Ora che le luci si sono spente su Benedetto XVI, Papa emerito in ritiro nella residenza di Castel Gandolfo, è il tempo del Conclave e dei cardinali che dovranno eleggere il suo successore. Ma le emozioni e le lacrime che quel volo d’elicottero, con a bordo il Papa, su piazza San Pietro e sul cielo di Roma, ha suscitato in milioni di fedeli non vanno dimenticate.
Ci dicono l’affetto di cui è stato circondato papa Ratzinger nel momento in cui s’è mostrato nella sua fragilità umana. Ma anche l’apprezzamento per il coraggio profetico di una scelta che, dopo gli scandali e le “sporcizie”, ha riconciliato la Chiesa con i credenti e il mondo intero. La sua rinuncia ha cambiato il cuore di tanti, ha riavvicinato molti alla fede. Anche i non credenti ne sono rimasti turbati e affascinati. Ha mostrato il volto bello della Chiesa, nella sua trasparenza e pulizia evangelica, lontana dai palazzi e dagli intrighi del potere. A chi rimprovera Benedetto XVI di avere tolto, col suo gesto, la “sacralità” che circondala figura del Papa (inclusa la follia di un prete che ne ha bruciato la foto a Messa), va ricordato il mistero fondamentale del cristianesimo, che è l’incarnazione: Gesù da Dio che era si è fatto uomo, in tutto simile a noi, eccetto il peccato.
La fede non si alimenta di spiritualismo disincarnato, ma si incarna
nella storia degli uomini, a partire dal basso. Per questo la rinuncia
di papa Ratzinger rilancia la Chiesa sulla via della purificazione,
della richiesta di perdono e del rinnovamento. Per una Chiesa che sia a
servizio dell’umanità, nello spirito di apertura e di dialogo del
Vaticano II. E per offrire parole di verità e di speranza agli uomini
d’oggi.Col nuovo Pontefice ci si attende che la Chiesa riparta dai
concetti conciliari di “popolo di Dio”, “sacerdozio universale”, uguale
dignità per tutti i battezzati, piena corresponsabilità dei laici (per
le donne in particolare), preferenza per i poveri e i più deboli. E
una gerarchia a servizio dei fratelli, più che a gestire il potere. Con
un respiro più universale e una particolare attenzione alle giovani
Chiese delle periferie del mondo, segnate dalla persecuzione e dal martirio per la testimonianza della fede.
Sono tante le sfide che si prospettano al nuovo Pontefice.
Abbiamo chiesto tre priorità ad alcuni significativi rappresentanti
della comunità ecclesiale. Da parte nostra, evidenziamo il tema del
pieno coinvolgimento dei laici nella comunità ecclesiale. Ma laici che
siano formati a una fede adulta e matura. Assieme alla capacità di
annunciare Cristo e il suo messaggio a una società indifferente e
impermeabile ai valori etici. Sapere, cioè, “contaminare” la cultura
odierna con il Vangelo.La sfida della nuova evangelizzazione, al di là
dei nuovi linguaggi per parlare agli uomini d’oggi, sarà vinta con la
testimonianza.I giovani, soprattutto, non ascoltano più i“maestri”, ma
seguono i testimoni. Cercano una Chiesa pulita e trasparente, vicina ai
poveri e agli ultimi. Una Chiesa più profetica e meno diplomatica. E che abbia sempre i fianchi cinti col “grembiule”.
don Antonio Sciortino
Con la rinuncia al mistero petrino, Benedetto XVI recepisce appieno il magistero del Concilio, particolarmente della Lumen gentium. Poiché incidere sul simbolo del papato significa incidere sulla forma della Chiesa. Benedetto ridefinisce il significato e il simbolo del papato. Potremmo dire: lo aggiorna. Si tratta di una figura che diviene a un tempo più spirituale (e meno secolare), più collegiale (e meno assoluta), più funzionale (e meno carismatica). Tutto ora è consegnato alla Chiesa e al suo successore.
La rinuncia avviene al culmine di una crisi della Chiesa che – come Benedetto XVI ha detto – è anche una crisi della fede. Il punto fondamentale di un possibile rinnovamento passa attraverso la sfida di come ricomprendere il Vangelo in questo tempo. Il rapporto Vangelo e culture va posto in primo piano. Siamo carenti di stile e linguaggi. Lo stile non allude solo all’estetica dei comportamenti, ma alla loro verità, cioè all’intima coerenza tra la parola e il suo contenuto, tra la forma dell’annuncio e la forma della testimonianza.
Il cristianesimo non sopporta la separatezza tra la teoria di sé e la propria realizzazione storica. L’una cosa è l’altra. O non è. Di qui il linguaggio della nostra testimonianza. La Chiesa è portatrice di un dono gratuito che si offre fino al limite: e quell’avvento è l’avvento di Dio fin nelle pieghe più recondite dell’umano e dell’umanità. Noi annunciamo un Dio coinvolgente in ciascuna vita, non i resti occidentali del platonismo. Il linguaggio della Chiesa deve riprendere le frontiere dell’umano nelle sue contraddizioni attuali. E questo vale culturalmente anche nel confronto con le diverse discipline scientifiche.
Il secondo punto è la rivalorizzazione della libertà religiosa in rapporto con il primato della coscienza. La
dimensione della libertà – in quanto condizione concreta e personale di
ogni autentica adesione alla verità religiosa – prevale sul bene della
verità assoluta che sperimentiamo parzialmente e interamente non
possiamo conoscere. Se siamo pellegrini della verità, allora molte
materie che affliggono la morale cristiana debbono essere riaffrontate
in chiave diversa. Anche la vicenda politica poggia su un diverso
riconoscimento della dignità personale, sia nel confronto duro e
drammatico nelle situazioni di violenza e discriminazione verso i
cristiani stessi in molte aree del pianeta; sia nell’orizzonte acquisito
della laicità occidentale; sia nelle situazioni di grave ingiustizia e
povertà.
Il terzo punto riguarda la riforma anche strutturale della Chiesa. Non più solus Pontifex.
Ma quella solidarietà e sussidiarietà ecclesiale che si chiamano
collegialità e sinodalità. Con una ripresa delle Chiese locali e il
rinnovamento della Curia, ridefinita strumento di servizio per tutta la
Chiesa e non struttura centralizzata che immagina di possedere la
Chiesa. In questa prospettiva di Chiesa come comunione è legato anche il
tema dell’ecumenismo come ricomprensione di una rottura dell’unità che
non patisce soltanto delle colpe del passato, ma anche delle nostre
attuali divisioni di potere. L’umanità ha bisogno che dal prossimo
Conclave esca un pastore di comunione, non un uomo d’ordine.
Gianfranco Brunelli,
direttore del quindicinale Il Regno
Penso che l’elezione del nuovo Papa dovrebbe essere sentita e vissuta maggiormente come azione di tutta la Chiesa e non come un fatto isolato che riguarda solo i cardinali. È significativo che in altre elezioni (ad esempio quelle dei patriarchi delle Chiese orientali) sono operanti anche altre componenti che rappresentano monachesimo, clero e “laicato”.
In ogni caso ogni cattolico – mi piacerebbe dire: ogni cristiano – ha il diritto di identificare quelle che ritiene urgenze ecclesiali,di portarle nel cuore e nella preghiera, di operare su di esse un discernimento e di manifestarle con umiltà affinché possano essere realizzate. Tra le numerose urgenze che intravedo,segnalo innanzitutto quella che ritengo preliminare e decisiva: instaurare un clima di fiducia e di corretta fraternità nella Chiesa. Da anni lo vado scrivendo, anche su questa rivista: basta accuse reciproche, basta con questa logica di divisione e delegittimazione che indica l’altro come se fosse “con” o“contro” il Papa.
Le Chiese locali sono estenuate da questo sospetto, l’autorità dei
vescovi è stata troppo contraddetta e contestata, si è giocato troppo a
stare dalla parte del Papa “sequestrandolo”contro la Chiesa quotidiana. Oggi
la Chiesa è molto più divisa al suo interno che non agli inizi del
terzo millennio. Da qui il desiderio di un Papa che riporti la comunione
e con autorità metta fine a questa logica di bande contrapposte alla
Chiesa ordinaria. Lo diceva già l’apostolo Paolo: nella Chiesa non
si può dire «Io sono di Pietro, io di Paolo e io di Apollo» se non
dissolvendo e lacerando il corpo di Cristo.
Una seconda urgenza è la trasparenza:tutte le istituzioni godono di scarsa credibilità da parte degli uomini di oggi e
sovente finiscono per essere nella Chiesa, come diceva il cardinale
Ratzinger, un ostacolo alla fede. Occorre allora un’operazione che ridia
trasparenza,che riporti la sincerità come stile ecclesiastico.
Sincerità delle persone e trasparenza delle istituzioni e dei meccanismi
di quella autorità che nel Vangelo è negazione di ogni dominio, di
ricerca del potere, di carrierismo. Una Chiesa trasparente può essere una Chiesa che lascia vedere Gesù.
Infine, la terza esigenza è quella di guardare agli ultimi, ai
poveri, a quegli uomini e quelle donne che invocano, gemono, soffrono,
piangono perché sono nel bisogno, oppressi da poteri mondani, ma
oppressi anche dal peccato. Non è vero che oggi siano tutti
gaudenti, spensierati, indifferenti a tutto. Come ai tempi di Gesù, sono
quelli che non si impongono e che si sentono peccatori bisognosi di
salvezza che dicono:«Vogliamo vedere Gesù!». Questo è il vero dialogo
tra Chiesa e mondo.Sì, ci potranno essere anche urgenze istituzionali –
collegialità, sinodalità – e urgenze che vengono dall’oggi: il posto
delle donne nella Chiesa, l’atteggiamento da assumere verso i
divorziati, la rilettura di temi sociali emergenti oggi... Ma tutto
questo viene dopo.
Enzo Bianchi,
priore della Comunità monastica di Bose
Nel suo scarno ma appuntito messaggio di rinuncia al ministero petrino Benedetto XVI ha voluto spronare la Chiesa a meditare sulla sfida dei «rapidi mutamenti» e delle «questioni di grande peso per la vita della fede» che richiedono «vigore del corpo e dell’anima».
Quali sono queste sfide? Ritengo che la prima sia la sfida antropologica. L’uomo, infatti, si sta interpretando in maniera differente dal passato, con categorie diverse. E questo anche a causa dei grandi cambiamenti nella società e di un più ampio studio di sé stesso. L’antropologia a cui la Chiesa ha tradizionalmente fatto riferimento e il linguaggio con la quale l’ha espressa sono frutto di saggezza ed esperienza secolare. L’uomo a cui la Chiesa si rivolge però non sembra più comprenderle o considerarle sufficienti. Pensiamo alla questione del concetto di matrimonio e famiglia,dei diritti della persona, dell’eutanasia. Il nuovo Pontefice sarà chiamato a confrontarsi con questa sfida per far sì che la Chiesa sia luce, e cioè insieme“faro” che illumina da una posizione alta e stabile, ma anche “fiaccola”che si sa muovere in mezzo agli uomini,accompagnandoli nel loro insidioso cammino, quale che sia la direzione,per evitare che la luce resti per molti di loro solo un ricordo lontano.
La seconda grande sfida è quella dei linguaggi e della comunicazione.
Se una volta comunicare significava “trasmettere”contenuti, al tempo
dei social network, significa “condividerli” in un’ampia rete di
relazioni. La comunicazione in Rete e le sue logiche stanno avendo un
forte impatto sul modo ordinario di vivere, pensare e aggregarsi. È
chiaro per tutti che i media ormai per molti “mediano”, nel bene e nel
male, il messaggio della Chiesa all’uomo di oggi.Accanto alla sfida
della nuova evangelizzazione vi sono quelle dell’ecumenismo e del
dialogo interreligioso in un mondo in cui le relazioni sono sempre meno
mediate dalle istituzioni. La vita della Chiesa è dunque chiamata ad
assumere anche uno stile sempre più comunicativo e partecipativo, capace
soprattutto di ascoltare i più giovani.
La terza grande sfida, a mio avviso, riguarda la Chiesa intesa come comunione in un mondo globalizzato. Benedetto
XVI, nei suoi ultimi discorsi da Papa,ha insistito proprio sulla
Chiesa, della quale ha avuto sempre una visione teologica. È questa
visione che deve plasmarne anche le strutture di servizio come lo è la
Curia. La Chiesa è la universa Ecclesia, realtà che ha una
estensione geografica che copre il mondo. Il respiro universale deve
plasmarla intimamente anche perché le esperienze ecclesiali più vive e
dinamiche, i “polmoni spirituali”, secondo l’immagine di papa Benedetto,
sono nelle Chiese più giovani.L’immagine a suo modo “definitiva”è
quella consegnata da Benedetto XVI al Collegio dei cardinali, da lui
invitato a essere «come un’orchestra, dove le diversità– espressione
della Chiesa universale– concorrono sempre alla superiore e concorde
armonia».
Padre Antonio Spadaro, Gesuita, direttore del quindicinale Civiltà Cattolica
Può apparire presuntuoso che chi è soltanto un modesto laico osi dare consigli al Papa che verrà: ma il Concilio ci ha abituato alla cristiana“franchezza”, e in questo spirito sia consentito esprimere alcuni voti, che corrispondono ad altrettante possibili priorità.La prima indicazione prende le mosse da un antico adagio del sistema costituzionale inglese.
Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe in modo assoluto:in altre parole, più si concentrano in Roma e nella Curia decisioni e poteri, più i rischi di deviazione aumentano(le mura vaticane non riescono a chiudere fuori il peccato originale…). Ciò significa ripensare i poteri del Papa e decentrare il più possibile una serie di decisioni, da quelle sui ministeri laicali a quelle sulla designazione dei vescovi (fatto salvo il finale placet, o anche non placet, del Papa). Analogamente molte forme di contenzioso, a partire dalle “nullità” matrimoniali, potrebbero essere delegate alle Conferenze episcopali nazionali. Insomma, ridurre il compito di direzione e di guida del Pontefice a ciò che è realmente essenziale per la vita della Chiesa, favorendo in essa una reale sinodalità.
Una seconda istanza concerne quell’invito alla corresponsabilità
laicale cui richiamano numerosi documenti postconciliari,primo fra tutti
la Lumen gentium, ma che non si è tradotto, in sede centrale
(ma spesso, salvo eccezioni, nemmeno in sede locale) in adeguati
comportamenti conseguenti. Quante cose potrebbero essere affidate a
laici competenti e preparati senza mettere in discussione né il
ministero petrino né il valore del sacerdozio (che è non solo di alcuni
ma che è comune a tutti i fedeli, come ricorda la Lumen gentium).
Inutile sottolineare che questa corresponsabilità laicale dovrebbe
essere declinata anche e soprattutto al femminile,per arricchire la
Chiesa di quel “genio”che il magistero di Giovanni Paolo II (Mulieris dignitatem) ha riconosciuto ma ha sin qui trovato solo parziale applicazione nella vita della Chiesa.
Una terza istanza fortemente avvertita dall’opinione pubblica, anche
ecclesiale,è la liberazione del Pontificato da ogni legame (e ancor più
da ogni compromissione) con la finanza. Oggi esistono, in Italia e
in numerosi Paesi,l e banche etiche, nelle qua li il credito è accordato
con criteri di grande severità e finalizzato soprattutto a progetti di
sviluppo, con la totale esclusione di finalità speculative. Perché non
delegare a esse, o a consimili strumenti,ciò che ha a che fare con la
finanza(fatta salva una snella Commissione di controllo?). La più totale
trasparenza sarebbe in tal modo assicurata e i fedeli, che continuano a
offrire generosamente il loro obolo, saprebbero che il denaro dato alla
Chiesa, soddisfatti i bisogni legati al suo funzionamento, è destinato
prioritariamente ai poveri del mondo.
Giorgio Campanini,
storico e sociologo
È sensazione diffusa che il rinnovamento avviato dal Concilio si sia arenato, soprattutto per quanto riguardala vita interna della Chiesa. La rinuncia di papa Benedetto è un chiaro invito ad attuare specialmente alcune riforme necessarie, che non è riuscito a realizzare:collegialità, fede matura, laicato adulto. È un’eredità che, con il suo gesto profetico, consegna al successore.
Collegialità. Senza mettere affatto in discussione il primato di Pietro, occorre ormai il coraggio di rivedere le forme del suo esercizio. Nel mondo globalizzato,nessun Papa potrà più essere in grado di guidare la Chiesa, senza l’aiuto di uno strumento universale e autorevole,che nel pieno esercizio della collegialità episcopale, lo appoggi e lo aiuti ad affrontare problemi che ormai sono planetari e complessi. Certamente non è in grado di farlo la Curia romana che, anche durante il pontificato di papa Benedetto, si è rivelata più una palla al piede che un sostegno. Dal vertice della Chiesa,lo spirito di collegialità potrà allora operare anche a livello locale.
Fede matura. Nella società secolarizzata di oggi, per molti
aspetti post cristiana, non basta più la fede popolare. Va fatta
crescere in fede matura, grazie all’incontro vivo con il Risorto. Come
sarà possibile se, anziché guardare avanti verso una riforma liturgica
coraggiosa, si continua a guardare con nostalgia il passato? Non si
tratta solo di accogliere con gioia il rinnovamento dei riti
sacramentali, la celebrazione della Messa in lingua volgare e la
comunione in piedi e sulla mano; c’è bisogno soprattutto di formare i
fedeli a un’autentica spiritualità liturgica, nutrita dalla parola di
Dio, che conduca a una partecipazione cosciente all’Eucaristia, fonte e
culmine di tutta l’attività della Chiesa. Non si può più accettare che
il diritto canonico e una vecchia cultura clericale frenino la crescita
dei fedeli verso una fede adulta,anziché facilitarla.
Laicato adulto. I fedeli laici (uomini e donne) nella Chiesa non sono più minorenni, né preti mancati, né delegati del clero.
Senza un laicato maturo la nuova evangelizzazione è impossibile.
Laicato maturo, vuol anche dire riconoscere e rispettare la legittima
autonomia della loro testimonianza nella vita sociale e politica, dove
il pluralismo delle scelte è la norma, fatta salva la coerenza con i
valori cristiani e con la Dottrina sociale della Chiesa. Non tocca ai
vescovi la mediazione politica dai valori etici assoluti alle scelte
operative possibili.
La gerarchia ha il compito di illuminare e formare le coscienze; ma dà
una grave contro-testimonianza evangelica, quando tende a trasformarsi
in una forza rilevante sul piano politico, quasi in concorrenza con
altre forze politiche.Buon lavoro al nuovo Papa!
Padre Bartolomeo Sorge,
Gesuita, direttore emerito di Aggiornamenti sociali
La scelta di Benedetto XVI ha posto la Chiesa in una situazione nuova rispetto al passato cogliendo di sorpresa tanto le strutture e le tradizioni vaticane, quanto la popolazione.
Tra i fedeli italiani, la scelta del pontefice ha originato una varietà di emozioni che vanno dalla sorpresa, alla contrarietà, alla speranza. Per quanto non siano mancate le reazioni negative (tra tutte quella del sacerdote che ha bruciato l’immagine del papa), in generale il gesto di Benedetto XVI è stato colto con favore. Questo non perché fosse presente un sentimento negativo nei confronti del pontefice, quanto perché la sua scelta è stata vista dai fedeli come un gesto di apertura sul futuro, segno di un cambiamento che potrebbe segnare una nuova era per la Chiesa cattolica.
Nell’indagine condotta da SWG per Famiglia Cristiana i due terzi degli intervistati hanno interpretato così la notizia delle “dimissioni” del pontefice: un segnale che nell’era dell’accesso anche la chiesa sta cambiando, con la speranza non celata che l’inevitabile mutamento sia occasione di una profonda innovazione.
La transizione dell’epoca moderna all’epoca digitale, infatti, ha reso palese anche tra i cattolici praticanti la necessità di un cambiamento di paradigma e di approccio che non riguarda i contenuti della proposta cristiana, ma le modalità di narrazione e di testimonianza. Non si tratta semplicemente di utilizzare il web o le app, ma di sapere comunicare il Vangelo con un linguaggio e un approccio diverso, che sappia interagire con le moderne comunità di uomini, figlie del profondo cambiamento antropologico in atto: il passaggio ad una chiesa di minoranza (secondo i dati rilevati i praticanti in Italia sono il 45% della popolazione e scendono al 30% nella fascia 18-24 anni), una formazione religiosa familiare molto più debole che in passato, il costante confronto con modelli culturali, morali, e religiosi differenti, la caduta delle appartenenze tradizionali e il prevalere dei modelli di connessione a legami deboli, i nuovi bisogni e i nuovi modelli di accesso, di lavoro, di organizzazione sociale e di partecipazione.

Abitare la modernità in maniera efficace, non richiede solo nuovi linguaggi, ma anche nuovi interpreti e per questo viene apprezzato molto il gesto di Benedetto XVI, vissuto come il segno dell’ineludibilità di un ricambio generazionale anche nel governo della Chiesa.
Al nuovo papa viene dunque chiesto di essere interprete dei tempi e di accompagnare la Chiesa in questa fase di transizione, secondo un approccio che sappia restituire centralità ai valori fondamentali del vangelo, ad una carità accompagnata dalla giustizia, ad una chiesa unita e in dialogo con le altre religioni. Non si tratta di una richiesta di tornare al passato o di portare avanti una rivoluzione (le ipotesi di apertura al matrimonio dei preti e al sacerdozio femminile, ad esempio, sono scarsamente condivise), quanto più di procedere verso una “trasfigurazione” che ridia vigore e vita piena ad alcuni valori fondamentali, togliendo loro le incrostazioni del tempo e le macchie derivate da una frequentazione percepita come eccessiva dei territori della politica e della finanza.
Questa richiesta di frattura con il passato passa anche dalla suggestione per un papa africano (espressa da un intervistato ogni sei) che è secondo nelle attese solo rispetto ad un papa italiano.
Sul conclave che va ad aprirsi le attese sono molte. C’è la consapevolezza che stiamo vivendo una fase cruciale della storia, che richiede interpreti adeguati, capace di ridare speranza ai cristiani soprattutto in Europa dove da molti anni il numero dei credenti è in calo. Una speranza che passa dalla capacità di ricostruire una narrazione di Chiesa affascinante, libera, profondamente connessa con la vita quotidiana dei propri fedeli e capace di orientare le coscienze non sulla base di una appartenenza data una volta per tutte, ma di una scelta consapevole, confermata ogni giorno.
Riccardo Grassi, sociologo Swg
NOTA METODOLOGICA
I dati riportati si riferiscono a un'indagine quantitativa condotta mediante metodo CAWI su un campione di 800 maggiorenni residenti in Italia. Le interviste sono state effettuate tra il 15 e il 17 febbraio 2013.
Famiglia Cristiana numero 10/2013, il numero cioè in edicola e in parrocchia a partire da giovedì 7 marzo, è lo strumento migliore per informarsi sul momento storico che la Chiesa sta vivendo. A partire dal Primopiano di don Antonio Sciortino, intitolato "Una Chiesa che abbia il coraggio della profezia" e dall'editoriale di Andrea Riccardi, che riprende la rinuncia di Benedetto XVI per riproporre "Una Chiesa sempre più al servizio del Vangelo".
Di particolare ricchezza è la sezione "Attualità - L'ora del Conclave": la sede vacante, cominciata con il commovente addio di Benedetto XVI alle stanze del Vaticano e con "Quel volo che ha cambiato la Chiesa", dal titolo dell'articolo di Annachiara Valle; le procedure per l'elezione del nuovo Papa, spiegate con una grande infografica; le testimonianze della gente di Castel Gandolfo, raccolte da Roberto Zichittella, stretta intorno al Palazzo apostolico che ha accolto il Papa emerito.
Da non perdere, infine, la sezione dedicata alle sfide che il nuovo Pontefice dovrà affrontare. Le hanno identificate nomi eccellenti del mondo cattolico: da Gianfranco Brunelli, direttore de Il Regno, a Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose; da padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, a Giorgio Campanini (sociologo e storico) a padre Bartolomeo Sorge, direttore emerito di Aggiornamenti Sociali. In poche parole: un numero di Famiglia Cristiana che proprio non potete perdere.