad erogare un proprio
contributo, ormai più di 13 anni fa, MSD Italia si è fatta promotrice
dell’iniziativa presso Farmindustria, assicurandone l’adesione al programma.
Questo rispecchia il nostro modo di operare attraverso la creazione di
partnership pubblico-privato.
Su questa amicizia consolidata abbiamo deciso di costruire
qualcosa in più: con MSD for Mothers, abbiamo stanziato, sia come casa madre
che come consociata italiana, un contributo di 1,3 milioni di dollari a
sostegno di un programma triennale in Mozambico.
Puntiamo ad integrare l’assistenza al parto, alla maternità
e ai servizi neonatali all’interno della cornice della lotta all’HIV che è il
punto di forza del Programma DREAM. Si tratta di interventi a breve e a medio
termine, come i test per l’HIV, la costruzione di laboratori di biologia
molecolare, la formazione di personale sanitario medico e paramedico e una
serie di altre iniziative.
Gli sforzi si concentreranno su 11 Centri sanitari del
Paese e si pongono l’obiettivo di formare almeno 300 addetti tra medici e
personale sanitario soprattutto per prevenire la trasmissione materno-fetale
del virus da HIV, tra le principali cause di mortalità materna e infantile nel
Paese».
Dottor Palombi, il Programma DREAM promosso dalla Comunità di Sant’Egidio
si concentra sulla trasmissione verticale dell’HIV tra madri e figli: qual è in
generale la situazione dell’infezione da HIV in Mozambico e nell’Africa
sub-sahariana?
«La situazione della pandemia da HIV/AIDS
in Africa, seppur con alcune luci, resta ancora drammatica. Secondo l’ultimo
rapporto UNAIDS, su di un totale di 34 milioni di infetti nel mondo, ben 25,5
milioni, pari al 69%, appartengono a questo continente. Sono i Paesi
dell’Africa australe ad essere i più colpiti ed il Mozambico non fa eccezione.
Per dare un’idea dell’estensione del problema, ricordo che in Italia abbiamo
attualmente circa 150.000 persone colpite dall’infezione, pari ad una
percentuale dello 0–2%. In quel Paese la percentuale sale all’11% degli adulti,
ovvero 55 volte tanto. In pratica, un adulto su 9 richiede cure antivirali per
tutta la vita. Un aspetto particolarmente doloroso della malattia è costituito
dal fatto che la trasmissione dell’infezione avviene anche per via verticale,
ovvero durante la gravidanza, il parto e l’allattamento. Ogni anno in Africa
sono circa 1,4 milioni i casi di gravidanza in donne infette da HIV, con la
conseguente infezione di ben 350.000 neonati. In Mozambico ancora nel 2011
erano 27.000 i bambini infetti alla nascita».
Quali conseguenze ha la condizione di sieropositività
sulla salute della madre e del neonato? In che misura le madri sieropositive
sono a maggior rischio di mortalità da parto?
«Si stima che senza cure appropriate
solo la metà dei bambini che sono stati infettati per via verticale
raggiungeranno il secondo anno di vita. Una vera e propria strage. Accanto a
questo dato di per sé drammatico occorre poi aggiungere che le madri
sieropositive vedono aumentato il rischio di decesso in gravidanza e al parto a
valori inaccettabili. Basti pensare che oltre il 90% delle morti materne –
circa 250.000 all’anno – avviene in Paesi in Via di Sviluppo. Le donne africane
pagano il tributo più pesante dal momento che la metà di questi decessi si
verifica in territorio sub-sahariano. Si calcola che il contributo dell’AIDS a
questo fenomeno si collochi tra il 20 ed il 40%. In pratica,un decesso materno
su 3 è imputabile al virus dell’HIV. Possiamo immaginare poi le ricadute sull’intero
nucleo familiare: la donna è davvero la colonna della famiglia africana e la
sua scomparsa rappresenta un rischio concreto per la sopravvivenza di tutti gli
altri figli».
Quali sono le strategie terapeutiche
adottate nel progetto e quelle che si sono rivelate più efficaci nell’impedire
la trasmissione verticale madre-figlio?
«Il Programma DREAM ha concentrato molti dei suoi sforzi di
ricerca ed intervento sulla possibilità di prevenire sia la trasmissione
verticale che il decesso materno con un appropriato intervento farmacologico,
educativo e nutrizionale, che ha avuto grande successo e riconoscimenti dalla
comunità scientifica. Abbiamo dimostrato per primi che è possibile allattare al
seno sotto adeguata terapia farmacologica e alcuni nostri studi hanno
evidenziato una sostanziale riduzione della mortalità materna attraverso
l’utilizzo combinato di farmaci antivirali in gravidanza e per un anno dopo il
parto».
Dal punto di vista medico quali sono i risultati ottenuti
attraverso questo approccio in termini di riduzione della mortalità materna e
controllo dell’infezione?
«Posso affermare che la trasmissione madre-bambino ad un
anno, nell’esperienza di DREAM, si riduce dal 40% al 2-3% e i decessi materni
vedono una flessione pari ad almeno il 70% di quelli osservati in donne senza
terapia.
Quali sono i risultati sullo stato di salute complessivo
delle comunità coinvolte?
Un intervento olistico come il nostro, mirato dunque a una
completezza ed integrazione degli interventi, consente di acquisire risultati
che vanno oltre il semplice controllo della pandemia. Ad esempio l’educazione
sanitaria migliora i comportamenti in molti campi: dall’alimentazione alla cura
dei bambini, dalla consapevolezza dei meccanismi di malattia alla fiducia nelle
istituzioni sanitarie. DREAM finisce per avere un significativo e positivo
impatto anche su altre patologie, come ad esempio la tubercolosi o la
malnutrizione infantile. Abbiamo poi dimostrato come l’estensione della cura
rappresenti un vero e proprio intervento preventivo, capace di ridurre in modo
sostanziale nuovi casi di infezione».
Quali sono i possibili sviluppi del Programma e il suo
impatto a lungo termine?
«Il valore strategico del Programma DREAM consiste nel
rappresentare un modello di successo che combina efficacia e sostenibilità.
Adesso occorre trasfonderlo all’intero Sistema Paese in Mozambico. Si tratta di
una operazione complessa che richiede di estendere e moltiplicare il modello
senza degradarne le qualità. Sono convinto che il supporto di MSD sarà un contributo
straordinario per realizzare questa operazione, con evidenti ricadute sulle
capacità professionali del personale sanitario, sulla possibilità di accesso a
cure efficaci per la popolazione rurale e periferica, per la protezione di una
intera generazione di giovani madri e dei loro figli in una delle aree più
colpite dell’Africa sub-sahariana».
Come nasce la partnership con MSD?
«La partnership con MSD è di lunga data e nasce
dall’attenzione che l’azienda ha dedicato sin dal 2005 al Programma DREAM.
Allora il nostro intervento in Africa aveva bisogno di molto personale
espatriato che formasse e seguisse i primi centri in Mozambico e Malawi ed è su
questo fronte che abbiamo potuto collaborare per la formazione dei formatori.
Anche grazie al contributo MSD posso affermare che una delle chiavi della
sostenibilità di DREAM oggi è costituita dal fatto che la gestione dei centri
di salute e dei laboratori è ormai interamente affidata a personale africano,
mentre i nostri espatriati, su base totalmente volontaria, mantengono funzioni
di monitoraggio e coordinamento».
Dottor Germano, in cosa consiste il Programma DREAM? Su quale emergenza
sanitaria è concentrato?
«DREAM è un programma per la prevenzione e il trattamento
dell’AIDS in Africa. È un programma avviato nel 2002 in Mozambico e che nel
giro di pochi anni si è esteso in altri Paesi africani: attualmente coinvolge
anche Malawi, Tanzania, Kenya, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo,
Guinea Bissau, Repubblica di Guinea, Camerun, Angola.
Uno degli obiettivi fondamentali del programma è salvare la
vita delle madri e dei loro figli, dei nascituri, perché questa ci è sembrata
fin dall’inizio la strategia più efficace per arrivare all’eliminazione del
virus dell’HIV. Le persone con il virus in Africa sono tantissime, curare tutti
è impossibile, per questo è preferibile concentrarsi su iniziative efficaci,
che possano realmente azzerare la trasmissione del virus».
L’obiettivo del progetto MSD for Mothers è la riduzione
della mortalità materna. In che modo il Programma DREAM può contribuire a
questo risultato?
«In Africa il tasso di diffusione dell’HIV è elevatissimo: in
alcuni Paesi la prevalenza arriva al 14-15% e le donne sono chiaramente le più
colpite. Parliamo di giovani donne in età fertile che rimangono incinte e che
affrontano la gravidanza sotto la minaccia dell’HIV, fattore che pregiudica la
possibilità di far nascere un figlio sano ma anche di portare a termine la
gravidanza e la stessa sopravvivenza delle madri. Una donna che arriva al parto
con un’infezione acuta nell’organismo rischia seriamente di morire. Ecco perché
trattare le donne in gravidanza con la triplice terapia antiretrovirale, la
stessa utilizzata nei Paesi occidentali, permette di raggiungere due obiettivi
importantissimi: consente alle donne di sopravvivere al parto, riducendo
moltissimo la mortalità materna, e fa nascere il bimbo sano, ponendo le basi
per una generazione senza HIV. È un fatto ampiamente provato, sia da studi
scientifici che dalla nostra esperienza sul campo, che somministrando la
terapia antiretrovirale alle donne sieropositive in gravidanza si blocca la
trasmissione del virus al bambino, mentre le madri arrivano al parto con un tasso
d’infezione quasi azzerato e possono quindi affrontarlo senza problemi».
Come si articola in concreto questo Programma? Quali sono
le attività che vengono sviluppate?
«Il fulcro è l’assistenza continuativa alle donne in
gravidanza e anche dopo la nascita del bambino. Questo comporta una serie di iniziative.
L’azione fondamentale è la presa in carico delle donne che afferiscono ai
Centri per la maternità e che vengono sottoposte a test per accertarne la
sieropositività. A quel punto, in presenza di infezione, è fondamentale
accompagnare la donna lungo tutto l’itinerario della gravidanza assicurandosi
che aderisca alla terapia antiretrovirale. Tutto questo presuppone altre
azioni: formazione del personale sanitario, attività d’informazione alle future
madri, supporto anche di tipo logistico, un sistema informatico per seguire
tutte le donne assistite. Ma il sostegno non si concretizza solo nel
trattamento farmacologico: prevede l’assistenza domiciliare, supporto alla
famiglia, collaborazione di altre donne che seguono la donna in gravidanza a
casa aiutandola ad assumere la terapia. Inoltre è importante il supporto
nutrizionale: queste donne in gravidanza con HIV sono piuttosto debilitate,
quindi per arrivare a un parto sicuro insieme alle terapie hanno bisogno di
alimentazione equilibrata e acqua filtrata. Il tutto è completamente gratuito,
aspetto tutt’altro che scontato in Africa e niente affatto secondario: la
gratuità facilita l’adesione delle donne a tutto il percorso terapeutico,
mentre eventuali costi potrebbero metterla a rischio.
Altra cosa da sottolineare è che il programma va oltre la
gravidanza e la nascita del bambino. Purtroppo in quelle aree del mondo la vita
dei neonati è a rischio e non avrebbe senso far nascere un bimbo sano e poi
perderlo per una polmonite o una diarrea. Quindi noi ci concentriamo sulla
salute del bambino fino al primo anno di vita e questo comporta l’educazione
della madre e la formazione degli operatori sanitari».
Quali sono i risultati ottenuti fino a oggi? E le
aspettative e gli sviluppi per il futuro?
«I risultati sono stati subito strabilianti e questo peraltro
ha generato un contagio virtuoso nel senso che dopo i primi successi moltissimi
si sono rivolti a noi per adottare la stessa strategia in altre realtà. Gli outcome del Programma DREAM sono la
riduzione drastica della mortalità materna, la riduzione o azzeramento della
trasmissione dell’HIV da madre a figlio e la riduzione complessiva del tasso di
infettività nella popolazione globale. L’impatto positivo di questi risultati
sull’equilibrio delle comunità è enorme. Salvare una madre significa anche non
vedere compromesso il futuro degli altri figli, oltre che la vita del
nascituro. Uno dei grandi problemi dell’Africa è la generazione di orfani
creati dall’HIV. Evitare che questo accada ha enormi benefici di tipo sociale
ed economico. Altro risultato, scientificamente dimostrato, è che maggiore è il
numero delle persone sieropositive che si curano, minore è il numero delle
persone che si contagiano e il tasso di infettività complessivo di una comunità
si abbassa, avvicinando l’obiettivo di “arrivare a zero” perseguito dalle
Nazioni Unite. Infine c’è un altro aspetto che merita di essere sottolineato:
questo tipo di approccio con la tri-terapia permette alle madri di allattare e
questa è una cosa importantissima perché una donna che non allatta subisce lo
stigma della comunità».
Come si è sviluppata, su queste basi la partnership con
un attore privato come MSD?
«Il Programma DREAM è operativo in Mozambico fin dal 2002. La
partnership stipulata quest’anno con MSD Italia, che ha adottato il nostro Programma
nell’ambito del progetto MSD For Mothers, ci permette un enorme salto di
qualità. Fino a oggi si è trattato di un Programma circoscritto solo ad alcune
realtà del Mozambico. Grazie al sostegno di MSD adesso possiamo puntare
all’obiettivo di estendere questo Programma a tutto il Paese, sulla base di un
accordo con il Ministero della Sanità del Mozambico, con il coinvolgimento
delle strutture sanitarie pubbliche. Lavoreremo affiancando le strutture locali
per ottenere gli stessi risultati su scala nazionale e non solo nei Centri da
noi gestiti. Per ora il progetto firmato con il Ministero prevede
l’implementazione di questo programma in 11 Centri con la presa in carico di 5.700
donne in gravidanza nell’arco di tre anni. Credo che supereremo abbondantemente
questo numero».
Quali sono gli obiettivi a lungo
termine di questo Programma?
«L’obiettivo finale è mettere le
strutture e gli operatori locali in condizione di “fare da soli”. Per arrivare
a questo risultato non è sufficiente creare delle strutture in cui si danno le
medicine, ci vuole un approccio che segua le donne in tutto il loro percorso,
che le accompagni, che le sostenga anche risolvendo i vari problemi che si
presentano, che siano di natura sanitaria, che siano di natura sociale o
psicologica. Il valore aggiunto di questo Programma è che non si basa su un
approccio minimalista, ma punta a riprodurre in quei Paesi le stesse strategie
di contrasto adottate in Occidente, lavorare sul piano della cultura delle popolazioni,
dando piena fiducia agli operatori e alle popolazioni locali».
«Ho 36 anni e sono mozambicana. Nel
1996 con la morte di mio padre sono stata costretta a abbandonare gli studi,
frequentavo il liceo e desideravo andare all’Università.
Nel 2002
nasce mia figlia e subito dopo comincio a stare male, febbre altissima e perdita
di peso, poi scopro di essere sieropositiva.
Sembrava impossibile una cura, una
terapia che ti poteva far continuare a vivere. L’unico rimedio sembrava essere
il medico tradizionale. In Ospedale un infermiere, parlando con una paziente, mi
disse della possibilità di cura per l’AIDS presso il Centro DREAM della
Comunità di Sant’Egidio a Machava un po’ fuori Maputo, dove le cure erano
gratuite. Mi sembrava impossibile!
Anche la mia
piccola bambina era malata: andare al Centro DREAM fu il primo passo di un
cammino lungo di speranza che mi ha portato fino a qui.
La cura
antiretrovirale mi ha salvato, oggi sono mamma di una bambina di 11 anni, anche
lei in cura, stiamo bene, lei è anche molto brava a scuola».
«In questi anni ho maturato una
coscienza di donna e madre, che può aiutare e appoggiare gli altri. Ho così
iniziato a lavorare come attivista nei Centri DREAM, sostenendo e incoraggiando
tanti malati, la mia vita e la mia testimonianza dà speranza, fa uscire dalla
rassegnazione e dalla condanna che tutto è impossibile.
Ho avviato insieme alla Comunità di Sant’Egidio un
programma di Adozioni a Distanza per sostenere le mamme e i bambini, questo mi
ha condotto in tante case, a conoscere famiglie e a sostenerle concretamente,
anche nell’educazione sanitaria e nutrizionale. Oggi sono una donna che ha un
futuro e come madre mi sento responsabile di costruirlo non solo per la mia
bambina ma per un’intera generazione, per un’Africa migliore».
«Io credo che
DREAM abbia dato senso a una vita ritrovata, migliore di prima (intendo dire
quando stavo molto male) e la forza di alzarmi in piedi, di testimoniare ad
alta voce quel che abbiamo dentro, quel che abbiamo ricevuto, quel che abbiamo
capito. Dobbiamo fare chiaramente il primo passo, per primi, davanti a tutti.
In maniera che anche gli altri possano compiere un passo verso di noi, come
madri possiamo fare tanto».
«Ho ripreso a studiare, tanti sogni
si sono realizzati, lo scorso anno mi sono laureata in Filosofia e Etica con
una tesi sulla “Dignità Umana secondo Kant”, oggi sono Responsabile Sociale del
programma DREAM in Mozambico, coordino le attività e la gestione del lavoro
comunitario e nell’appoggio psico-sociale delle attiviste e sono la referente
delle Adozioni a Distanza nel Paese.
Mi occupo della formazione nell’Area
HIV/AIDS in corsi nelle aziende e nelle imprese.
Ho
partecipato come relatrice a numerose conferenze internazionali in Africa e in
Europa».